I Motörhead non ci sono più. Il nome del gruppo riposa nel Forest Lawn Memorial Park di Los Angeles, assieme a Lemmy, storico leader della band, venuto a mancare alla fine del 2015 per una grave malattia. I Motörhead ancora oggi fanno parlar di loro, e non solo per l’importante impronta che hanno lasciato nell’hard-rock e nel metal, ma soprattutto per un disco postumo da poco pubblicato, intitolato Under Cover.
Come si può evincere dal titolo, stiamo parlando di un disco formato interamente da reinterpretazioni, registrate e pubblicate in diversi album usciti tra il 1992 e il 2015. In Under Cover ci sono infatti noti brani rifatti dal gruppo britannico, che spaziano su diversi generi, pur sorretti dalla solida colonna portante che è il rock. Abbiamo dunque pezzi più affini ai Motörhead come Breaking The Law dei Judas Priest, Whiplash dei Metallica e Hellraiser di Ozzy Osbourne per quanto riguarda il metal, ma non mancano storiche perle del classic rock, come il duplice omaggio ai Rolling Stones con Jumpin’ Jack Flash e Sympathy For The Devil, e sterzate sul mondo punk con God Save The Queen dei Sex Pistols e Rockaway Beach dei Ramones, band riguardo alla quale Lemmy non ha mai nascosto la sua particolare stima. Se alcuni dei pezzi citati convincono a fatica, pur facendo risaltare quel lato ludico che i Motörhead volevano far trasparire, la vera sorpresa sta nella cover di Heroes dell’altrettanto compianto David Bowie (mancato due settimane dopo la dipartita di Lemmy): i Motorhead propongono una versione del pezzo del Duca Bianco con il loro stile graffiato e condito da chitarre distorte, ma senza stravolgere il brano, mostrando il giusto rispetto per il brano e in particolare per il suo autore originale.
I più scettici si chiedono se questo disco sarebbe uscito nel caso i Motörhead fossero ancora attivi. Domanda legittima ma altrettanto inutile. Under Cover è semplicemente un album che omaggia dei grandi artisti e l’influenza che hanno avuto sul terzetto inglese, e che mostra la passione e il “play for fun” di Lemmy, Mikkey Dee e Phil Campbell.
Non è per nulla un disco pretenzioso, ma un lascito da ascoltare con un sorriso e, per i più affezionati, con tanta nostalgia.
Come si può evincere dal titolo, stiamo parlando di un disco formato interamente da reinterpretazioni, registrate e pubblicate in diversi album usciti tra il 1992 e il 2015. In Under Cover ci sono infatti noti brani rifatti dal gruppo britannico, che spaziano su diversi generi, pur sorretti dalla solida colonna portante che è il rock. Abbiamo dunque pezzi più affini ai Motörhead come Breaking The Law dei Judas Priest, Whiplash dei Metallica e Hellraiser di Ozzy Osbourne per quanto riguarda il metal, ma non mancano storiche perle del classic rock, come il duplice omaggio ai Rolling Stones con Jumpin’ Jack Flash e Sympathy For The Devil, e sterzate sul mondo punk con God Save The Queen dei Sex Pistols e Rockaway Beach dei Ramones, band riguardo alla quale Lemmy non ha mai nascosto la sua particolare stima. Se alcuni dei pezzi citati convincono a fatica, pur facendo risaltare quel lato ludico che i Motörhead volevano far trasparire, la vera sorpresa sta nella cover di Heroes dell’altrettanto compianto David Bowie (mancato due settimane dopo la dipartita di Lemmy): i Motorhead propongono una versione del pezzo del Duca Bianco con il loro stile graffiato e condito da chitarre distorte, ma senza stravolgere il brano, mostrando il giusto rispetto per il brano e in particolare per il suo autore originale.
I più scettici si chiedono se questo disco sarebbe uscito nel caso i Motörhead fossero ancora attivi. Domanda legittima ma altrettanto inutile. Under Cover è semplicemente un album che omaggia dei grandi artisti e l’influenza che hanno avuto sul terzetto inglese, e che mostra la passione e il “play for fun” di Lemmy, Mikkey Dee e Phil Campbell.
Non è per nulla un disco pretenzioso, ma un lascito da ascoltare con un sorriso e, per i più affezionati, con tanta nostalgia.