Più realisti del re. Quando penso ai Pandora mi viene spesso in mente questa frase, che però nel caso della band piemontese non ha una connotazione negativa, bensì un valore positivo, quasi una chiave di lettura utile per comprendere meglio non solo la vicenda del gruppo ma più in generale la cornice storico-musicale nella quale si muove. E a proposito di utilità, questo nuovo album Ten Years Like In A Magic Dream arriva proprio al momento giusto: non è un lavoro di inediti per la band, reduce dal terzo album Alibi Filosofico (2013), ma nel suo essere tanto antologico quanto segnato da varie novità, offre un ulteriore punto di vista sulla storia dei Pandora. E allora, ancora una volta più realisti del re, e pour cause: come tanti gruppi dell’area new progressive dai primi anni ’80 ad oggi, i Pandora radicalizzano certi moduli tipici del progressive storico, finendo così col far risaltare le caratteristiche del genere proprio sottolineandole con l’adesione orgogliosa, la determinazione ostinata e convinta. Un realismo – anzi un “regalismo”, passateci il neologismo – progressivo ancora più marcato rispetto alla regalità dei padri fondatori Yes, Emerson Lake & Palmer e Genesis. Proprio dall’amore verso questi ultimi, e dal desiderio di omaggiarli offrendo anche a se stessi una sorta di “auto tributo” per dieci anni vissuti “in missione per conto del prog”, nasce Ten Years Like In A Magic Dream, quarto album dei Pandora, ancora una volta pubblicato da AMS Records.
Nel 2006 i Pandora si costituivano in modo definitivo con l’arrivo di Corrado Grappeggia, che si univa alla coppia fondativa, storica per motivi musicali ma soprattutto familiari: Beppe e Claudio Colombo, tastierista il primo, batterista/polistrumentista il secondo, padre e figlio uniti da un legame ancora più speciale, quello della continuità generazionale all’insegna del rock progressivo. Un segnale significativo, se pensiamo che il progressive a cavallo tra anni ’60 e ’70, come ogni corrente e sottogenere del più ampio calderone “classic rock”, nasceva e si sviluppava su un crinale opposto: quello della frattura generazionale, del divario tra i giovani dell’epoca e le proprie famiglie. Un divario che trovava nella cultura rock un punto di riferimento sociale, ancor prima che musicale. Oggi le cose sono molto diverse, quella cultura rock non ha più alcuna rilevanza “controculturale”, tanto che oggi ai concerti di Springsteen o degli Stones troviamo famiglie unite dalla passione per il rock e in una band come i Pandora troviamo un padre e un figlio che consolidano il loro affetto proprio con la composizione e la pratica musicale. Probabilmente è per questo che i Pandora hanno una convinzione ancora più salda rispetto a tanti colleghi italiani ed esteri: il prog per loro è un fatto “di sangue”, genetico, che trasmettono anche agli ospiti coinvolti in questa operazione. E che ospiti: Vittorio Nocenzi, David Jackson e Dino Fiore non hanno bisogno di presentazioni e la loro presenza in Ten Years non è uno specchietto per le allodole, ma la testimonianza di una continuità, di un passaggio di testimone che rende questo album un punto di snodo fondamentale in quel percorso partito dieci anni fa.
Per l’occasione i Pandora dividono Ten Years in tre sezioni, a cavallo tra passato e presente. Fragment Of The Present ci mostra la band di oggi, con la nuova line-up che vede passare in prima linea, alla voce solista, quella Emoni Viruet già nota ai fan perché autrice delle copertine, come questa di Ten Years. La prima sezione evidenzia il presente del quartetto, un presente importante che i Pandora vivono in pieno dopo il crescendo di tre album in studio, apprezzati sia in Italia che all’estero: ci riferiamo a Dramma di un poeta ubriaco (2008), Sempre e ovunque oltre il sogno (2011), Alibi Filosofico (2013). Fragment Of The Present è un convincente fermo-immagine dei Pandora attuali, che rivisitano in inglese quattro pezzi che racchiudono bene dieci anni di esperienza e ribadiscono l’impostazione dei Pandora: lontani dai clichè del new prog, i quattro focalizzano la loro attenzione da sempre su un’ipotesi di aggiornamento del vecchio, pastoso e sognante sound melodico all’italiana, debitamente rinvigorito – a tratti anche metallizzato – anche grazie all’estro di Claudio Colombo, da sempre motore non solo ritmico, ma anche musicale latu sensu, dei Pandora.
