Finalmente soli. Come quando vivevano nel medesimo edificio della Grande Mela e, ogni tanto, si trovavano a scambiarsi idee musicali. In quei giorni, Sting si sentiva “un alieno, un inglese a New York”, mentre stasera sembra proprio a suo agio. Ora loro due sono sul palco del Forum di Assago, dopo quasi tre ore di spettacolo, con due chitarre acustiche e nessuno dei loro “16 musicisti 16” alle spalle. Cantano meravigliosamente in armonia When Will I Be Loved, un vecchio brano degli Everly Brothers, i grandi idoli di gioventù di Simon & Garfunkel. E lo fanno in modo divertito e al tempo stesso rilassato, replicando il mood che hanno mostrato al pubblico, giustamente entusiasta, che ha riempito il Forum di Assago in ogni ordine di posti.
Uno show, quello di Sting e Paul Simon, che non ha deluso le aspettative. Un concerto che ha mostrato le due anime degli artisti: quella più spumeggiante ed energetica di uno Sting (con tanto di barba ascetica) apparso in forma fisica e artistica smagliante, e quella delicata, poetica, melodica ma anche sensualmente sincopata dell’inimitabile “Rhymin’ Simon”, uno dei più grandi poeti della storia del rock. Uno spettacolo che si è rivelato un formidabile frullato di emozioni: dalla sorpresa di vederli subito insieme duettare su una briosa Brand New Day e una ritmatissima The Boy In The Bubble, alla travolgente pulsione dei pezzi che Sting interpreta con convinzione e “tonicità” (So Lonely, Walking On The Moon e Englishman In New York su tutte). Dalla dolce malinconia di Fields Of Gold all’elegante romanticismo di Still Crazy After All These Years, resa da un Simon in versione crooner, dalla tenera nostalgia di una deliziosa Mrs. Robinson cantata insieme alla sofisticata e ritmica sensualità di Me And Julio Down By The Schoolyard.
Il Forum si trasforma così in uno sciccoso ballroom degli anni ’40, con tendaggi a fare da quinta e pesanti lampadari (che in realtà nascondono un modernissimo ed efficiente sistema di luci) a completare una scenografia dominata dal poderoso “back line”: sul palco ci sono 16 musicisti che costituiscono il cuore delle abituali “squadre” di ciascuno dei due artisti. Insieme a Sting spiccano il grande David Sancious alle tastiere e il leggendario Vinnie Colaiuta alla batteria, la vocalist australiana Jo Lawry, il fedele Dominic Miller alle chitarre e il supersonico giovane violinista del Northumberland Peter Tickell, fratellastro di Kathryn Tickell, bravissima suonatrice di cornamuse già alla corte di Sting. Alle spalle di Paul Simon ci sono, tra gli altri, il prodigioso polistrumentista Mark Stewart, il bassista di Graceland Bakhiti Kumalo e il chitarrista camerunense Vince Nguini.
E, se piace l’omaggio che Sting fa all’amico interpretando da solo uno dei suoi inni (America) che sfocia in un’eccitante versione di Message In A Bottle, altrettanto convince il Paul Simon che duetta su Fragile. Ma se, sino a metà concerto, l’energia di Sting, la sua innata propensione allo show (Roxanne cantata dal pubblico è esemplare) e le sue fantastiche doti di performer bravo, intelligente e furbo sembrano farla da padrone, nella seconda parte del set la qualità compositiva di Paul Simon, la sensazionale gamma timbrica, ritmica e melodica del suo repertorio, la sua classe cristallina prendono il sopravvento. Dalla poesia acustica di Hearts and Bones che sfocia in Mystery Train prima e in Wheels (fingerstyle di Chet Atkins) poi, alle poliritmie brasiliane di The Obvious Child sino alle incontenibili Diamonds On The Sole Of Her Shoes e You Can Call Me Al il “piccolo grande Simon” incanta tutti. Prima dei due bis, Cecilia e Every Breath You Take.
