13/03/2024

Dal 1990 al 2022, il nuovo libro che racconta McCartney canzone per canzone

Gli ultimi trent’anni di Sir Paul secondo Luca Perasi

 

Luca Perasi è un’autorità indiscussa nella complessa, ricca e articolata materia McCartney. Negli ultimi trent’anni il famosissimo artista di Liverpool non ha avuto un momento di pausa: ha trionfato sui palchi di tutto il mondo, ha continuato senza sosta con la propria discografia offrendo anche varianti elettroniche e colte, ha recuperato e rilanciato il mito dei Beatles. Dal 1990 al 2022 Paul ha lavorato ininterrottamente: il nuovo libro Paul McCartney. Music Is Ideas – Le storie dietro le canzoni (vol. 2) 1990-2022 completa il lungo lavoro del giornalista, che torniamo a interpellare.

 

Il primo volume di Music Is Ideas aveva toccato la parte più importante della vicenda di Paul, dal debutto post Beatles al grande ritorno di Flowers In The Dirt passando per gli Wings. Vent’anni di ridefinizione, ricostruzione e ascesa. Qual è invece il filo conduttore dal 1990 al 2022?

Il fil rouge di questi trentadue anni è: “McCartney artista senza confini”. Cioè, da questo momento Paul spazia attraverso tutti i generi musicali, e lo fa con un’attenta programmazione delle sue attività. Come spiego nell’introduzione, c’è posto per il McCartney compositore di musica sinfonica, per il suo lato sperimentale, per l’interprete di grandi classici del passato e per l’alfiere della tradizione dei Beatles, con un’attività di concerti notevole, che dal 1990 a oggi conta su quasi mille esibizioni. Senza tralasciare naturalmente i suoi dischi pop e le sue iniziative in altri campi dell’arte, su tutte la pittura.

 

Il nuovo decennio partì alla grande col primo World Tour. Concerti da centinaia di migliaia di spettatori, stadi pieni e lo storico gran finale americano in estate. Cosa significava per il Paul del 1990 salire su un palco?

Ci volle un po’, ma nel 1989-90 Paul fu finalmente pronto una riconciliazione totale coi Beatles. Non che da parte sua vi fosse mai stata una rottura: McCartney ne è sempre andato fiero, ma soprattutto nel decennio Wings, nei concerti preferì non esagerare nel riproporre il repertorio dei Beatles.

Ma è l’orgoglio, e non la nostalgia, la molla di tutto. Dopo lo smacco dell’acquisto del catalogo di Beatles da parte di Michael Jackson nel 1985 e vista l’insofferenza alle attenzioni che la critica mondiale riservava a John Lennon, che relegò invece Paul a un ruolo quasi ancillare, è come se Macca avesse detto: “Eh no, adesso mi riprendo quel che mi spetta”. Giusto così. Fu un tour incredibile, che confermò l’amore del pubblico nei suoi confronti. Ricordiamo che al Maracanà di Rio Paul fece il record di spettatori paganti, con 184mila persone.

 

È vero che il tuo libro racconta le storie dietro le canzoni, ma le stesse canzoni salgono in altra veste sui palchi e il trentennio in questione è l’epoca dei grandi tour, fino all’ultimo Got Back terminato pochi mesi fa. I concerti di Paul sono l’occasione per toccare il mito dei Beatles da vicino o c’è anche spazio per il suo songbook in proprio?

Quando calchi la scena da sessant’anni, è difficile mettere in piedi uno show la cui scaletta faccia contenti tutti. Le canzoni dei Beatles possiedono una qualità atemporale, sono talmente sedimentate nella cultura popolare che non dar loro il giusto spazio finirebbe per essere un boomerang per McCartney. Che, invece, non è mai stato sfiorato dal dubbio di ridurre il repertorio dei Beatles da molti anni a questa parte. Anzi, deve fare anche scelte dolorose.

Da qualche tempo Yesterday è uscita dalla scaletta. Ci credete? Stiamo dicendo che la canzone più famosa di tutti i tempi, quella con un numero di reinterpretazioni record, quella che forse identifica McCartney più di ogni altra, non è più in scaletta! È allora arduo bilanciare i repertori degli Wings e solista con quello dei Beatles. È pero vero che i brani post-Beatles sono scelti in modo accurato, e sarebbe impossibile pensare a un concerto di Paul senza Live and Let Die, Band on the Run o Here Today. Oggi i tempi sono maturi per una rivalutazione del periodo Wings. Non a caso è alle porte un nuovo documentario su quel decennio, Man on the Run, previsto più avanti quest’anno.

