È la sua terza e ultima tappa di questo tour in Italia, dopo Roma e Pistoia. L’Ippodromo non è affollatissimo, il concerto non è sold out, ma il fan club resiste alle altissime temperature e alle zanzare tigre e la aspetta sotto al palco.
Alanis Morissette è puntuale, anzi la sua armonica la anticipa. Sono le note di All I Really Want, quelle di un ingresso deciso e spavaldo. Pantaloni neri di pelle, camicetta bianca un po’ troppo collegiale, ma solo scarpe ginniche, per correre un po’ da una parte all’altra del palco e mostrare quel sorriso smagliante, che forse è l’unica cosa a essere rimasta invariata. Già, perché Alanis non ha più i capelli lunghi fino al fondoschiena e nemmeno più la stessa aura rock che l’aveva consacrata negli anni ’90. Persino il suo timbro sembra non essere più lo stesso, specialmente nei primi pezzi. Vocalmente la Morissette ha nuovi colori e ha conservato bene i vecchi, tirandoli fuori al momento giusto. Il suo ritorno sul palco, senza un nuovo disco, poteva dar vita ad un mero esercizio nostalgico, ma è riuscito a essere qualcosa in più, senza tradire Jagged Little Pill, la cui quasi totale esecuzione era d’obbligo. La scaletta del concerto non è stata una sorpresa, se non per chi ha preferito evitare gli spoiler.
Con You Learn Alanis ha cominciato a entrare in empatia con il pubblico e a farsi permeare dall’affetto di ha cantato con lei, non solo il ritornello. La regina del fraseggio, ha spesso lasciato cantare i fan, per poi entrare, insieme alla batteria, nella seconda strofa dei suoi successi, alcuni eseguiti in versioni fedeli a quelle in studio, altri come Hand In My Pocket, arrangiate in stile più unplugged e trascinato, più adatto ad un temperamento più adulto e pacifico. Tra le corse per il palco, la complicità con i musicisti, i sorrisi alla platea, Alanis sembra spesso guardare il cielo o, forse per usare un linguaggio più vicino al suo, “guarda attraverso il suo terzo occhio” e con la stessa naturalezza si rotola sul palco, con un atteggiamento profondamente terreno. Una donna e una voce che hanno lasciato da parte la dimensione di irrequietezza e veemenza e vivono in perfetto equilibrio tra aria e terra.
Tra le esecuzioni memorabili quella di Mary Jane, Head Over Feet, Right Through You, You Oughta Know da Jagged Little Pill, e quelle di Hands Clean e Guardian tra i successi del 2000. Poi arriva Ironic come una promessa che nessuno ha temuto potesse essere infranta. Naturale, come se fosse ancora seduta in quella macchina, in un freddo pomeriggio newyorkese e noi cantassimo insieme a lei e alla sua autoradio proprio come nel celebre videoclip. Dalle prime file, cartelloni di “Alanis For President” commuovono un po’ la cantautrice canadese, che forse dopo una lunga attesa temeva che in molti si fossero dimenticati di lei. E avrà pensato a quanto fosse ironico, che in un era così diversa, qualcuno ancora sorrida con lei quando cambia il verso del testo in difesa dei diritti omosessuali e sussurra: “It’s meeting the man of my dreams and then meeting his beautiful husband”.
Una scaletta pregna di tuffi nel passato e in un presente nuovo, fatto di capelli corti, spirito materno, meditazione, ma ancora di chitarre elettriche, armoniche e acuti che liberano l’anima.
Alanis torna sul palco per una chiusura in sintonia con le aspettative. La luce illumina un organo hammond che introduce il momento più intimo con Uninvited, poi, il congedo prevedibile con Thank U, come ogni saluto che si rispetti, semplicemente dicendosi “grazie”.
E allora non resta che ringraziare la ancora giovane cantautrice, che è sparita per un po’, ma, come le pause in musica che fanno apprezzare gli attacchi, è tornata in evoluzioni diverse, conservando la ragazzina che ha conquistato le classifiche degli anni ’90 e confermandoci il grande talento del cambiamento. Grazie per il disordine, grazie per il silenzio, grazie per esserti concessa, in forme nuove ma soprattutto grazie per la “piccola pillola” di nostalgia.
