19/03/2013

Spiriti santi e spiriti liberi

Sinéad O’Connor si racconta a JAM, fra rock e religione: «La musica possiede la sacralità del sacerdozio»

La Chiesa, la società irlandese, il potere dello Spirito Santo, il ruolo dell’artista, l’amore per Dylan. In attesa di vederla dal vivo in Italia (il 2 aprile a Venezia e il 7 a Roma), Sinéad O’Connor si concede con generosità alle nostre domande. Smentendo la fama di mangiagiornalisti. Ecco un estratto dell’intervista pubblicata sul numero di marzo di JAM.

Bentornata Sinéad. Hai ripreso il tour e la promozione, sarai presto anche in Italia. Come descriveresti questo momento per te?
«La risposta che sto ricevendo dal pubblico è meravigliosa. Mi incoraggia a fare quello che amo di più, e cioè promuovere il disco, ma soprattutto suonare dal vivo, cercando di realizzare ogni sera il migliore spettacolo che posso. Esibirmi è la mia droga, non potrei farne a meno».

Sei sempre stata molto critica a proposito della realtà culturale e sociale del tuo Paese.
«Fino al giorno in cui ogni irlandese che ora ha più di 35 anni non sarà morto, la teocrazia non potrà dirsi completamente scomparsa dal DNA della realtà intellettuale in Irlanda, dove domina al 95%. Se l’Irlanda sarà un Paese libero sarà per merito dei nostri figli, dei figli di mia figlia, che ha 17 anni, e di mio figlio, che ne ha 25. Sanno esattamente ciò che meritano e non accettano niente di meno. Non sono rovinati come quelli della mia generazione. Saranno loro a guidare l’Irlanda un domani».

Quando ti intervistai l’ultima volta, in occasione dell’uscita dell’album Theology, mi dicesti che pensavi che Dio fosse ostaggio della religione. Lo credi ancora?
«Assolutamente sì. Esiste uno Spirito Santo che è al di là della religione, di ogni religione, e che era presente ben prima di essa. Forse la disprezza e finirà per sopravvivere anche quando la religione stessa scomparirà. Lo Spirito Santo ha commesso un enorme errore, quello di avere creato il libero arbitrio. Non può intervenire per conto nostro a meno che non siamo noi a chiederlo. Ho scoperto sin da quando ero molto giovane che lo Spirito Santo esiste e che risponde alla voce dell’uomo. Sembrerà infantile, ma ho sperimentato che se impariamo a chiederglielo in modo corretto, lo Spirito Santo interviene al nostro fianco. E in questo modo avremmo in fretta un mondo migliore».

In How About I Be Me (And You Be You)? del 2012 ci sono brani più felici e personali rispetto a Theology, forse perché è diversa la finalità. Quale è stata la scintilla che ti ha spinta a scrivere il nuovo disco?
«Direi che la scintilla sono stati i precedenti due album. Sin da bambina ho sempre considerato la musica con la sacralità del sacerdozio. La musica è come lo Spirito Santo».

Sul tuo sito pubblichi le tue confessioni scritte sotto forma di lettere a Bob Dylan. Che importanza ha avuto per te, sia artisticamente che a livello personale?
«È una sorta di padre spirituale, un modello. Mio fratello Joseph è più grande di me di tre anni e quando ne avevo 11 suonava in casa i suoi dischi. Mi ha fatto conoscere Slow Train Coming, il primo album religioso di Dylan, e in Irlanda a quel tempo la musica religiosa era dannatamente noiosa…».

Leggi tutta l’intervista sul numero di marzo di JAM

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