12/03/2025

Le “Sacre sinfonie” di Battiato – Intervista a Fabio Zuffanti

Tutta la storia di Battiato in un corposo testo del Castello

 

Per tanti anni il nome Fabio Zuffanti è stato associato al rock progressivo italiano. Pensiamo ai suoi album con Finisterre, Hostsonaten e Maschera di Cera, capitoli centrali per la rinascita del genere nell’ultimo trentennio. La sua firma però, negli ultimi anni, è fortemente legata a Franco Battiato.  L’autore genovese ha pubblicato tre libri su di lui e ora Il Castello (collana Chinaski) sforna il quarto: si intitola Sacre sinfonie. Battiato: tutta la storia ed esce oggi 12 marzo, in vista del suo ottantesimo compleanno. Ne parliamo con Zuffanti.

 

A breve Battiato avrebbe compiuto ottant’anni. Tu che dell’artista sei un fine conoscitore, pensi che avrebbe avuto ancora qualcosa da dire?

A modo suo credo che Franco non si sarebbe mai fermato. Intendo che non necessariamente avrebbe sfornato dischi colmi di novità ma sarebbe stato sempre stimolante seguire i suoi percorsi di investigazione. Magari avrebbe sperimentato maggiormente con il cinema (il suo Hendel era già pronto per essere girato, mancavano solo i giusti fondi) o con altre arti, chissà. A livello musicale il fatto che il suo ultimo album sia stato quello del progetto Joe Patti’s Experimental Group, lascia da pensare. Ottenuto tutto ciò che poteva ottenere in ambito pop, forse sarebbe tornato ad approfondire alcuni spunti messi in campo durante gli anni ‘70, oppure si sarebbe dedicato a nuove opere. In ogni caso un Battiato “fermo”, non sarebbe potuto esistere, non era nella sua indole.

 

Sacre Sinfonie è il tuo quarto lavoro su di lui. In cosa differisce dai precedenti?

Gli altri libri sono stati pensati per fan esigenti che, come me, erano alla ricerca di dettagli inediti e particolareggiati sul corpus discografico del compositore siciliano. Questo invece è rivolto a un pubblico più generalista, che magari conosce poco o nulla le sue gesta e vuole approfondire avendo a disposizione un ampio affresco che racconta in primis la sua vita. In ciò il lettore sarà agevolato dalla struttura, in parte romanzata, della storia, per immettere in pieno nelle atmosfere siciliane e milanesi nelle quali si è svolta la prima parte della carriera di Franco, e da tutta una serie di descrizioni del contesto storico e musicale entro il quale si è mosso, durante l’infanzia/adolescenza e nei suoi successivi anni di carriera. In fondo credo di avere immesso in questo libro il mio modo di pensare “prog”, non muovendomi all’interno di un unico genere, bensì fondendo romanzo, biografia, saggio storico e di costume. Aggiungo che questo libro andrà a creare un ponte con un romanzo, che spero di pubblicare quanto prima, nel quale, tra le altre cose, racconterò delle origini del mio amore per Franco. Derivato dal fatto che, in un momento molto difficile, la sua musica mi ha salvato la vita.

 

Proviamo a individuare l’alterità di Franco nei vari momenti storici che ha attraversato. In primis la fase della canzonetta, nella seconda metà degli anni ’60. Quel Battiato era allineato con il panorama dell’epoca o mostrava già una diversità?

Il Franco Battiato degli anni ’60 era, per sua ammissione, del tutto attratto e aderente alle regole della musica leggera di allora. Si era trasferito dalla Sicilia a Milano in cerca del successo, con l’ambizione di diventare una star della canzone. E i suoi singoli rispecchiano tale ambizione, almeno nei lati A. In alcuni b-sides si intravede invece la voglia di mischiare il linguaggio più disimpegnato con i nuovi stimoli provenienti dall’estero. Ciò anche grazie al suo collaboratore Giorgio Logiri, hendrixiano di ferro. Inoltre qua e là spunta l’amore di Franco per certo cantautorato di scuola francese-genovese. In generale nulla di rilevante, che possa fare intravedere i futuri sviluppi. È indubbio che, da un certo punto in avanti, Battiato avesse sentito in maniera potente la voglia di muoversi verso nuovi orizzonti. L’aria stava cambiando, i giovani erano sempre meno interessati alla musica leggera e il Nostro è stato molto bravo ad accodarsi ai venti di cambiamento. Il tutto mettendo in campo un linguaggio, questa volta sì, totalmente originale.