C’è un passaggio, una transizione, che rilancia l’idea di continuità e di passaggio del testimone tra passato e presente. Si chiama Temporal Transition e contiene una mini-suite tra i momenti più emozionanti del disco: i Pandora ovvero una famiglia che diventa gruppo e persegue con tenacia il proprio sogno, il Banco ovvero un gruppo-famiglia che sfida il tempo, l’incontro tra le due entità si consuma non solo nella cover di Canto di Primavera e nel moog solo di Vittorio Nocenzi, ma anche in un frammento vocale del compianto Francesco Di Giacomo, risalente ad una esibizione del Banco a Racconigi nel 1998, magicamente legata a un concerto dei Pandora. Si fa presto a dire cover, visto che il brano del 1979 è inserito in un contesto più ampio, quasi dolente vista l’apertura di Lamenti d’inverno: la rivisitazione di Canto di primavera rispetto all’originale ha un taglio differente, laddove il vecchio brano sprigionava una naturale e festosa energia primaverile, quello “pandorizzato” non può ignorare la scomparsa di Di Giacomo e Maltese e orientarsi a un diverso tipo di mood, lievemente crepuscolare e malinconico.
Saggiamente collocata al centro del disco, Temporal Transition apre alla sezione potenzialmente più controversa, quella Fragments Of The Past che omaggia i capolavori del passato. Oggi siamo tutti più smaliziati, le cover e i rifacimenti di vario genere sono così frequenti che siamo pronti ad accusare l’omaggiante di turno perché privo di sincerità o mosso da intenti poco nobili. Nel caso dei Pandora questa accusa viene smontata subito, visto che i quattro classici prescelti sono da contestualizzare proprio nel percorso di rilettura del passato: del proprio passato, di quello del prog come casa comune per gli appassionati di buona musica. E allora nel magico sogno durato dieci anni, Second Home by The Sea (Genesis), Man of a Thousand Faces (Marillion), Ritual – Part II (Yes) e Lucky Man (Emerson, Lake & Palmer) vengono smontate e rimontate quali “omaggi incrociati”, attraversate da un impeto rock che spesso e volentieri esula dal rispetto a tutti i costi dell’originale. Insomma non sono più semplici cover ma neanche atti di tributo agli amori di gioventù, bensì dei veri e propri pezzi di cuore, di cervello e di muscoli: parti integranti di una creatura musicale che è nata e cresciuta con quelle cellule, ma che dopo dieci anni si trova alta, possente, “di sana e robusta costituzione progressiva”. Buon decennale ai Pandora.
http://www.pandoramusic.eu/
Nel 2006 i Pandora si costituivano in modo definitivo con l’arrivo di Corrado Grappeggia, che si univa alla coppia fondativa, storica per motivi musicali ma soprattutto familiari: Beppe e Claudio Colombo, tastierista il primo, batterista/polistrumentista il secondo, padre e figlio uniti da un legame ancora più speciale, quello della continuità generazionale all’insegna del rock progressivo. Un segnale significativo, se pensiamo che il progressive a cavallo tra anni ’60 e ’70, come ogni corrente e sottogenere del più ampio calderone “classic rock”, nasceva e si sviluppava su un crinale opposto: quello della frattura generazionale, del divario tra i giovani dell’epoca e le proprie famiglie. Un divario che trovava nella cultura rock un punto di riferimento sociale, ancor prima che musicale. Oggi le cose sono molto diverse, quella cultura rock non ha più alcuna rilevanza “controculturale”, tanto che oggi ai concerti di Springsteen o degli Stones troviamo famiglie unite dalla passione per il rock e in una band come i Pandora troviamo un padre e un figlio che consolidano il loro affetto proprio con la composizione e la pratica musicale. Probabilmente è per questo che i Pandora hanno una convinzione ancora più salda rispetto a tanti colleghi italiani ed esteri: il prog per loro è un fatto “di sangue”, genetico, che trasmettono anche agli ospiti coinvolti in questa operazione. E che ospiti: Vittorio Nocenzi, David Jackson e Dino Fiore non hanno bisogno di presentazioni e la loro presenza in Ten Years non è uno specchietto per le allodole, ma la testimonianza di una continuità, di un passaggio di testimone che rende questo album un punto di snodo fondamentale in quel percorso partito dieci anni fa.
