Dusty Springfield

2 marzo 1999 – Addio Dusty Springfield, bianca signora del soul

Nella chiesa di St. Mary a Henley sul Tamigi sono più di 300 le persone riunite per dare l’addio a Dusty Springfield, la bianca signora del soul inglese

 

Oggi, 2 marzo 1999

Nella chiesa di St. Mary a Henley sul Tamigi sono più di 300 le persone riunite per dare l’addio a Dusty Springfield, la bianca signora del soul inglese.

Elvis Costello, Lulu e Neil Tennant (dei Pet Shop Boys) rendono omaggio alla diva londinese con accorati discorsi dal pulpito.

Solo 5 anni prima, alla Springfield è stato diagnosticato un tumore al seno che, nonostante le cure e la strenua resistenza, non è riuscita a sconfiggere.

“Non l’ho mai sentita dire una volta: Perché proprio a me?”, rivela un amico della cantante. Il suo vero nome era Mary Isobel Catherine Bernadette O’Brien.

Nata nel 1939, arriva al successo in America nel 1962 con The Springfields, un trio formato da lei, dal fratello Dion e dal folksinger Tim Feild.

Nel 1963 inizia una brillante carriera solista ed entra nelle grazie di Burt Bacharach. Nel 1966, Dusty transita brevemente sul palco di Sanremo: canta Io che non vivo senza te di Pino Donaggio che, nella versione inglese intitolata You Don’t Have To Say You Love Me, lei stessa trasforma in un successo internazionale. Le leggenda di Dusty Springfield si materializza nel 1968 quando la cantante inglese firma un contratto con la Atlantic Records e va a Memphis a registrare un album storico. Sotto l’egida di Jerry Wexler e Arif Mardin, produttori del suo idolo Aretha Franklin, la Springfield incide Dusty In Memphis che contiene il megahit Son Of A Preacher Man.

La canzone, originariamente scritta per Aretha (che era davvero figlia di un predicatore e che per questo rifiuta il brano ritenendolo offensivo) racconta la storia di una ragazzina che si apparta con il figlio di un reverendo ogni volta che costui si reca a casa della sua famiglia.

Doors e Jim Morrison a Miami

1° marzo 1969 – Jim Morrison e i Doors, paura e delirio a Miami

Miami: dopo il concerto Jim Morrison viene accusato dalla procura della città di comportamento osceno e lascivo… è l’inizio della fine dei Doors

 

Oggi, 1° marzo 1969

Nella contea di Dade, in Florida, fa un gran caldo.

All’interno del Dinner Key Auditorium di Miami, stipate fino all’inverosimile, ci sono oltre 15.000 persone. Sono tutte lì in attesa di vedere The Doors.

Pagherebbero oro pur di ottenere refrigerio.

L’aria è umida, stagnante. Sembra di essere in una palude dei vicini Everglades. In più, il gruppo è in ritardo, di quasi un’ora. E la folla è agitata.

Per Jim Morrison, è stata una giornata infernale. Doveva venire a Miami con la fidanzata Pamela. Dopo il concerto, i due sognavano una settimana di vacanza in Giamaica. Poi, il litigio. Pamela era restata sta a casa e Jim era volato in Florida con il suo manager. Incavolato e depresso, aveva bevuto come una spugna. Quando giunge a Miami, è ubriaco perso. Ma vuole comunque salire sul palco. Di fatto, è impresentabile: barba lunga, occhiali scuri e cappello a tesa larga. Mostra scarso interesse a cantare le hit dei Doors che storpia apposta, quasi per fare dispetto.

Non pago, nel bel mezzo di Five To One, insulta il pubblico: “Siete solo un branco di idioti, incapaci di pensare con le vostre teste”.

La gente non capisce. Anche gli altri Doors sono sorpresi e perplessi ma, conoscendone il carattere, fanno finta di niente e riprovano a suonare.

Jim non demorde. Li interrompe più volte dando il via a nuovi, folli monologhi. Il pubblico reagisce fischiando, ridendo o applaudendo alle sue provocazioni, fino a quando, durante Light My Fire, Morrison si china davanti al chitarrista Robbie Krieger simulando una fellatio.

