23/03/2015

Steve Earle & The Dukes

Un titolo preso a prestito da un blues di Robert Johnson… e non poteva quindi non essere blues anche il nuovo album del cantautore
Nel mondo musicale delle radici il termine Terraplane non può che evocare la mitica automobile della Hudson, messa in circolazione nel 1933 e presa a prestito dal leggendario Robert Johnson per costruire il blues omonimo che non è altro che una metafora sessuale fatta con i vari pezzi della macchina.
 
Senza essere così esplicito, anche Steve Earle prende lo stesso tipo di automobile a pretesto per raccontare dei suoi dolori amorosi: di un matrimonio andato male di cui non ha ancora metabolizzato la fine. Tralasciati tutti i generi concorrenti con cui si è espresso in passato, affida al solo blues il compito di narrare la triste storia dell’abbandono. Ecco allora arrivare Baby Baby Baby (Baby), una storia di indifferenza davanti a un cuore spezzato che cerca inutilmente un contatto telefonico (“baby baby can’t you hear me when I call you?”) in cui chitarra e armonica se la giocano sostenuti da una possente sezione ritmica, che lascia subito il posto a You’re The Best Lover That I Ever Had, costruita in modo un po’ più soffice e malinconico, con un breve riff chitarristico che continua a ripetersi, in cui i ricordi si mescolano fino a esaltare la figura dell’ex amante. The Tennessee Kid rievoca il patto col diavolo fatto proprio da Robert Johnson che in cambio del dono della musica vendette l’anima al demonio: è quasi un talking blues in cui Steve Earle cerca l’identificazione, mentre in Ain’t Nobody’s Daddy Now sembra finalmente ritornare ad apprezzare la libertà e la possibilità di incontrare nuove donne ovunque vada: non a caso, per l’occasione, abbandona il blues per cimentarsi in un più rilassato rag con l’aiuto di un bel violino. Tristezza e momentaneo sollievo continuano a intrecciarsi mentre si cimenta in Better Off Alone, uno dei pezzi più belli del disco, una ballata agro-dolce dai toni tristi sfumati, con un bel solo di chitarra che la valorizza. Con l’alternarsi degli stessi pigli si arriva alla conclusione del disco segnalando ancora la bella Gamblin’ Blues. L’ultimo pezzo non poteva che chiamarsi King Of The Blues ed è ancora un giocare a identificarsi con Robert Johnson.
 
Album sincero di sicura presa emotiva.
 
Se è piaciuto questo articolo potrebbe interessarti anche:
Intervista a Steve Earle
 
 

 

On demand

Iscriviti alla Newsletter

Vuoi rimanere sempre aggiornato su rock e dintorni? Iscriviti alla nostra newsletter
per ricevere tutte le settimane nuovi video, contenuti esclusivi, interviste e tanto altro!