Alanis Morissette è puntuale, anzi la sua armonica la anticipa. Sono le note di All I Really Want, quelle di un ingresso deciso e spavaldo. Pantaloni neri di pelle, camicetta bianca un po’ troppo collegiale, ma solo scarpe ginniche, per correre un po’ da una parte all’altra del palco e mostrare quel sorriso smagliante, che forse è l’unica cosa a essere rimasta invariata. Già, perché Alanis non ha più i capelli lunghi fino al fondoschiena e nemmeno più la stessa aura rock che l’aveva consacrata negli anni ’90. Persino il suo timbro sembra non essere più lo stesso, specialmente nei primi pezzi. Vocalmente la Morissette ha nuovi colori e ha conservato bene i vecchi, tirandoli fuori al momento giusto. Il suo ritorno sul palco, senza un nuovo disco, poteva dar vita ad un mero esercizio nostalgico, ma è riuscito a essere qualcosa in più, senza tradire Jagged Little Pill, la cui quasi totale esecuzione era d’obbligo. La scaletta del concerto non è stata una sorpresa, se non per chi ha preferito evitare gli spoiler.
Con You Learn Alanis ha cominciato a entrare in empatia con il pubblico e a farsi permeare dall’affetto di ha cantato con lei, non solo il ritornello. La regina del fraseggio, ha spesso lasciato cantare i fan, per poi entrare, insieme alla batteria, nella seconda strofa dei suoi successi, alcuni eseguiti in versioni fedeli a quelle in studio, altri come Hand In My Pocket, arrangiate in stile più unplugged e trascinato, più adatto ad un temperamento più adulto e pacifico. Tra le corse per il palco, la complicità con i musicisti, i sorrisi alla platea, Alanis sembra spesso guardare il cielo o, forse per usare un linguaggio più vicino al suo, “guarda attraverso il suo terzo occhio” e con la stessa naturalezza si rotola sul palco, con un atteggiamento profondamente terreno. Una donna e una voce che hanno lasciato da parte la dimensione di irrequietezza e veemenza e vivono in perfetto equilibrio tra aria e terra.
Tra le esecuzioni memorabili quella di Mary Jane, Head Over Feet, Right Through You, You Oughta Know da Jagged Little Pill, e quelle di Hands Clean e Guardian tra i successi del 2000. Poi arriva Ironic come una promessa che nessuno ha temuto potesse essere infranta. Naturale, come se fosse ancora seduta in quella macchina, in un freddo pomeriggio newyorkese e noi cantassimo insieme a lei e alla sua autoradio proprio come nel celebre videoclip. Dalle prime file, cartelloni di “Alanis For President” commuovono un po’ la cantautrice canadese, che forse dopo una lunga attesa temeva che in molti si fossero dimenticati di lei. E avrà pensato a quanto fosse ironico, che in un era così diversa, qualcuno ancora sorrida con lei quando cambia il verso del testo in difesa dei diritti omosessuali e sussurra: “It’s meeting the man of my dreams and then meeting his beautiful husband”.
Una scaletta pregna di tuffi nel passato e in un presente nuovo, fatto di capelli corti, spirito materno, meditazione, ma ancora di chitarre elettriche, armoniche e acuti che liberano l’anima.
Alanis torna sul palco per una chiusura in sintonia con le aspettative. La luce illumina un organo hammond che introduce il momento più intimo con Uninvited, poi, il congedo prevedibile con Thank U, come ogni saluto che si rispetti, semplicemente dicendosi “grazie”.
E allora non resta che ringraziare la ancora giovane cantautrice, che è sparita per un po’, ma, come le pause in musica che fanno apprezzare gli attacchi, è tornata in evoluzioni diverse, conservando la ragazzina che ha conquistato le classifiche degli anni ’90 e confermandoci il grande talento del cambiamento. Grazie per il disordine, grazie per il silenzio, grazie per esserti concessa, in forme nuove ma soprattutto grazie per la “piccola pillola” di nostalgia.