Ormai è il delirio. Un ragazzo del pubblico sale sul palco, Jim si toglie camicia e maglietta e rimane a dorso nudo. Qualcuno sostiene che si abbassi la lampo dei pantaloni e mostri i genitali alla folla in tumulto. La situazione è fuori controllo. Un tipo della sicurezza sbatte Morrison giù dal palco. Le guardie del corpo lo accompagnano nei camerini. Qualche giorno dopo, a seguito di articoli di fuoco sulla stampa locale, la procura di Miami si costituisce parte civile contro il frontman del gruppo. Le accuse per Jim Morrison sono di comportamento osceno e lascivo e per i Doors il concerto di Miami è la Waterloo della loro carriera.

Beatles - Sgt. Pepper's

29 febbraio 1968 – Il “Sgt. Pepper’s” dei Beatles trionfa ai Grammy

Oltre a essere premiato come album dell’anno, il Sgt. Pepper’s dei Beatles si aggiudica un Grammy speciale: quello per la migliore copertina

 

Oggi, 29 febbraio 1968

In quattro città d’America, Chicago, Nashville, Los Angeles e New York si celebra la decima edizione dei Grammy che vede trionfare l’ottavo album in studio dei Beatles, Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band. Oltre a essere premiato come album dell’anno, il Sgt. Pepper’s si aggiudica un Grammy speciale: quello per la migliore copertina.

Quando il 1° giugno 1967 era giunto nei negozi di dischi di tutto il mondo, l’album aveva subito stupito per l’originale cover e per l’incredibile confezione multi color con relativa busta interna. Un artwork ambizioso e ricercato che aveva avuto costi di realizzazione esorbitanti: 2800 sterline, un valore quasi cento volte superiore a quello medio dell’epoca. D’altronde, Paul McCartney desiderava una copertina speciale, emozionante, in cui ci dovesse essere “il mondo intero in uno scatto”. E così, dopo aver provato senza successo con un’agenzia pubblicitaria e due giovani illustratrici olandesi, aveva affidato l’incarico a Peter Blake, artista pop, guru del “collage”.

Inizialmente, i quattro Beatles, vestiti in uniformi dai colori sgargianti, dovevano essere immortalati in un parco. Poi, Blake aveva cambiato idea. Si era recato nello studio dell’amico fotografo Michael Cooper (che avrebbe poi effettuato gli scatti) e aveva posizionato i Fab Four su una piattaforma con una batteria di fronte e un tappeto erboso con una composizione floreale. Alle loro spalle, le sagome di cartone (ad altezza d’umo) di una serie di personaggi storici scelti da John, Paul e George. Ringo si era astenuto dalla scelta. Tra questi, l’occultista Aleister Crowley, Edgar Allan Poe, Oscar Wilde, Nietzsche, il Marchese De Sade, Marlon Brando, James Dean, Albert Einstein, Magritte e il musicista d’avanguardia Karlheinz Stockhausen. In due settimane di lavorazione, coadiuvato dalla moglie Jann, Blake realizza il suo capolavoro: è sua la copertina più bella e famosa della storia del rock.

28 febbraio 1988 – Le olimpiadi di k.d. lang

Calgary, Canada; al McMahoon Stadium (lo stesso che ha ospitato la cerimonia d’apertura) si conclude la 15° edizione dei Giochi Olimpici dominata dal talento di Alberto Tomba, vincitore di due medaglie d’oro…

26 febbraio 1971 – Erykah Badu, la nuova Billie Holiday

A Dallas, Texas nasce Erica Abi Johnson, meglio conosciuta come Erykah Badu

Toto - Grammy 1983

25 febbraio 1983 – I Toto si aggiudicano sei Grammy Awards

Toto grandi protagonisti dei Grammy Awards 1983 allo Shrine Auditorium di Los Angeles con ben sei “grammofonini d’oro”

 

Oggi, 25 febbraio 1983

Allo Shrine Auditorium di Los Angeles si svolge la 25esima edizione dei Grammy Awards 1983 e ne escono da trionfatori i Toto: per la prima volta, un gruppo o un artista pop/rock riesce ad aggiudicarsi ben 6 “Oscar della Musica”. Una clamorosa rivincita quella della band che raduna alcuni dei migliori session men della “città degli Angeli”. Ma che (da sempre) ha suscitato perplessità nei critici che hanno accusato il gruppo di Steve Lukather e dei fratelli Steve, Mike e Jeff Porcaro di eccessivo tecnicismo e di mancanza di quel nerbo che ogni rock band dovrebbe avere.

Al di là di tutto, i Toto sono un sestetto di musicisti formidabili. Alcuni di loro, iniziano a suonare insieme sin dai tempi del liceo, quando sono compagni di classe alla Grant High School di Van Nuys, California.

