Un’altra splendida corsa per l’Oblivion Express di Brian Auger, quella del 28 ottobre al Blue Note di Milano. Un degno saluto all’Europa prima di fare nuovamente rotta verso la California, dopo un tour durato cinque settimane.
Per qualcuno il suo nome è poco più che un vago ricordo, ma Brian Auger, settantacinque anni suonati, ha davvero fatto la storia. È riuscito a combinare jazz e rock nella Londra dei primi anni Sessanta, diventando così di fatto uno dei padri della fusion, e più in là per molti dei suoi fan il “padrino dell’acid jazz”. Le sue gesta sui tasti dell’organo Hammond B3 hanno contribuito a scrivere una pagina importante dello strumento e a farlo esibire insieme ai più grandi con i suoi Oblivion Express.
È stato dopo lo scioglimento della band nel ’77 che il suo nome ha iniziato a venire lentamente dimenticato. Qualche disco e qualche concerto qua e là, ma l’epoca dei successi veri sembrava svanita. A metà degli anni ’90 poi, la decisione di provare a mettere di nuovo in moto il treno che, attraverso qualche cambio di formazione, ha ripreso a macinare a pieno ritmo e si è presentato sulle assi del Blue Note in piena forma.
Appena salito sul palco, il tastierista presenta la band che lo accompagna, in un italiano sciolto e infarcito di battute, eredità del periodo passato nel nostro paese a metà degli anni ’80. La giovane sezione ritmica è composta da due figli d’arte: il suo, Karma, alla batteria; quello del chitarrista Larry Carlton, Travis, al basso. Dietro al microfono c’è invece uno della vecchia guardia: Alex Ligertwood, già singer nell’epoca d’oro degli Oblivion Express. Abito grigio, fisico smilzo e ghigno da imbonitore che spunta da sotto al trilby calcato sulla testa, Ligertwood si rivela essere la spalla perfetta per Auger, capace di innescare la giusta alchimia con il pubblico, uno dei punti di forza dello show. Allo scozzese bastano pochi attimi per magnetizzare i presenti e conquistarne la simpatia, mantenendo alta l’attenzione per tutta la durata del concerto. La sua è una performance trascinante: incita la platea a tenere il tempo e a cantare, dà leggere pennellate di colore latino con piccole percussioni (sarà il segno di dieci anni e più con Santana?), accenna qualche improvvisazione scat, imbraccia la chitarra, anche se più che altro per accompagnamenti semplici. Forse la voce non ha l’energia di una volta, ma resta saldissima, ammaliante.
Freedom Jazz Dance è appena iniziata, e la band dà subito l’impressione di non volersi risparmiare, mentre Auger riesce a strappare con le sue improvvisazioni il primo di molti applausi a scena aperta. Il secondo brano è uno dei più noti della band, Happiness Is Just Around The Bend. Seguono due pezzi tratti dall’album Straight Ahead, la title track e la delicata cover del brano di Wes Montgomery Bumpin’ On Sunset.
L’Hammond e la tastiera di Auger sono ovviamente le portate principali, frizzanti e briosi come lui. Anche il tastierista mostra una straordinaria capacità di comunicare con il pubblico: esegue tutto con naturalezza e maestria, riuscendo a infondere appieno il suo entusiasmo nei tasti; mentre canta sulle improvvisazioni, si rivolge continuamente alla platea con compiaciuti sguardi d’intesa. La sezione ritmica che lo accompagna non sbaglia un colpo. Mentre il figlio Karma coglie qualche occasione per mettersi in mostra, Carlton non esce quasi mai dai ranghi, facendosi comunque apprezzare con il suo accompagnamento solido, fatto di virtuosismi discreti.
La carrellata di vecchie glorie prosegue: scherzosamente Auger sostiene che Truth sia stato ritrovato su un disco in terracotta risalente all’antica Roma. In realtà il brano non sente affatto il peso dell’età e mantiene un sound freschissimo, come del resto tutti gli altri pezzi proposti, che appaiono estremamente attuali.
Lo show si avvia alla conclusione conservando un ritmo elevato e senza il minimo segno di cedimento. Whenever You’re Ready si trasforma nel mantra di A Love Supreme di John Coltrane, prima di spegnersi per lasciare che il basso di Carlton trascini uno dei pezzi più carichi e meglio riusciti della serata, la cover Compared To What, salutata da un’autentica ovazione. Dopo una breve uscita, la band torna per l’ultimo brano; con un giro funky, il basso è nuovamente la scintilla che innesca la jam del congedo, Brain Damage.
Probabilmente, la fama degli anni ’70 è destinata a rimanere solo un ricordo per Brian Auger, che del resto già aveva profetizzato un simile epilogo scegliendo il nome per la sua band controcorrente, “treno verso l’oblio”. Non c’è però segno del minimo pentimento quando il tastierista dice, commentando il brano omonimo: “Noi siamo così, andiamo Straight Ahead, avanti sempre”. Quel che è certo è che i presenti al Blue Note non si dimenticheranno facilmente dell’Oblivion Express, già pronto a partire per la prossima stazione.