E ne approfitto per dire che sto per pubblicare un libro (esce nella seconda metà di marzo) tutto dedicato all’album Band on the Run, dove ho ricostruito una delle vicende professionali e umane più incredibili capitate a McCartney e dove ho approfondito molti aspetti relativi alle canzoni, alla strumentazione, all’eredità di quel disco. È un volume con illustrazioni a colori, che inaugura una nuova collana di L.I.L.Y. Publishing, chiamata Milestones e dedicata a dischi fondamentali per la storia del rock, con un taglio a metà tra lo storico e il narrativo.

 

Gli anni ’90 si caratterizzano per tre eventi. Il primo è del 1991, quando prende piede l’avventura da compositore “colto” con Liverpool Oratorio, al quale seguiranno altri quattro album classici. L’autore pop per eccellenza al confronto con una scrittura di altra natura: quali furono le motivazioni e quali sono stati gli esiti?

Il concetto cardine per McCartney è che la musica è una sola. Non esistono differenze tra pop e musica colta per lui. Però è chiaro che si tratta di occasioni di prestigio, attraverso le quali forse intende cimentarsi con i grandi compositori di musica classica e sinfonica del passato. O forse è solo per il gusto di sentire come suona un’orchestra al completo o per la bellezza di vedere rappresentate le proprie opere in luoghi meravigliosi.

C’è poi, a mio avviso, un aspetto che ha che fare con la sfida nei confronti dei critici. Tipo: “Vediamo se avete il coraggio di parlarne male”. Be’, dobbiamo dire che i critici di musica classica non si sono tirati indietro, perché generalmente le opere “classiche” di McCartney non hanno ottenuto vasti consensi da questo punto di vista, mentre sono state quasi tutte baciate da fortuna commerciale. Il pubblico ha amato particolarmente Liverpool Oratorio, che a mio avviso è l’opera migliore di Paul in questo campo. Non ho gli strumenti per valutarla secondo i canoni della musica sinfonica: colgo certamente qualche “semplificazione” o qualche cliché di troppo, ma quando il disco termina, magari esci a fare una passeggiata e ti ritrovi a canticchiarne un’aria.

Rimane fuori di dubbio che McCartney compositore classico sia una contradditio in terminis. Paul ha parlato della musica classica come una specie di susseguirsi di variazioni sul tema: una visione un po’ naïf. Come scrivo nell’introduzione di questo Vol. 2, credo vi siano intenzioni lodevoli (e di una certa importanza) da parte sua.

Forse è il suo tentativo di rendere “popolare” un genere che ai giorni nostri viene ancora considerato esclusivo, per pochi eletti, per veri intenditori di musica, oppure è la musica popolare che cambia forma, e passa dalla canzone pop alla sinfonia. Potrebbe essere questo il contributo che McCartney ha inteso portare alla tradizione classica, facendone un linguaggio di maggiore fruibilità, che ha nella melodia cantabile, facile, “popolare” appunto, il suo fulcro.

 

In secondo luogo, nel 1993 un curioso Paul si dà all’elettronica insieme a Youth dei Killing Joke nel progetto The Fireman. Un semplice divertissement o qualcosa di più ambizioso?

Va detto che Paul è stato il Beatle d’avanguardia per eccellenza. Nella seconda metà degli anni Sessanta, è un protagonista assoluto della scena underground di Londra; finanzia International Times, una rivista di cultura alternativa lanciata da Barry Miles nell’ottobre 1966; si fa vedere in compagnia di intellettuali del calibro di William Burroughs e Allen Ginsberg; frequenta Robert Fraser ed è di casa in posti come l’Indica Gallery, una galleria d’arte che ospitava esposizioni all’ultima moda. Assiste ai concerti di Luciano Berio. McCartney cerca di esprimere in senso creativo tutte queste influenze. È lui il primo a fare esperimenti casalinghi con i nastri loop e a mettere insieme nel 1966 un intero disco di registrazioni ispirate alle avanguardie sonore, il celebre Paul McCartney Goes Too Far che è però rimasto nel cassetto, dando così a Lennon l’opportunità di passare alla storia per il suo lato sperimentale.

Ecco allora che i tre dischi a nome Fireman si ricollegano in qualche modo a questo filone: credo che un po’ a Paul dispiaccia aver perso quel titolo platonico di “primo Beatle sperimentale”. Esiste in realtà un quarto album, il più coraggioso di tutti in questo senso, Liverpool Sound Collage, pubblicato nel 2000, che è pura musique concrète.

Rimane da chiedersi perché Paul mostri tuttora una strana forma di pudore nei confronti di queste opere, che vengono pubblicate sotto pseudonimo o sono poco pubblicizzate. Come se esistessero diversi Paul McCartney, ognuno con un suo pubblico, cui lui vuole assegnare un ruolo preciso.