Per l’occasione i Pandora dividono Ten Years in tre sezioni, a cavallo tra passato e presente. Fragment Of The Present ci mostra la band di oggi, con la nuova line-up che vede passare in prima linea, alla voce solista, quella Emoni Viruet già nota ai fan perché autrice delle copertine, come questa di Ten Years. La prima sezione evidenzia il presente del quartetto, un presente importante che i Pandora vivono in pieno dopo il crescendo di tre album in studio, apprezzati sia in Italia che all’estero: ci riferiamo a Dramma di un poeta ubriaco (2008), Sempre e ovunque oltre il sogno (2011), Alibi Filosofico (2013). Fragment Of The Present è un convincente fermo-immagine dei Pandora attuali, che rivisitano in inglese quattro pezzi che racchiudono bene dieci anni di esperienza e ribadiscono l’impostazione dei Pandora: lontani dai clichè del new prog, i quattro focalizzano la loro attenzione da sempre su un’ipotesi di aggiornamento del vecchio, pastoso e sognante sound melodico all’italiana, debitamente rinvigorito – a tratti anche metallizzato – anche grazie all’estro di Claudio Colombo, da sempre motore non solo ritmico, ma anche musicale latu sensu, dei Pandora.
C’è un passaggio, una transizione, che rilancia l’idea di continuità e di passaggio del testimone tra passato e presente. Si chiama Temporal Transition e contiene una mini-suite tra i momenti più emozionanti del disco: i Pandora ovvero una famiglia che diventa gruppo e persegue con tenacia il proprio sogno, il Banco ovvero un gruppo-famiglia che sfida il tempo, l’incontro tra le due entità si consuma non solo nella cover di Canto di Primavera e nel moog solo di Vittorio Nocenzi, ma anche in un frammento vocale del compianto Francesco Di Giacomo, risalente ad una esibizione del Banco a Racconigi nel 1998, magicamente legata a un concerto dei Pandora. Si fa presto a dire cover, visto che il brano del 1979 è inserito in un contesto più ampio, quasi dolente vista l’apertura di Lamenti d’inverno: la rivisitazione di Canto di primavera rispetto all’originale ha un taglio differente, laddove il vecchio brano sprigionava una naturale e festosa energia primaverile, quello “pandorizzato” non può ignorare la scomparsa di Di Giacomo e Maltese e orientarsi a un diverso tipo di mood, lievemente crepuscolare e malinconico.
Saggiamente collocata al centro del disco, Temporal Transition apre alla sezione potenzialmente più controversa, quella Fragments Of The Past che omaggia i capolavori del passato. Oggi siamo tutti più smaliziati, le cover e i rifacimenti di vario genere sono così frequenti che siamo pronti ad accusare l’omaggiante di turno perché privo di sincerità o mosso da intenti poco nobili. Nel caso dei Pandora questa accusa viene smontata subito, visto che i quattro classici prescelti sono da contestualizzare proprio nel percorso di rilettura del passato: del proprio passato, di quello del prog come casa comune per gli appassionati di buona musica. E allora nel magico sogno durato dieci anni, Second Home by The Sea (Genesis), Man of a Thousand Faces (Marillion), Ritual – Part II (Yes) e Lucky Man (Emerson, Lake & Palmer) vengono smontate e rimontate quali “omaggi incrociati”, attraversate da un impeto rock che spesso e volentieri esula dal rispetto a tutti i costi dell’originale. Insomma non sono più semplici cover ma neanche atti di tributo agli amori di gioventù, bensì dei veri e propri pezzi di cuore, di cervello e di muscoli: parti integranti di una creatura musicale che è nata e cresciuta con quelle cellule, ma che dopo dieci anni si trova alta, possente, “di sana e robusta costituzione progressiva”. Buon decennale ai Pandora.
http://www.pandoramusic.eu/