 

Nel decennio successivo si afferma il Battiato “sperimentale”. È l’epoca del rock, dei gruppi che abbattono la tradizione di Sanremo. I dischi del 72-73 possono essere annoverati nel fenomeno progressive o percorrono una direzione a sé?

Come si sa, nel calderone progressive sono state immesse realtà a volte diversissime tra loro. Per fare un esempio: i Genesis non avevano nulla a che fare con i Soft Machine. Appurato ciò, dal mio punto di vista i dischi di Franco del periodo 1972-74 appartengono di diritto al progressive per la loro filosofia, che è quella del genere stesso, ovvero il miscuglio tra vari stili, il superamento della forma canzone e la sperimentazione sui suoni. In quegli album Battiato ha operato una sintesi tra Stockhausen, i Popol Vuh, Terry Riley, i King Crimson e molto altro. Ha offerto lunghe suites e concept album e ha portato, per primo in Italia, il suono del VCS3. Il tutto è stato armonizzato dalla sua sensibilità che ha plasmato le influenze in qualcosa di suo.

 

Battiato in seguito approfondisce la ricerca nella musica contemporanea, rispetto alla quale però alcune posizioni critiche. Che significato hanno ancora oggi lavori come Battiato e L’Egitto prima delle sabbie?

È una fase, questa, che Battiato ricorderà sempre come la più alta del suo cammino musicale-spirituale. Il perché è chiaro: tanto gli album del periodo Ricordi risultano ostici, anche per un pubblico preparato come quello progressive, quanto riescono a fotografare perfettamente il cammino di ricerca che Franco stava compiendo in quel momento, entrando a fare parte della scuola milanese che si occupava di divulgare le discipline di Gurdjieff. In brani come e L’Egitto prima delle sabbie si intravede benissimo il loro essere composti per agevolare le pratiche sull’attenzione e sullo smarcarsi dall’uomo-macchina. Tutti dettami cari al mistico armeno. Con il grande spirito divulgativo che lo contraddistingueva, Franco metteva poi a disposizione del pubblico le sue ricerche. Certo, In questo periodo c’è stato anche Juke Box, forse quello (anche per il suo carattere di colonna sonora, anche se poi non utilizzata) è un lavoro che, in parte, lascia un po’ il tempo che trova. Nel quale Battiato voleva a tutti i costi mostrare i suoi sviluppi come compositore contemporaneo. Ma le opere più “meditative” non potranno mai perdere di significato, finché esisteranno persone che sono alla ricerca di sé.

 

Dal 1979/80 diventa un protagonista popular, un fenomeno ancora oggi analizzato, ascoltato e amato. Ma il pop di Battiato, dal Cinghiale Bianco ai Mondi Lontanissimi, è davvero rivolto alla massa?

In quel momento Franco aveva, da tutti i punti di vista, un vero bisogno di uscire dal guscio e tornare a parlare al grande pubblico. Ma voleva farlo a modo suo, inserendo influenze new wave-minimal-classicheggianti in ambito pop e non rinunciando allo spirito divulgativo di cui sopra, che gli permetteva, primo in Italia in ambito “leggero”, di disquisire di esoterismo e di tutto il resto del suo immaginario. Da lì, in una sorta di sfida con sé stesso, si arriva ai fenomenali risultati de La voce del padrone, nel quale il substrato melodico si fa ancora più accessibile e si intensifica l’uso di quel collage linguistico che in fondo altro non era se non la versione “a parole” degli esperimenti collagistici degli anni 70, come Ethika fon ethica. Dopo quell’exploit Franco cambia di nuovo direzione per condurre il suo nuovo pubblico verso arche, orizzonti e mondi che non possedevano lo stesso appeal commerciale de La voce ma in qualche modo “educavano” a musiche più colte e introspettive.