 

Infine l’Anthology, che ovviamente meriterebbe un libro a parte. Paul diventa definitivamente l’uomo-Beatles per eccellenza, il grande custode. Cosa scatta in questo periodo?

Anche Anthology fa parte del recupero dell’eredità Beatles iniziato un po’ in sordina nel 1984 con Give My Regards to Broad Street e continuato con World Tour 1989-90. Dire la propria versione dei fatti è importante, soprattutto nel caso dei Beatles, perché ne hanno parlato tutti e spesso con ricostruzioni fantasiose di quanto accaduto. È servito a mettere i puntini sulle i. Magari anche a sfatare qualche mito, oppure a mettere qualche pulce nell’orecchio dell’opinione pubblica. Poi non dimentichiamo l’impatto discografico che questo progetto ha avuto: 25 milioni di copie in totale. Nel 1994, in occasione dell’uscita di Anthology 1, negli Stati Uniti registrarono sin dalla notte file di appassionati in attesa dell’apertura dei negozi.

 

Un mio ricordo piacevole, legato alle prime puntate del mio programma in radio, riguarda uno speciale che dedicai a Memory Almost Full nel 2007. Un bel disco pop-rock da collegare, a mio avviso, ai grandi album in studio di Paul. Negli anni duemila, decennio di nuovi divi del pop, come si è comportato l’antico maestro?

Negli anni duemila Paul pubblica tra album di studio a suo nome (Driving Rain, Chaos and Creation in the Backyard e Memory Almost Full). Ognuno di questi è contraddistinto da un’atmosfera unica, da ricollegarsi anche al momento personale di McCartney.

Nel 2001, quando esce Driving Rain, Paul è passato attraverso il lutto per la scomparsa di Linda nel 1998 e ha trovato un nuovo amore in Heather Mills dal 1999. È il suo primo album di materiale originale del post-Linda ed è un disco a due facce: da un lato il passato pieno di ricordi, dall’altro un presente con nuove emozioni. Dal punto di vista musicale, è crudo, inciso in pratica in presa diretta, in sole due settimane, sulla falsariga del primo album degli Wings, Wild Life. Su vinile, è un album doppio, il suo primo, anche se all’epoca il CD aveva soppiantato questo formato e nessuno ci fece caso. Non ebbe molto successo, ma diede l’opportunità a Paul di tornare a esibirsi dal vivo dopo nove anni di pausa, e due dei tre membri che avevano inciso Driving Rain con lui lo seguirono in tour: Rusty Anderson e Abe Laboriel Jr. suonano ancora con McCartney.

Nel 2005, quando esce Chaos and Creation in the Backyard, Paul è alle prese con la crisi del suo matrimonio con Heather, anche se all’epoca nessuno lo sa; ma a ben vedere l’album è costellato di riferimenti. È un disco dal tono crepuscolare, insolito per McCartney. Fu salutato con grandi elogi da parte della stampa specializzata e va considerato un must della sua discografia, anche per merito della produzione di Nigel Godrich. Paul aveva amato i suoi lavori coi Radiohead, e le atmosfere di questo album ricordano molto il gruppo di Tom Yorke e compagni.

Nel 2007, Memory Almost Full cattura un momento invece più spensierato. È vero che il disco derivava in gran parte da incisioni di quattro anni prima, ma in qualche modo Paul riesce a farne uno dei dischi più esuberanti e colorati della propria carriera. All’epoca della sua uscita, McCartney si stava ormai lasciando alle spalle l’esperienza della separazione, guardando alla vita con rinnovato entusiasmo. Questo album dimostrò anche che Paul era assolutamente connesso al mondo musicale che lo circondava, sia dal punto di vista del marketing sia dal punto di vista tecnico/tecnologico: la distribuzione avvenne anche attraverso i punti vendita della catena di caffè Starbucks (e non a caso, ciò permise al disco di sfiorare il n. 1 nelle classifiche degli Stati Uniti), mentre le sonorità sollevarono un polverone, con una compressione oltre ogni limite che fece entrare di diritto l’album all’interno della cosiddetta “Loudness War”, la tendenza dell’industria musicale a incrementare il volume delle registrazioni, che all’epoca aveva raggiunto il suo apice. Seguirono polemiche, ma, a quanto pare, fu Paul a volerlo così.

 

Il lockdown lo ha riportato alla dimensione solitaria, tant’è che si è chiuso in studio e ha partorito McCartney III alla fine del 2020. I tre dischi omonimi hanno una funzione, oltre che una poetica, un po’ diversa dagli altri, quasi autobiografica, non trovi?