In breve, diventano la back up band degli album di alcune delle stelle del pop/rock californiano: dagli Steely Dan a Boz Skaggs.

Con il loro quarto disco in studio, Toto IV (appunto) ottengono un successo totale. 6 Grammy Awards e diversi milioni di copie vendute ne fanno uno degli album di maggior impatto degli anni ‘80. Dei dieci brani del disco, almeno tre diventano hit epocali: la ballata I Won’t Hold You Back, scritta da Lukather, la spumeggiante Africa (composta dal tastierista e cantante David Paich e dal batterista Jeff Porcaro) che diventa una delle canzoni più famose del gruppo californiano e Rosanna (anch’essa scritta da David Paich). Quest’ultima canzone, che si è sempre ritenuto fosse ispirato dalla storia d’amore tra Steve Porcaro e l’attrice Rosanna Arquette, in realtà (a detta dello stesso autore) è stata scritta senza pensare alla Arquette. Semplicemente, una volta completato il pezzo, mancava il nome per il ritornello e quello di Rosanna calzava perfettamente.

24 febbraio 2004 – La stellina della Stax

Memphis, Tennessee; al Saint Francis Hospital, muore di cause naturali all’età di 85 anni Estelle Axton, co-fondatrice della leggendaria Stax Records

Norah Jones - Grammy 2003

23 febbraio 2003 – Sei Grammy per Norah Jones

Il trionfo di Norah Jones ai Grammy Awards 2003. Sono ben sei i “grammofonini d’oro” per la giovane songwriter a 24 anni non ancora compiuti

 

Oggi, 23 febbraio 2003

New York; dopo alcuni anni di residenza losangelina, gli Oscar della Musica, i Grammy Awards, tornano nella Grande Mela.

E così, sul palco del Madison Square Garden, si celebra oggi quella che verrà ricordata come la notte di Norah Jones. Come Away With Me, disco di debutto di questa giovane songwriter (newyorkese di nascita, ma texana d’adozione), fa razzia di “grammofonini d’oro”: miglior album, miglior canzone, miglior registrazione, miglior album vocale nella categoria pop.

Norah Jones vince anche il Grammy come miglior nuova artista del 2003 e miglior performance vocale al femminile, sempre nella categoria pop.

A 24 anni non ancora compiuti, da sconosciuta performer nei lounge bar d’America, Norah Jones diventa di colpo una delle cantautrici più amate e rispettate del mondo. Con grande emozione, ma soprattutto con un quintale di timidezza, nei discorsi ufficiali dal palco del Garden Norah ammette: ”Mai avrei pensato che la mia musica potesse diventare tanto popolare. Sono grata a tutti i miei collaboratori”.

Tra questi, spiccano il produttore Arif Mardin (autentica leggenda della discografia mondiale) e il songwriter Jesse Harris autore del singolo Don’t Know Why (premiato anch’esso con un Grammy) e di altri 4 pezzi del disco. Norah si guarda bene dal nominare il padre naturale (il guru della musica indiana Ravi Shankar) ed evita accuratamente il contatto fisico con lui, giunto da Nuova Delhi per l’occasione. Al papà, Norah non ha mai perdonato di aver piantato in asso sua madre Sue Jones, dopo averla lasciata incinta, e di essere letteralmente sparito dalle loro vite. Anche per questo, Norah ha rifiutato il cognome Shankar e adottato quello materno di Jones.

lou reed john cale -songs for drella

22 febbraio 1987 – Goodbye Andy Warhol

I medici del Presbyterian Hospital comunicano ufficialmente la morte di Andy Warhol. Il genio della Pop Art aveva 58 anni

 

Oggi, 22 febbraio 1987

New York; sono le 6 e 32 del mattino. I medici del Presbyterian Hospital comunicano ufficialmente la morte del loro paziente più famoso, Mr. Andrew Warhola, noto a tutti come Andy Warhol, 58 anni. Il genio della pop art non è riuscito a superare la crisi cardiaca giunta a seguito di un’operazione alla cistifellea.

Warhol (che da tempo non stava bene) aveva ritardato il suo ricovero per paura di dottori e ospedali.

La salma viene trasportata nella natia Pittsburgh dai suoi fratelli e lì esposta per la veglia alla Thomas P. Kunsak Funeral Home.

