Dieci brani nell’esordio omonimo di Roberto Fedriga.
Allievo del vocal performer Boris Savoldelli, studia canto jazz e non nasconde la sua passione per artisti del calibro di Tim Buckley, Nick Drake, John Martyn e Tom Waits.
Il primo impatto è visivo ed è quello con la copertina e il resto della grafica curata da Armando Bolivar (il cantautore Alessandro Ducoli), il quale ha messo insieme immagini tratte da un importante volume della British Library: un incontro tra classico, fiaba, mito e mistero. E poi c’è un album con un mondo interiore raccontato in mezz’ora con il decisivo apporto di importanti musicisti bergamaschi come Nicola Mazzucconi (basso) e Guido Bombardieri (sax e clarinetto).
Jazz, folk-rock, blues e canzone d’autore nostrana sono distribuiti in un lavoro in cui volutamente non c’è un chiaro filo conduttore o ad ogni modo non c’è alla base l’idea di un concept.
In particolare, si notano soprattutto suggestioni musicalmente più nette con una buona ispirazione di fondo. E ad esse si unisce la voce del cantautore, la quale sembra quasi guidare le dinamiche spesso sommesse ma ben sostenute, sebbene possa sicuramente imboccare ancora altre direzioni, come in parte avviene negli ascolti successivi di pezzi tipo Arababy o Sirena Stonata.
Spiega Roberto Fedriga: “La scoperta di Tim Buckley è stata una folgorazione per la capacità di fondere più generi musicali, ma soprattutto per ciò che faceva con la sua voce. Cantare le sue canzoni ti porta a superare limiti non solo tecnici, ma soprattutto emozionali. Nel suo caso la tecnica non è fine a se stessa, è quasi involontariamente utilizzata per raggiungere confini psico-fisici mai raggiunti”. Una riflessione interessante per continuare e approfondire il discorso iniziato con questo autentico bigliettino da visita.
Allievo del vocal performer Boris Savoldelli, studia canto jazz e non nasconde la sua passione per artisti del calibro di Tim Buckley, Nick Drake, John Martyn e Tom Waits.
Il primo impatto è visivo ed è quello con la copertina e il resto della grafica curata da Armando Bolivar (il cantautore Alessandro Ducoli), il quale ha messo insieme immagini tratte da un importante volume della British Library: un incontro tra classico, fiaba, mito e mistero. E poi c’è un album con un mondo interiore raccontato in mezz’ora con il decisivo apporto di importanti musicisti bergamaschi come Nicola Mazzucconi (basso) e Guido Bombardieri (sax e clarinetto).
Jazz, folk-rock, blues e canzone d’autore nostrana sono distribuiti in un lavoro in cui volutamente non c’è un chiaro filo conduttore o ad ogni modo non c’è alla base l’idea di un concept.
In particolare, si notano soprattutto suggestioni musicalmente più nette con una buona ispirazione di fondo. E ad esse si unisce la voce del cantautore, la quale sembra quasi guidare le dinamiche spesso sommesse ma ben sostenute, sebbene possa sicuramente imboccare ancora altre direzioni, come in parte avviene negli ascolti successivi di pezzi tipo Arababy o Sirena Stonata.
Spiega Roberto Fedriga: “La scoperta di Tim Buckley è stata una folgorazione per la capacità di fondere più generi musicali, ma soprattutto per ciò che faceva con la sua voce. Cantare le sue canzoni ti porta a superare limiti non solo tecnici, ma soprattutto emozionali. Nel suo caso la tecnica non è fine a se stessa, è quasi involontariamente utilizzata per raggiungere confini psico-fisici mai raggiunti”. Una riflessione interessante per continuare e approfondire il discorso iniziato con questo autentico bigliettino da visita.