È una delle cose tra le più vive e interessanti nate in Puglia negli ultimi decenni. Una miscela di storie, suoni e idiomi che la “patchanka” – nella sua girandola latina di ska, punk, rock, rap, reggae – era riuscita a inquadrare dentro i propri cardini di genere, così amabilmente traballanti, timbrando il passaporto di una band che avrebbe portato Foggia e la sua dura lingua – e la sua dura lex – lontanissimi da casa, fin fuori dai confini nazionali. Dalla vittoria all’Arezzo Wave del ’98 sino alla conquista del main stage dei migliori festival folk – l’Interceltique di Lorient, per dirne uno.
Sono gli Pseudofonia, folk band nata nel 1989 tra le aule dell’Istituto d’Arte del capoluogo dauno, in grado di ritagliarsi uno spazio altamente riconoscibile nel panorama musicale alternativo tra la fine degli anni ’90 e la prima metà degli anni ‘2000, quello dei figli e cugini di Manu Chao (o dei Mano Negra, a essere esatti), in Italia ben rappresentato dai Modena City Ramblers, senza però escludere 99 Posse, Almamegretta e Agricantus. A trent’anni dalla nascita, l’etichetta RadioSpia records presenta 30, un nuovo ep che celebra la band di culto di Capitanata, in distribuzione dal 18 dicembre 2019 e contenente materiale inedito e rimasterizzato con mirabile pulizia di suono: un omaggio ai fan che, ancora tantissimi, continuano a identificarsi in quei suoni, in quelle storie, in quel Sud vivido, attuale e così fortemente anti-retorico.
Cinque tracce con dentro un live e una cover, Scutuleja, quest’ultima interpretata da The Alpha States e realizzata tra il 2017 e il 2019 su idea e lavoro di Marco Maffei, nella cui esecuzione figurano anche due membri storici degli Pseudofonia, Michele Rendine e Niki Dell’Anno. Una versione, questa, che si discosta molto da quella originale datata 1999, di certo meno “balcanica”, impreziosita dalle incursioni dialettali più nette firmate da Angelo Cavallo e da accenti di synth e chitarra elettrica dosatissimi, tali da inquadrare il brano in chiave più onirica, a conferma della profonda malleabilità di una traccia ancora attualissima. Come attuali sono e restano i testi di brani come Gigione Nega Tutto e Uomo In Scatola, rispettivamente prima e seconda traccia, l’una esito di un mixaggio nuovo di zecca, l’altra egregiamente rimasterizzata: storie di chi “non si riconosce” e racconta “quel meschino giorno che forse era di sera”, di “chi cadeva di frequente e poco si rialzava” o ancora, nel linguaggio plastico e definitivo del popolo, di chi “nen vole chiù capì” (non vuole più capire) e alla fine, miseramente, “s’abbalish” (s’avvilisce). E poi i fiati, le voci, quegli “schiamazzi” così ben incastrati nel reticolo percussivo, tra italiano e dialetto, mai artificiosi, senza dimenticare l’ironia, il sarcasmo, il sapore dolceamaro che è l’esatto sapore della terra d’origine di una band che ha saputo correre fortissimo per poi rallentare di colpo, forse tradita da quello stesso futuro visto in tralice nelle proprie canzoni.
Completano 30 altre due tracce che, vuoi o non vuoi, hanno a che fare con la nostalgia. Un sentimento, questo, che nel nostro Mezzogiorno assume contorni rabbiosi, quanto meno di rivalsa, forse alla radice di chi ha voluto ricordare che trent’anni di Pseudofonia sono un traguardo che non deve passare inosservato. Si pensi alla marcia strumentale Lungo Viaggio Verso Casa (Ritorno A Foggia) – anch’essa rimasterizzata – che ha già nel titolo il proprio manifesto e che affida alla fisarmonica di Antonio Bucci tutto il suo messaggio di treno in corsa lungo l’Adriatico, raccontando generazioni migratorie che, oggi come ieri, continuano a portarsi i sogni in valigia. E si ascolti, infine, la versione dal vivo di Transumanza, registrata in stereofonia durante un memorabile concerto datato 2 settembre 2005, all’Anfiteatro Mediterraneo di Foggia, davanti a tantissimi giovani che si identificavano orgogliosi con la band della loro terra. L’intro che apre questa splendida chicca inedita è tratto da Kunz, “brano-inno” degli Pseudofonia: cinquanta secondi in versione remix firmati Emanuele Menga e inseriti prima della canzone che dà il titolo alla traccia, tra le voci entusiaste della gente, in attesa di ascoltare una storia antica che scorre come sangue tra le vene del Tavoliere.
