Quando la classe impreziosisce l’esperienza non può che nascere un album da ascoltare, cogliendone in maniera semplice le piccole sfumature. Mai banale, morbido e mai superficiale: si sintetizza così The Forgettable Truth, nuovo album di Michael Feuerstack.
Si è fatto chiamare Snailhouse e poi è cresciuto suonando anche con Wooden Stars, Bell Orchestre e Islands. Ma il cantautore canadese emerge in questo suo terzo lavoro a suo nome soprattutto per il garbo e l’armonia della sua scrittura. La sua penna passeggia principalmente tra folk, pop e indie rock, non sempre definiti in maniera specifica e spesso presenti insieme ad altre forme musicali. L’essenza degli arrangiamenti è racchiusa nella formazione chitarra-basso-batteria-tastiera.
Subito scorre limpida Receiver e poi con I Wanted More si sale un po’ d’intensità e ancor di più con la successiva Lamplight. Ibride soluzioni si incrociano sin dall’inizio dell’album, fornendo all’ascoltatore visioni rilassate come nel singolo Clackity Clack: qui il violino di Sebastian Chow degli Islands aggiunge sentimento a una regolarità disarmante e spontanea.
L’indie rock di The Devil a metà album sembra proiettare il cantautore in un altro contesto, ma in realtà Michael Feuerstack è sempre lì come nell’inflessibile Glacier Love o nel tenue cadenzare di Cemetery Trees o di Talking Blues. L’artista cioè è sempre elegantemente sospeso, come dimostra Monrovia a chiusura del cerchio.
Sempre lucido, sistematico e mai fuori posto. Michael Feuerstack non eccede, perché non ha bisogno di farlo. Il suo è un netto e delicato equilibrio che si protrae canzone dopo canzone con una fermezza artistica sorprendente, propria solo di un cantautore con la sua esperienza.
Si è fatto chiamare Snailhouse e poi è cresciuto suonando anche con Wooden Stars, Bell Orchestre e Islands. Ma il cantautore canadese emerge in questo suo terzo lavoro a suo nome soprattutto per il garbo e l’armonia della sua scrittura. La sua penna passeggia principalmente tra folk, pop e indie rock, non sempre definiti in maniera specifica e spesso presenti insieme ad altre forme musicali. L’essenza degli arrangiamenti è racchiusa nella formazione chitarra-basso-batteria-tastiera.
Subito scorre limpida Receiver e poi con I Wanted More si sale un po’ d’intensità e ancor di più con la successiva Lamplight. Ibride soluzioni si incrociano sin dall’inizio dell’album, fornendo all’ascoltatore visioni rilassate come nel singolo Clackity Clack: qui il violino di Sebastian Chow degli Islands aggiunge sentimento a una regolarità disarmante e spontanea.
L’indie rock di The Devil a metà album sembra proiettare il cantautore in un altro contesto, ma in realtà Michael Feuerstack è sempre lì come nell’inflessibile Glacier Love o nel tenue cadenzare di Cemetery Trees o di Talking Blues. L’artista cioè è sempre elegantemente sospeso, come dimostra Monrovia a chiusura del cerchio.
Sempre lucido, sistematico e mai fuori posto. Michael Feuerstack non eccede, perché non ha bisogno di farlo. Il suo è un netto e delicato equilibrio che si protrae canzone dopo canzone con una fermezza artistica sorprendente, propria solo di un cantautore con la sua esperienza.