Chi ha riempito le prime file (scucendo la bellezza di quasi 190 euro) non ricorderà il prezzo del biglietto: conserverà negli occhi, nelle orecchie e nel cuore suoni, immagini e vibrazioni di una serata indimenticabile in cui il rock si è elevato a forma d’arte suprema.
Il tour, iniziato nel febbraio del 2014 a Houston, si concluderà il 18 aprile ad Amsterdam per un totale di 250.000 spettatori e un incasso di quasi 30 milioni di dollari.
Uno show, quello di Sting e Paul Simon, che non ha deluso le aspettative. Un concerto che ha mostrato le due anime degli artisti: quella più spumeggiante ed energetica di uno Sting (con tanto di barba ascetica) apparso in forma fisica e artistica smagliante, e quella delicata, poetica, melodica ma anche sensualmente sincopata dell’inimitabile “Rhymin’ Simon”, uno dei più grandi poeti della storia del rock. Uno spettacolo che si è rivelato un formidabile frullato di emozioni: dalla sorpresa di vederli subito insieme duettare su una briosa Brand New Day e una ritmatissima The Boy In The Bubble, alla travolgente pulsione dei pezzi che Sting interpreta con convinzione e “tonicità” (So Lonely, Walking On The Moon e Englishman In New York su tutte). Dalla dolce malinconia di Fields Of Gold all’elegante romanticismo di Still Crazy After All These Years, resa da un Simon in versione crooner, dalla tenera nostalgia di una deliziosa Mrs. Robinson cantata insieme alla sofisticata e ritmica sensualità di Me And Julio Down By The Schoolyard.
Il Forum si trasforma così in uno sciccoso ballroom degli anni ’40, con tendaggi a fare da quinta e pesanti lampadari (che in realtà nascondono un modernissimo ed efficiente sistema di luci) a completare una scenografia dominata dal poderoso “back line”: sul palco ci sono 16 musicisti che costituiscono il cuore delle abituali “squadre” di ciascuno dei due artisti. Insieme a Sting spiccano il grande David Sancious alle tastiere e il leggendario Vinnie Colaiuta alla batteria, la vocalist australiana Jo Lawry, il fedele Dominic Miller alle chitarre e il supersonico giovane violinista del Northumberland Peter Tickell, fratellastro di Kathryn Tickell, bravissima suonatrice di cornamuse già alla corte di Sting. Alle spalle di Paul Simon ci sono, tra gli altri, il prodigioso polistrumentista Mark Stewart, il bassista di Graceland Bakhiti Kumalo e il chitarrista camerunense Vince Nguini.
E, se piace l’omaggio che Sting fa all’amico interpretando da solo uno dei suoi inni (America) che sfocia in un’eccitante versione di Message In A Bottle, altrettanto convince il Paul Simon che duetta su Fragile. Ma se, sino a metà concerto, l’energia di Sting, la sua innata propensione allo show (Roxanne cantata dal pubblico è esemplare) e le sue fantastiche doti di performer bravo, intelligente e furbo sembrano farla da padrone, nella seconda parte del set la qualità compositiva di Paul Simon, la sensazionale gamma timbrica, ritmica e melodica del suo repertorio, la sua classe cristallina prendono il sopravvento. Dalla poesia acustica di Hearts and Bones che sfocia in Mystery Train prima e in Wheels (fingerstyle di Chet Atkins) poi, alle poliritmie brasiliane di The Obvious Child sino alle incontenibili Diamonds On The Sole Of Her Shoes e You Can Call Me Al il “piccolo grande Simon” incanta tutti. Prima dei due bis, Cecilia e Every Breath You Take.
Chi ha riempito le prime file (scucendo la bellezza di quasi 190 euro) non ricorderà il prezzo del biglietto: conserverà negli occhi, nelle orecchie e nel cuore suoni, immagini e vibrazioni di una serata indimenticabile in cui il rock si è elevato a forma d’arte suprema.
Il tour, iniziato nel febbraio del 2014 a Houston, si concluderà il 18 aprile ad Amsterdam per un totale di 250.000 spettatori e un incasso di quasi 30 milioni di dollari.