Era il 2 ottobre 1970 quando è apparso per la prima volta nei negozi di dischi un album sulla cui copertina si può osservare in primo piano una mucca fotografata su un prato nella sua totalità e mentre guarda a sua volta l’obiettivo. Tanto è bastato per la cover di Atom Heart Mother, quinto album dei Pink Floyd. La protagonista della copertina si chiama Lulubelle III ed è una mucca di razza frisona che è stata fotografata in una campagna poco distante da Londra da Storm Thorgerson, amico di vecchia data della band e graphic designer che con il suo studio Hipgnosis collaborava e collaborerà in pianta stabile con il gruppo, firmando quasi tutte le copertine dei Pink Floyd.
Il lavoro di Storm Thorgerson è ben sintetizzato dal suo socio dell’Hipgnosis, Aubrey “Po” Powell: “Thorgerson non era un artista fantasy, usava soltanto elementi reali, ma li collocava in contesti spiazzanti”. E accade questo anche per la cover di Atom Heart Mother.
La copertina secondo il graphic designer deve essere “la meno psichedelica possibile, per nulla in stile Floyd, e completamente imprevedibile”. Il gruppo è d’accordo, dal momento che si sta progressivamente scrollando di dosso l’etichetta di band psichedelica propria degli esordi, per abbracciare maggiormente un altro tipo di sperimentazione che getterà le basi per i successi futuri. Tale esperienza passa allora anche dalla copertina, “completata” sul retro da altri tre esemplari di razza frisona, che guardano l’obiettivo, proprio come Lulubelle III sulla parte anteriore, ma senza raggiungere quello stesso impatto visivo. Arthur Chalke, il proprietario delle mucche, ha dichiarato di aver chiesto e ottenuto mille sterline per utilizzare quell’immagine, ma Storm Thorgerson ha sempre negato la veridicità di tale affermazione.
La scelta del graphic designer si rivela dunque originale. La sua proposta è ispirata a una carta da parati di Andy Warhol su cui sono raffigurate alcune mucche e piace ai Pink Floyd, mentre non soddisfa la loro casa discografica, la EMI, inizialmente restia in merito alla possibilità di immettere sul mercato un album con una copertina così insolita. A ciò va aggiunto inoltre che sulla cover non si legge né il nome del gruppo, né il titolo dell’album: non era né la prima volta, né sarà l’ultima che si verificherà un episodio simile, ma si tratta comunque, anche in questo caso, di un’idea inusuale (peraltro utilizzata in seguito da Storm Thorgerson per la maggior parte degli album successivi dei Pink Floyd e non solo).
Per Thorgerson una foto così semplice ha ottenuto un risalto maggiore, proprio perché è la copertina di un album dei Pink Floyd e non di un’altra band e a tal proposito aggiunge: “Era stupenda, nei negozi, quando l’album uscì. Era qualcosa di completamente diverso, e davvero pareva completamente diversa. Specialmente dal momento che il gruppo decise di non metterci sopra il nome, il che era assai rischioso da fare, a quei tempi. Ne sono estremamente orgoglioso”. E tale orgoglio deriva senz’altro anche dal successo ottenuto dall’album: Atom Heart Mother sarà infatti il primo lavoro dei Pink Floyd a raggiungere il primo posto della classifica dei dischi più venduti nel Regno Unito.
Il lavoro di Storm Thorgerson è ben sintetizzato dal suo socio dell’Hipgnosis, Aubrey “Po” Powell: “Thorgerson non era un artista fantasy, usava soltanto elementi reali, ma li collocava in contesti spiazzanti”. E accade questo anche per la cover di Atom Heart Mother.
La copertina secondo il graphic designer deve essere “la meno psichedelica possibile, per nulla in stile Floyd, e completamente imprevedibile”. Il gruppo è d’accordo, dal momento che si sta progressivamente scrollando di dosso l’etichetta di band psichedelica propria degli esordi, per abbracciare maggiormente un altro tipo di sperimentazione che getterà le basi per i successi futuri. Tale esperienza passa allora anche dalla copertina, “completata” sul retro da altri tre esemplari di razza frisona, che guardano l’obiettivo, proprio come Lulubelle III sulla parte anteriore, ma senza raggiungere quello stesso impatto visivo. Arthur Chalke, il proprietario delle mucche, ha dichiarato di aver chiesto e ottenuto mille sterline per utilizzare quell’immagine, ma Storm Thorgerson ha sempre negato la veridicità di tale affermazione.
La scelta del graphic designer si rivela dunque originale. La sua proposta è ispirata a una carta da parati di Andy Warhol su cui sono raffigurate alcune mucche e piace ai Pink Floyd, mentre non soddisfa la loro casa discografica, la EMI, inizialmente restia in merito alla possibilità di immettere sul mercato un album con una copertina così insolita. A ciò va aggiunto inoltre che sulla cover non si legge né il nome del gruppo, né il titolo dell’album: non era né la prima volta, né sarà l’ultima che si verificherà un episodio simile, ma si tratta comunque, anche in questo caso, di un’idea inusuale (peraltro utilizzata in seguito da Storm Thorgerson per la maggior parte degli album successivi dei Pink Floyd e non solo).
Per Thorgerson una foto così semplice ha ottenuto un risalto maggiore, proprio perché è la copertina di un album dei Pink Floyd e non di un’altra band e a tal proposito aggiunge: “Era stupenda, nei negozi, quando l’album uscì. Era qualcosa di completamente diverso, e davvero pareva completamente diversa. Specialmente dal momento che il gruppo decise di non metterci sopra il nome, il che era assai rischioso da fare, a quei tempi. Ne sono estremamente orgoglioso”. E tale orgoglio deriva senz’altro anche dal successo ottenuto dall’album: Atom Heart Mother sarà infatti il primo lavoro dei Pink Floyd a raggiungere il primo posto della classifica dei dischi più venduti nel Regno Unito.