6 febbraio 1990 – Billy Idol e lo stop mancato

Los Angeles, California; il punk rocker platinato Billy Idol sta guidando la sua Harley Davidson lungo il Sunset Boulevard. Non si accorge di un segnale di stop e un’auto…

5 febbraio 1968 – Spin Doctors: la favola di Chris Barron

Honolulu, Hawaii. Nasce Chris Barron, frontman degli Spin Doctors

4 febbraio 1969 – Johnny Winter, esordio d’oro

New York; negli uffici della Columbia Records si firma il più ricco contratto discografico mai offerto, prima d’ora, a un esordiente: 300.000 mila dollari per 5 anni

The Day The Music Died

3 febbraio 1959 – “The day the music died”

The day the music died: il 3 febbraio 1959 muoiono The Big Bopper, Ritchie Valens e Buddy Holly a seguito di un incidente aereo

 

Oggi, 3 febbraio 1959

Mason City, Iowa; è da poco passata l’una di notte quando, a poche miglia dall’aeroporto dal quale era decollato qualche minuto prima, un piccolo aeroplano Beechraft Bonanza si schianta al suolo.

Nessun superstite.

A bordo del veivolo, oltre al pilota, viaggiano tre musicisti che il giorno dopo si sarebbero dovuti esibire a Fargo, nel Nord Dakota, per la data successiva di un festival rock itinerante chiamato Winter Dance Party Tour. I tre artisti sono un ex deejay texano, Jiles Perry Richardson detto The Big Bopper, un giovane californiano di origine messicana, Ricardo Valenzuela noto con il nome d’arte di Ritchie Valens, e Charles Hardin Halley meglio conosciuto come Buddy Holly, stella di prima grandezza nel panorama musicale di quegli anni.

La tragedia, la prima nella storia del rock ‘n’ roll, colpisce così tanto l’immaginario degli appassionati che oggi, 3 febbraio 1959, diventa per tutti “the day the music died”, il giorno in cui è morta la musica.

È un destino beffardo quello che si accanisce sulle tre giovani rockstar.

Buddy Holly e due membri della sua band (Tommy Allsup e Waylon Jennings, futuro eroe della country music), stanchi per il concerto appena tenuto a Clear Lake, non hanno alcuna voglia di intraprendere quel lungo e faticoso viaggio notturno in pullman. Loro, il Nord Dakota – tappa successiva del tour – lo avrebbero raggiunto su un piccolo velivolo a noleggio.

Poco prima della partenza, però, Allsup e Jennings sono costretti a cedere i loro posti sull’aereo alle altre due attrazioni del Winter Dance Party Tour. Big Bopper, raffreddato e febbricitante, non è obiettivamente in grado di sobbarcarsi uno spostamento così lungo sullo sgangherato bus messo a disposizione dagli organizzatori che ha l’impianto di riscaldamento guasto. Ne andrebbe della sua salute. Waylon Jennings gli cede il posto mentre Allsup perde il suo giocandoselo a testa e croce con il 17enne Valens. Le tempeste del Midwest possono diventare un ostacolo insormontabile per un pilota d’aereo poco avvezzo nel lottare al buio, contro neve e vento. Così, l’ultimo volo dell’inesperto aviatore Roger Peterson dura poco più di cinque minuti: l’aereo si schianta in un campo poco lontano dalla pista di decollo.

Durante la bufera, a bordo del Beetchcraft Bonanza Buddy Holly, Richie Valens e Big Bopper maledicono un destino crudele. Ma anche Waylon Jennings, futura superstar della country music, non smetterà mai di maledire quel giorno e quella frase detta al suo amico Buddy Holly. “Ricordo l’ultima volta che ho visto Buddy”, racconta, “mi ha chiesto di andargli a comprare degli hot dog. Si dondolava su una sedia appoggiandosi al muro e mi prendeva in giro. Mi ha detto, scherzando: ‘Allora, è vero che non vieni con noi sull’aereo? Sai cosa ti dico? Credo che il tuo autobus si trasformerà in un ghiacciolo: ci sono 40 gradi sottozero, e tu, come minimo, ti beccherai una polmonite’. Allora, quasi per sfidarlo, gli ho risposto: ‘Beh, amico… spero che il tuo aereo si schianti’”.

 

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15 gennaio 1972 – “American Pie” di Don McLean prima in classifica

1° febbraio 1978 – Renaldo and Clara, il film di Dylan

Proiettata contemporaneamente a New York e Los Angeles l’anteprima dell’attesissimo film Renaldo And Clara, una saga cinematografica della durata di quasi quattro ore diretta e interpretata da Bob Dylan

29 gennaio 1889 – La leggenda di Leadbelly

Nasce in una piantagione di cotone della Louisiana Huddie William Leadbetter. Una vita divisa tra musica e violenza

28 gennaio 2005 – Addio Jim Capaldi

Si spegne a Londra il mitico batterista dei Traffic

24 gennaio 1941 – Neil Diamond, compleanno di un mito

Nasce uno degli autori più popolari di sempre con oltre 120 milioni di dischi venduti

22 gennaio 2004 – Ryan Adams, un polso rotto

Liverpool: incidente sul palco per l’astro nascente del classic rock americano

Little Richard in seminario

31 gennaio 1958 – Little Richard in seminario

Little Richard (all’apice della popolarità) manifesta la vocazione ecclesiastica nell’autunno del 1957 ed entra così in seminario

 

Oggi, 31 gennaio 1958

Huntsville, Alabama; l’Oakwood Theological College ha un nuovo adepto.

