Difficile dire qualcosa di Vasco che non sia già stato ampiamente analizzato, controllato, verificato. Così come arduo è rapportarsi in modo scevro da aspettative ad un album che, nel bene o nel male, segnerà inevitabilmente le classifiche di gradimento di questa fine d’anno. Fa impressione pensare che siano già passati sette anni dal suo ultimo album di inediti e ben dieci da quel Vivere o niente in cui il “provocautore” preferiva parlare al singolare (“Eh…già, io sono ancora qua, Sono innocente ma…”), mentre oggi torna a farsi portavoce del proprio popolo con un plurale che la dice lunga sulla sua voglia di condivisione post lockdown.
Tanto in termini di liriche che prettamente musicali, Siamo Qui torna a parlare un linguaggio che, seppur sempre presente nel nuovo millennio, permette all’ascoltatore di piombare idealmente alla prima metà degli anni novanta. Quasi si trattasse dell’anello di congiunzione ideale tra Gli Spari Sopra e Nessun Pericolo… Per Te. L’assenza di elementi elettronici, unita a un’urgenza espressiva che non si avvertiva così forte da tempo, fa poi sì che il Vasco ormai prossimo ai settanta riesca a risultare credibile, al passo coi tempi e, allo stesso tempo, più classico che mai. Questo anche grazie a un team formato da collaudatissimi collaboratori (Celso Valli, Gaetano Curreri, Stef Burns, solo per citarne una manciata) e a più o meno nuovi innesti, primo su tutti Vince Pastano. Il chitarrista, giunto simbolicamente alla corte di Vasco a trentasei anni, gli stessi di Massimo Riva al momento della scomparsa, non solo si dimostra all’altezza dei suoi predecessori, ma sembra davvero essere la persona perfetta per traghettare il Blasco verso i cinquant’anni di carriera. Anche dal punto di vista della produzione, uno dei pesantissimi fardelli lasciati dalla perdita di Guido Elmi. Per rendersene conto basti ascoltare l’opener XI Comandamento o Tu Ce L’hai Con Me, sassata dal sapore quasi industrial che rappresenta uno degli apici assoluti del lotto. Credo non sia nemmeno un caso che Siamo Qui veda la luce all’inizio di un nuovo decennio, da sempre un momento storico affine alla poesia di Vasco. Così come è difficile pensare che il nostro non si sia reso conto che alcuni dei suoi brani più iconici, corali e malinconici abbiano visto la luce con scadenza quasi cabalistica. A partire dall’inno per eccellenza Siamo Solo Noi del 1981, passando per Siamo Soli di vent’anni dopo e (noi siamo) I Soliti del 2011, fino ad arrivare proprio al singolo che dà il nome al nuovo lavoro, Vasco è sempre riuscito a condensare il proprio pensiero in pezzi che sembrano legati da un chiaro fil rouge filosofico. Se a questi brani, poi, aggiungiamo Liberi Liberi (siamo noi, ancora una volta), uscita nel 1990, il quadro appare completo.
In pratica, ogni dieci anni esatti (o quasi), Vasco sembra avvertire il bisogno di tirare le somme della propria esistenza, con una consapevolezza sempre maggiore che, però, non sembra in grado di consolare. Né lui, né tantomeno il proprio pubblico. La verità è che, al di là di quello che si possa pensare di lui, che lo si possa idolatrare o detestare, Vasco resta una delle poche certezze del nostro panorama musicale e della poca cultura rimasta nel nostro Paese. Nonostante tutto, insomma, siamo qui. Forse pieni di guai, ma decisamente ancora vivi.
Tanto in termini di liriche che prettamente musicali, Siamo Qui torna a parlare un linguaggio che, seppur sempre presente nel nuovo millennio, permette all’ascoltatore di piombare idealmente alla prima metà degli anni novanta. Quasi si trattasse dell’anello di congiunzione ideale tra Gli Spari Sopra e Nessun Pericolo… Per Te. L’assenza di elementi elettronici, unita a un’urgenza espressiva che non si avvertiva così forte da tempo, fa poi sì che il Vasco ormai prossimo ai settanta riesca a risultare credibile, al passo coi tempi e, allo stesso tempo, più classico che mai. Questo anche grazie a un team formato da collaudatissimi collaboratori (Celso Valli, Gaetano Curreri, Stef Burns, solo per citarne una manciata) e a più o meno nuovi innesti, primo su tutti Vince Pastano. Il chitarrista, giunto simbolicamente alla corte di Vasco a trentasei anni, gli stessi di Massimo Riva al momento della scomparsa, non solo si dimostra all’altezza dei suoi predecessori, ma sembra davvero essere la persona perfetta per traghettare il Blasco verso i cinquant’anni di carriera. Anche dal punto di vista della produzione, uno dei pesantissimi fardelli lasciati dalla perdita di Guido Elmi. Per rendersene conto basti ascoltare l’opener XI Comandamento o Tu Ce L’hai Con Me, sassata dal sapore quasi industrial che rappresenta uno degli apici assoluti del lotto. Credo non sia nemmeno un caso che Siamo Qui veda la luce all’inizio di un nuovo decennio, da sempre un momento storico affine alla poesia di Vasco. Così come è difficile pensare che il nostro non si sia reso conto che alcuni dei suoi brani più iconici, corali e malinconici abbiano visto la luce con scadenza quasi cabalistica. A partire dall’inno per eccellenza Siamo Solo Noi del 1981, passando per Siamo Soli di vent’anni dopo e (noi siamo) I Soliti del 2011, fino ad arrivare proprio al singolo che dà il nome al nuovo lavoro, Vasco è sempre riuscito a condensare il proprio pensiero in pezzi che sembrano legati da un chiaro fil rouge filosofico. Se a questi brani, poi, aggiungiamo Liberi Liberi (siamo noi, ancora una volta), uscita nel 1990, il quadro appare completo.
In pratica, ogni dieci anni esatti (o quasi), Vasco sembra avvertire il bisogno di tirare le somme della propria esistenza, con una consapevolezza sempre maggiore che, però, non sembra in grado di consolare. Né lui, né tantomeno il proprio pubblico. La verità è che, al di là di quello che si possa pensare di lui, che lo si possa idolatrare o detestare, Vasco resta una delle poche certezze del nostro panorama musicale e della poca cultura rimasta nel nostro Paese. Nonostante tutto, insomma, siamo qui. Forse pieni di guai, ma decisamente ancora vivi.