Quell’anfiteatro a Foggia non esiste più, ma questa musica esiste ancora, come esistono quei ventenni assiepati sui gradoni di ieri e oggi quarantenni: 30 ne è la prova, ma è anche la loro voce che ritorna, oltre che l’omaggio a una band che col tempo – e forse anche col silenzio – sembra aver accresciuto la propria credibilità, se è vero che questa si misura con il passare del tempo.
Sono gli Pseudofonia, folk band nata nel 1989 tra le aule dell’Istituto d’Arte del capoluogo dauno, in grado di ritagliarsi uno spazio altamente riconoscibile nel panorama musicale alternativo tra la fine degli anni ’90 e la prima metà degli anni ‘2000, quello dei figli e cugini di Manu Chao (o dei Mano Negra, a essere esatti), in Italia ben rappresentato dai Modena City Ramblers, senza però escludere 99 Posse, Almamegretta e Agricantus. A trent’anni dalla nascita, l’etichetta RadioSpia records presenta 30, un nuovo ep che celebra la band di culto di Capitanata, in distribuzione dal 18 dicembre 2019 e contenente materiale inedito e rimasterizzato con mirabile pulizia di suono: un omaggio ai fan che, ancora tantissimi, continuano a identificarsi in quei suoni, in quelle storie, in quel Sud vivido, attuale e così fortemente anti-retorico.
Cinque tracce con dentro un live e una cover, Scutuleja, quest’ultima interpretata da The Alpha States e realizzata tra il 2017 e il 2019 su idea e lavoro di Marco Maffei, nella cui esecuzione figurano anche due membri storici degli Pseudofonia, Michele Rendine e Niki Dell’Anno. Una versione, questa, che si discosta molto da quella originale datata 1999, di certo meno “balcanica”, impreziosita dalle incursioni dialettali più nette firmate da Angelo Cavallo e da accenti di synth e chitarra elettrica dosatissimi, tali da inquadrare il brano in chiave più onirica, a conferma della profonda malleabilità di una traccia ancora attualissima. Come attuali sono e restano i testi di brani come Gigione Nega Tutto e Uomo In Scatola, rispettivamente prima e seconda traccia, l’una esito di un mixaggio nuovo di zecca, l’altra egregiamente rimasterizzata: storie di chi “non si riconosce” e racconta “quel meschino giorno che forse era di sera”, di “chi cadeva di frequente e poco si rialzava” o ancora, nel linguaggio plastico e definitivo del popolo, di chi “nen vole chiù capì” (non vuole più capire) e alla fine, miseramente, “s’abbalish” (s’avvilisce). E poi i fiati, le voci, quegli “schiamazzi” così ben incastrati nel reticolo percussivo, tra italiano e dialetto, mai artificiosi, senza dimenticare l’ironia, il sarcasmo, il sapore dolceamaro che è l’esatto sapore della terra d’origine di una band che ha saputo correre fortissimo per poi rallentare di colpo, forse tradita da quello stesso futuro visto in tralice nelle proprie canzoni.
Completano 30 altre due tracce che, vuoi o non vuoi, hanno a che fare con la nostalgia. Un sentimento, questo, che nel nostro Mezzogiorno assume contorni rabbiosi, quanto meno di rivalsa, forse alla radice di chi ha voluto ricordare che trent’anni di Pseudofonia sono un traguardo che non deve passare inosservato. Si pensi alla marcia strumentale Lungo Viaggio Verso Casa (Ritorno A Foggia) – anch’essa rimasterizzata – che ha già nel titolo il proprio manifesto e che affida alla fisarmonica di Antonio Bucci tutto il suo messaggio di treno in corsa lungo l’Adriatico, raccontando generazioni migratorie che, oggi come ieri, continuano a portarsi i sogni in valigia. E si ascolti, infine, la versione dal vivo di Transumanza, registrata in stereofonia durante un memorabile concerto datato 2 settembre 2005, all’Anfiteatro Mediterraneo di Foggia, davanti a tantissimi giovani che si identificavano orgogliosi con la band della loro terra. L’intro che apre questa splendida chicca inedita è tratto da Kunz, “brano-inno” degli Pseudofonia: cinquanta secondi in versione remix firmati Emanuele Menga e inseriti prima della canzone che dà il titolo alla traccia, tra le voci entusiaste della gente, in attesa di ascoltare una storia antica che scorre come sangue tra le vene del Tavoliere.
Quell’anfiteatro a Foggia non esiste più, ma questa musica esiste ancora, come esistono quei ventenni assiepati sui gradoni di ieri e oggi quarantenni: 30 ne è la prova, ma è anche la loro voce che ritorna, oltre che l’omaggio a una band che col tempo – e forse anche col silenzio – sembra aver accresciuto la propria credibilità, se è vero che questa si misura con il passare del tempo.