 

Alice, Milva, Giuni Russo, Giorgio Gaber, Alfredo Cohen, Juri Camisasca. Battiato è anche una firma, è parte di un team che scrive e produce – in alcuni casi lancia e rilancia – tanti artisti. Qual è stato il segreto della quadra con Pio e Messina?

La chiave di volta è stata la vittoria di Alice al festival di Sanremo. Lì si è capito che il grande pubblico era pronto per il pop “alla Battiato”. Un frangente nel quale il Nostro non ha fatto altro, insieme ai suoi collaboratori, se non inserire il substrato musicale di album come L’era del cinghiale bianco e Patriots, in un contesto di voci femminili o strumentisti dotati di grande personalità. Non scordiamoci inoltre la fascinazione che il personaggio Battiato in quegli anni aveva sul pubblico. Quel modo di fare elusivo e misterioso che anche Alice, Giuni, Milva, e persino Giusto Pio, avevano adottato in quel periodo. Ciò, a conti fatti, ha fatto sì che si creasse una sorta di “mistero Battiato” che coinvolgeva tutti coloro che gravitavano intorno a lui. Nessun segreto quindi, a mio avviso, ma una sorta di congiuntura astrale, un momento nel quale la massa si è accorta di quanto fosse intrigante il Battiato-mondo.

 

Una delle peculiarità che rende l’artista complesso da studiare è il non essersi fermato alla canzone. Abbiamo visto un Battiato operista, pittore, regista, persino politico. Al di fuori della musica, in quale ambito si è espresso in modo credibile e originale?

Personalmente credo che il suo lavoro pittorico sia un qualcosa che comunica grandi emozioni, specie i volti; esprimono in pieno l’armonia che Franco ha ricercato per tutta la vita. Nel cinema invece è riuscito a mostrare solo una parte di ciò che, col tempo, sarebbe potuto maturare.

 

Ho contato oltre quaranta libri su di lui, secondo te perché è sempre stato oggetto di grande attenzione?

Credo sia normale, nel momento in cui un artista di grande importanza viene a mancare, un maggiore interesse che porta ad approfondire la sua figura da diversi punti di vista. La cosa che mi ha stupito, nel recente corpus letterario dedicato a Battiato, è il fatto che spesso vengano messi da parte gli aspetti prettamente musicali e biografici e ci si concentri su interpretazioni di vario genere sui suoi testi e sul suo credo mistico-spirituale. In questo modo è come se gli autori plasmassero un Battiato a loro immagine e somiglianza, mettendogli in bocca concetti che magari egli era uso approfondire in altro modo.

 

A proposito di rapporto tra Battiato e il suo pubblico. Ogni gigante della musica italiana, da De André a Battisti passando tra De Gregori e Baglioni, simboleggia qualcosa di profondo per chi lo ha ascoltato. Secondo te qual è il motivo dell’amore che circonda Franco?

Battiato rappresenta il coraggio di non fermarsi mai, di non riposare sugli allori ma spingersi sempre oltre. Da questo punto di vista è stato unico e non sembra che tale modus operandi sia stato adottato, negli ultimi 20 anni di musica italiana. Ma non sappiamo cosa potrà riservarci il futuro, e Battiato resta, come un faro nella notte, a indicare il fatto che non ci si deve mai accontentare, bisogna sempre spingersi verso l’inaspettato. A qualsiasi costo.

Sacre sinfonie - Battiato tutta la storia - libro Fabio Zuffanti

On demand

Iscriviti alla Newsletter

Vuoi rimanere sempre aggiornato su rock e dintorni? Iscriviti alla nostra newsletter
per ricevere tutte le settimane nuovi video, contenuti esclusivi, interviste e tanto altro!