Rebirth è la nuova fatica discografica di Marco Limido, un lavoro importante con cui il musicista lombardo realizza un deciso passo in avanti rispetto al repertorio del passato. Marco da tempo accarezzava l’idea di concepire un disco solo strumentale che mantenesse viva in qualche modo la struttura del blues, ma che lasciasse anche finalmente spazio a una creatività che scalpitava per visitare dimensioni parallele non sempre ortodosse rispetto alle dodici battute. Che il disco si chiami Rebirth non è dunque un caso, come non è una combinazione il profumo di aria nuova che si leva dall’ascolto di questi pezzi. Marco accarezza la sua chitarra e ne trae note fresche e piacevoli che esigono una base ritmica molto attenta, scarna, ma ben presente, capace di stare al gioco mentre la chitarra si libra improvvisamente a cercare nuove traettorie. La scelta, caduta su Gio Rossi e Ruben Minuto, rispettivamente batterista e bassista di esperienza, è stata molto azzeccata perché il primo è un musicista abituato ad assecondare artisti blues e jazz che partono spesso per la loro tangente, mentre il secondo è un metronomo che non sgarra mai. Tutti i brani del disco sono stati scritti dallo stesso Limido e sono di ottimo livello; la parola blues compare solo in una composizione (Blues March), ma il suo fantasma lo sentiamo spesso echeggiare qua e là e quasi a stupire in My Me, pezzo davvero elegante, eseguito con maestria. Tra i brani restanti colpiscono particolarmente Empty Waltz, dolcissimo ed evocativo che si perde in melodie di stampo onirico, e The Red Point invece più mosso, ma altrettanto godibile, sempre in bilico tra un incedere vagamente country e un’originale idea di rock.