Per qualcuno il suo nome è poco più che un vago ricordo, ma Brian Auger, settantacinque anni suonati, ha davvero fatto la storia. È riuscito a combinare jazz e rock nella Londra dei primi anni Sessanta, diventando così di fatto uno dei padri della fusion, e più in là per molti dei suoi fan il “padrino dell’acid jazz”. Le sue gesta sui tasti dell’organo Hammond B3 hanno contribuito a scrivere una pagina importante dello strumento e a farlo esibire insieme ai più grandi con i suoi Oblivion Express.
È stato dopo lo scioglimento della band nel ’77 che il suo nome ha iniziato a venire lentamente dimenticato. Qualche disco e qualche concerto qua e là, ma l’epoca dei successi veri sembrava svanita. A metà degli anni ’90 poi, la decisione di provare a mettere di nuovo in moto il treno che, attraverso qualche cambio di formazione, ha ripreso a macinare a pieno ritmo e si è presentato sulle assi del Blue Note in piena forma.
Appena salito sul palco, il tastierista presenta la band che lo accompagna, in un italiano sciolto e infarcito di battute, eredità del periodo passato nel nostro paese a metà degli anni ’80. La giovane sezione ritmica è composta da due figli d’arte: il suo, Karma, alla batteria; quello del chitarrista Larry Carlton, Travis, al basso. Dietro al microfono c’è invece uno della vecchia guardia: Alex Ligertwood, già singer nell’epoca d’oro degli Oblivion Express. Abito grigio, fisico smilzo e ghigno da imbonitore che spunta da sotto al trilby calcato sulla testa, Ligertwood si rivela essere la spalla perfetta per Auger, capace di innescare la giusta alchimia con il pubblico, uno dei punti di forza dello show. Allo scozzese bastano pochi attimi per magnetizzare i presenti e conquistarne la simpatia, mantenendo alta l’attenzione per tutta la durata del concerto. La sua è una performance trascinante: incita la platea a tenere il tempo e a cantare, dà leggere pennellate di colore latino con piccole percussioni (sarà il segno di dieci anni e più con Santana?), accenna qualche improvvisazione scat, imbraccia la chitarra, anche se più che altro per accompagnamenti semplici. Forse la voce non ha l’energia di una volta, ma resta saldissima, ammaliante.
Freedom Jazz Dance è appena iniziata, e la band dà subito l’impressione di non volersi risparmiare, mentre Auger riesce a strappare con le sue improvvisazioni il primo di molti applausi a scena aperta. Il secondo brano è uno dei più noti della band, Happiness Is Just Around The Bend. Seguono due pezzi tratti dall’album Straight Ahead, la title track e la delicata cover del brano di Wes Montgomery Bumpin’ On Sunset.
L’Hammond e la tastiera di Auger sono ovviamente le portate principali, frizzanti e briosi come lui. Anche il tastierista mostra una straordinaria capacità di comunicare con il pubblico: esegue tutto con naturalezza e maestria, riuscendo a infondere appieno il suo entusiasmo nei tasti; mentre canta sulle improvvisazioni, si rivolge continuamente alla platea con compiaciuti sguardi d’intesa. La sezione ritmica che lo accompagna non sbaglia un colpo. Mentre il figlio Karma coglie qualche occasione per mettersi in mostra, Carlton non esce quasi mai dai ranghi, facendosi comunque apprezzare con il suo accompagnamento solido, fatto di virtuosismi discreti.
La carrellata di vecchie glorie prosegue: scherzosamente Auger sostiene che Truth sia stato ritrovato su un disco in terracotta risalente all’antica Roma. In realtà il brano non sente affatto il peso dell’età e mantiene un sound freschissimo, come del resto tutti gli altri pezzi proposti, che appaiono estremamente attuali.
Lo show si avvia alla conclusione conservando un ritmo elevato e senza il minimo segno di cedimento. Whenever You’re Ready si trasforma nel mantra di A Love Supreme di John Coltrane, prima di spegnersi per lasciare che il basso di Carlton trascini uno dei pezzi più carichi e meglio riusciti della serata, la cover Compared To What, salutata da un’autentica ovazione. Dopo una breve uscita, la band torna per l’ultimo brano; con un giro funky, il basso è nuovamente la scintilla che innesca la jam del congedo, Brain Damage.
Probabilmente, la fama degli anni ’70 è destinata a rimanere solo un ricordo per Brian Auger, che del resto già aveva profetizzato un simile epilogo scegliendo il nome per la sua band controcorrente, “treno verso l’oblio”. Non c’è però segno del minimo pentimento quando il tastierista dice, commentando il brano omonimo: “Noi siamo così, andiamo Straight Ahead, avanti sempre”. Quel che è certo è che i presenti al Blue Note non si dimenticheranno facilmente dell’Oblivion Express, già pronto a partire per la prossima stazione.