Il sarcofago in bronzo è aperto e il pubblico può dare l’ultimo saluto a colui che aveva evocato per tutti “15 minuti di celebrità”.

Warhol indossa un abito di cachemire nero, una cravatta fantasia, la sua celebre parrucca bianca e un paio di occhiali da sole. Tra le mani, un libro di preghiere e una rosa rossa.

La cerimonia funebre, alla quale partecipa una commossa Yoko Ono, si svolge nella chiesa bizantina dello Spirito Santo, nella parte nord della città.

Quindi, il feretro viene trasferito nel cimitero di Bethel Park.

Qui, prima della sepoltura, un sacerdote recita una breve preghiera e asperge la bara con l’acqua santa. Infine, Paige Powell, l’amica più cara nonché socia in affari di Warhol, lascia cadere a fianco della cassa una copia di “Interview”, la rivista sulle celebrità che Andy ha fondato nel 1969 e una boccettina di profumo “Beautiful”.

Un paio d’anni dopo, a fine novembre 1989, i due musicisti che Warhol ha lanciato a inizio carriera come band della sua Factory e cioè Lou Reed e John Cale gli dedicano una rock opera intensa, bellissima e commovente che viene eseguita per la prima volta alla Brooklyn Academy Of Music.

Si chiama Songs For Drella. “Drella” era il nomignolo con cui gli amici chiamavano Andy: una via di mezzo fra Dracula e Cinderella, tra il principe delle tenebre e Cenerentola.

21 febbraio 1970 – Simon & Garfunkel numeri uno

Londra; anche in Inghilterra sale al primo posto in classifica Bridge Over Troubled Water, magnifico album del duo newyorkese Simon & Garfunkel, incensato dalla critica e premiato dal pubblico americano

Bon Scott - AC DC - morte

20 febbraio 1980 – Bon Scott (AC/DC), una morte annunciata

Il giorno in cui venne ritrovato morto a Londra Bon Scott, cantante scozzese trapiantato in Australia, degli AC/DC. Aveva 33 anni…

 

Oggi, 20 febbraio 1980

Londra; è notte fonda. Un uomo siede in una Renault 5 parcheggiata davanti al civico 67 di Overhill Road. È solo, nessuno lo disturba.

Non c’è un gran viavai nel quartiere residenziale di East Dulwich, a una ventina di minuti dal centro città, certamente non a quell’ora.

Perciò l’uomo se ne sta lì come alla deriva, in stato d’incoscienza.

Sembra semplicemente addormentato, adagiato com’è sul sedile del passeggero.

Puzza d’alcol.

In corpo ha una quantità di whisky da ubriacare una squadra di rugby. Resta lì per ore e ore. Si fa giorno ed è ancora lì. Nessuno lo nota. Passa il pomeriggio e lui è ancora lì, dentro la R5, immobile. Si fa sera e nessuno reclama la sua presenza.

Qualcuno, però, s’è preso cura di quell’uomo prima di abbandonarlo.

Qualcuno ha reclinato il sedile per farlo stare più comodo.

Qualcuno ha cercato di difenderlo dal freddo con una coperta.

Qualcuno ha lasciato in auto un biglietto con un indirizzo e un numero di telefono da chiamare in caso di emergenza.

Ma chi è quell’uomo? E com’è finito in quell’auto?

Somiglia a Bon Scott, cantante della rock band AC/DC, uno scozzese trapiantato in Australia dotato di una gran voce e di una gran sete, uno dalla gioventù tanto scapestrata da essere rifiutato dall’esercito in quanto “soggetto socialmente disadattato”. Uno che ha soggiornato anche nella prigione di Freemantle dopo un arresto per aggressione. Dicono sia una specie di hooligan, sempre pronto a mettersi nei guai. Può salire sul palco ubriaco fradicio, prendersi il chitarrista Angus Young sulle spalle e continuare a cantare come se niente fosse.

Va in giro sostenendo che “alcol, donnacce, sudore in scena e pessimo cibo nel backstage non indeboliscono: è tutta salute”, dice. Non è tutta salute, perché l’uomo abbandonato sul sedile di quell’auto, a East Dulwich, è proprio lui: Bon Scott.

Aveva 33 anni e ora è morto.

 

19 febbraio 1996 – Björk e la rissa in Thailandia

Bangkok, Thailandia; la popstar islandese Björk non è quasi ancora atterrata che già deve affrontare il calore del pubblico orientale…

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