25/03/2016

Jeff Buckley

Otto cover e due inediti per un album che mette a nudo il talento sensibile ed eclettico dell’autore di “Grace”
Ascoltare You And I è come spiare nel diario segreto di un adolescente. È intimo, diretto, un modo semplice di raccontare se stessi.
Non sono solamente dieci canzoni, c’è Jeff Buckley in questo disco. C’è la sua semplicità, il suo talento, la sua indecisione, la sua naturalezza, la sua passione.
 
Quando Jeff Buckley arriva nell’East Village, nei primi anni ’90, inizia ad esibirsi al Sin-è, un posto piccolo, con pochi tavoli, un coffee bar in fondo alla stanza e nessun palco. Suona per terra, praticamente in mezzo alla gente, ma le sue affascinanti performance vocali e il virtuosismo della sua chitarra conquistano il pubblico. Il Sin-è diventa la sua “casa musicale”. Il produttore Steve Addabbo racconta di quanto il giovane e talentuoso figlio d’arte si sentisse a suo agio lì, semplicemente si sedeva e suonava.
 
You And I è un po’ la riproduzione in studio di quello che succedeva proprio in quel locale, dove è nato tutto. Jeff entra in studio di registrazione la prima volta senza avere le idee chiare, così come Steve Addabbo e Steve Berkowitz, i due produttori che dopo averlo ascoltato decidono di puntare sul suo talento ma non hanno ancora ben chiara la strada da battere. L’artista ci mette qualche giorno a sciogliersi e ad allentare la tensione; probabilmente ha sempre saputo di avere dentro di sé tanto talento ma anche tanti modi per poterlo esprimere. Non restava che scegliere quale Jeff Buckley essere. “In studio speravamo di farlo sentire come davanti a un’audience per fargli suonare cosa gli usciva dalla testa”, racconta Addabbo, “senza direzionarlo in alcun modo”.
 
Jeff inizia a sentirsi libero, libero di provare, di improvvisare, di dare sfogo alla sua arte, di suonare d’istinto quello che gli viene. Generi diversi, autori diversi, sonorità diverse. Vengono fuori delle cover, dei pezzi che Buckley non si limita a risuonare: li reinterpreta totalmente, li fa suoi, li modella sulle sfumature del suo timbro vocale inconfondibile e sul suo stile chitarristico che rende tutto velatamente malinconico.
 
Il tributo a Bob Dylan apre le danze: Just Like A Woman ha una veste nuova, è intima e sentita, tuttavia non tradisce lo spirito poetico dell’originale; in Everyday People, degli Sly & The Family Stone, Jeff gioca con la sua voce, dalle note basse a quelle più alte, con la naturalezza e il gusto di chi non si deve impegnare nel fare qualcosa di bello, lo fa e basta. Canticchia sottovoce i primi versi di Don’t Let The Sun Catch You Cryin’ mentre sistema la chitarra, poi la suona per intero, sottile e delicata, per finire quasi in un sussurro: “I just like that song”, dice. A questo punto c’è la prima vera sorpresa, una versione nuda, cruda e viscerale di un suo classico, Grace. Calling You, scritta da Bob Telson e interpretata da Jevetta Steele per il film Bagdad Café, è un’ulteriore conferma della sensibilità di Jeff Buckley nell’interpretare pezzi di altri, così come The Boys With The Thorn In His Side e I Known It’s Over degli Smiths. Il blues tradizionale Poor Boy Long Way From Home, che Jeff canta con una voce che non sembra quasi la sua, e il rock di Flight Night dei Led Zeppelin chiudono le cover dell’album, ma c’è ancora spazio per un’ultima sorpresa, un altro brano inedito, Dream Of You And I, che nasce, come racconta lui stesso mentre parte ad arpeggiare, da un suo sogno.
 
You And I è una testimonianza preziosa di un talento sensibile ed eclettico, quello di Jeff Buckley, raccolta in un disco che lascia l’amarezza di non poterne godere ancora e l’incognita di ciò che avrebbe potuto essere. Perché Jeff era una perla rara e a noi non resta altro da fare se non custodirla.
 
 

 

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