Si chiama Richard Wayne Penniman ma è conosciuto da tutti con il nome d’arte di Little Richard. Musicista talentuoso, cantante esuberante, personaggio eccentrico, Little Richard ha sfornato capolavori del calibro di Lucille, Tutti Frutti, Long Tall Sally. Ma, essendo nero ed (esplicitamente) omosessuale, Richard non ha molte chance di successo nell’America razzista e puritana dei primi anni ’50.

Così, molti dei suoi pezzi vengono, in realtà, portati alla ribalta da bianchi come Pat Boone o lo stesso Elvis.

Proveniente da una famiglia religiosa di Macon, Georgia, Little Richard (all’apice della popolarità) nell’autunno del 1957 manifesta la vocazione ecclesiastica, una tradizione di famiglia visto che entrambi i nonni erano pastori della chiesa evangelista.Così, entra in seminario. Ne esce quattro anni dopo come Ministro della Chiesa Avventista del Settimo giorno.

Il Reverendo Penniman non rinuncia però alla musica.

Quando è all’Oakwood (nel 1959) va in studio a registrare un album di gospel, prodotto addirittura da Quincy Jones. Quindi, appena uscito, nel 1962, fa un trionfale tour in Inghilterra. Come opening act, apre i suoi concerti inglesi un quartetto di giovani emergenti che vengono da Liverpool e che si ispirano alla sua musica e al suo stile di performer energetico.

Il loro nome? The Beatles.

David Bowie

27 gennaio 1971 – Bowie, prima volta in America

Con il lancio del suo nuovo album, The Man Who Sold The World, David Bowie conquista l’America e si prepara all’epopea di Ziggy Stardust

 

Oggi, 27 gennaio 1971 – Washington, DC; David Bowie sbarca per la prima volta in America.

Ed è subito scandalo. Il suo nuovo album, The Man Who Sold The World, lo mostra in copertina con quel suo dolce viso androgino, i lunghi capelli biondi sciolti sulle spalle e agghindato in un abito da donna.

La sua casa discografica americana mette immediatamente al bando quell’immagine azzardata tanto che il nuovo packaging del disco made in Usa non prevede alcuna foto di Bowie in copertina. La stampa, però, è tutta radunata per vedere quella stravagante rockstar inglese a cui piace vestirsi da femmina. I giornalisti degli Stati del Sud, in particolare quelli di Texas e Louisiana, non sembrano interessati ad altro.

Eppure Bowie, in quel momento, sta per produrre il suo primo, solidissimo sound, quello che lo lancerà di lì a poco verso i fasti di Ziggy Stardust. Accompagnato dalla chitarra di Mick Ronson e dal basso di Tony Visconti (due tra i suoi più validi e fedeli collaboratori) Bowie è un torrente in piena. New York, Chicago, Filadelfia, San Francisco, Los Angeles e le altri grandi metropoli statunitensi sono ai suoi piedi. Nel giro di tre sole settimane, Bowie conquista l’America e torna a Londra. I musicisti che lo accompagnano, che fino a quel momento si fanno chiamare The Hype, alla fine dell’anno sono già diventati The Spiders From Mars, i ragni di Marte.

Peter Green

26 gennaio 1977 – Il chitarrista dei Fleetwood Mac Peter Green spara al suo commercialista

Peter Green, il chitarrista dei Fleetwood Mac, è in evidente stato confusionale quando spara al suo commercialista

 

Oggi, 26 gennaio 1977

Londra; Clifford Davis è il commercialista di Peter Green, fantastico chitarrista rock blues, fondatore dei Fleetwood Mac. Sta portando a casa del suo assistito un assegno come pagamento delle royalty che Green deve incassare grazie ai successi scritti e suonati con il gruppo di Mick Fleetwood.

Green è un soggetto, a dir poco, stravagante. Qualche anno prima, gli è stata diagnosticata una forma di schizofrenia, è spesso vittima di allucinazioni e paranoie tanto da venir (di tanto in tanto) ricoverato in ospedali psichiatrici e sottoposto a elettroshock.

Clifford Davis lo sa e tratta con cura e attenzione il suo assistito. Ma non si aspetta la reazione di oggi. Quando infatti si presenta alla porta di casa Green, viene accolto da Peter con una pistola in pugno.

Non solo: il chitarrista, in evidente stato confusionale, inizia a fare fuoco.

Chiamata d’urgenza dai vicini, una pattuglia della polizia giunge sul posto, arresta Green prima che lo stesso venga internato in un ospedale psichiatrico.

Non tutti, però, sono convinti che le cose siano andate proprio così: “Jet” Martin Celmins, autore di una documentata biografia di Peter Green, sostiene che il chitarrista aveva da tempo chiesto l’allontanamento di Clifford Davis dal suo incarico.

Per quasi 15 anni Green è rimasto ai margini del rock facendo ritorno con lo Splinter Group nel 1997. Per qualche tempo ha vissuto in Svezia, le sue ultime esibizioni sono del 2010.

Il 25 luglio 2020 è morto nel sonno a 73 anni.

 

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