Mio papà una volta mi ha detto una cosa: “Ricordati che, alla fine, nella vita si è sempre soli”. Rimasi un po’ scioccato, poi ho capito che intendeva spiegarmi che gli altri sono importanti ma che poi ti trovi a fare i conti con te stesso, che le decisioni sono tue e nessuno può sostituirsi a te. Bene, per Paul stare con sé stesso è importante, di tanto in tanto.

I tre dischi eponimi sono il frutto di momenti particolari nella sua vita. Il primo fu registrato tra il dicembre 1969 e il febbraio 1970, quando i Beatles erano ancora formalmente assieme ma in un momento in cui era chiaro che la bomba stava per esplodere.

Il secondo fu invece inciso nell’estate nel 1979, quando gli Wings avevano da poco pubblicato Back to the Egg – con riscontri commerciali inferiori alle attese – e Paul stava evidentemente pensando a un modo per chiudere quell’esperienza.

Nel caso del terzo, che è stato registrato durante il lockdown della primavera 2020 dovuto al Covid, fare musica è stato rigenerante per McCartney, ed è stato anche un modo per capire che tutto sommato, nel suo caso, una pandemia poteva portare anche qualcosa di buono.

Detto questo, Paul scrive e incide quasi tutti i giorni, e forse siamo noi ad assegnare a certe cose significati che non hanno. A volte il confine tra spontaneità e programmazione può essere più labile rispetto a quanto non ci venga comunicato.

 

Parliamo sempre di Paul come uomo di musica ma dal 1990 ha pubblicato dieci album con testi scritti da lui. Come sono cambiati nel tempo il suo uso della parola e le tematiche che affronta?

McCartney rimane sempre un grande amante dei giochi di parole, una passione che ha ereditato dal padre e che gli permette di “piegare” il testo alla melodia, che per lui ha sempre (o quasi sempre) la precedenza. Se analizziamo l’aspetto lirico di questa seconda parte della sua carriera troviamo tematiche molto diverse rispetto al primo ventennio. Con gli anni, e col proporsi di alcuni accadimenti che ne stravolgono la vita (nel 1998 la morte prematura della moglie Linda, nel 2006 la separazione dalla seconda moglie Heather Mills), i testi di Paul si arricchiscono di ricordi e di temi più personali.

Troviamo l’amore per le sue donne – Linda (Calico Skies), Heather (Your Loving Flame) e la terza moglie Nancy Shevell (My Valentine) – ma anche soggetti come le esperienze scolastiche (Feet in the Clouds) o quelle lavorative prima di tentare l’avventura musicale (On My Way to Work), i tempi assieme a John Lennon alla scoperta del mondo (Early Days, The Song We Were Singing), il passato che è fuggito via (That Was Me, Ever Present Past). C’è spazio anche per qualche accenno politico (Despite Repeated Warnings), per l’animalismo (Looking for Changes), la morte (Little Willow, The End of the End), l’elaborazione del lutto (Try Not to Cry, Lonely Road, From a Lover to a Friend), il valore dell’amicizia (Riding to Vanity Fair).

 

L’avvento del web ha visto proliferare le fake news, ma il primato spetta alla celeberrima Paul Is Dead. Tu che sei un attento osservatore e analista di canzoni, trovi interessante la leggenda metropolitana per eccellenza della cultura popolare?

È un tema che non mi ha mai appassionato. Infatti, nei miei libri non lo tocco quasi. Lo stesso McCartney ci ha scherzato sopra con la copertina del suo disco Paul Is Live!, che scimmiotta quella celebre di Abbey Road con tutti i suoi presunti riferimenti.

 

A Paul non manca più niente, eppure la sensazione è che per lui la musica sia gioia e vita, sia qualcosa da non mollare. A ottantadue anni pensi che sia pronto per la pensione o c’è qualcosa che bolle in pentola?

Niente pensione per Paul! Del resto, ha sempre detto: “Farò musica finché vivrò”.

Ci sono almeno tre progetti pronti o in via di definizione. Il primo è la colonna sonora del cartone animato High in the Clouds – terminata da tempo e che comprende un duetto con Lady Gaga, ma rimasta bloccata a causa di problemi relativi alla produzione del film –, il secondo è il progetto dell’adattamento in forma di musical del celebre film La vita è meravigliosa, per cui Paul negli ultimi anni ha scritto trenta canzoni e il terzo è il nuovo album di studio, che ha inciso (o sta ancora incidendo) con il produttore Andrew Watt, che ha lavorato con i Rolling Stones all’ultimo disco Hackney Diamonds. Watt ha detto di avere registrato assieme a McCartney alcuni brani “coraggiosi”. Può bastare?

Paul McCartney - libro Luca Perasi 2

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