03/07/2024

Da Ozzy a Amy Winehouse, Diarkos pubblica il libro su genio e sregolatezza

I folli del rock secondo Luca Garrò

 

Luca Garrò è uno dei saggisti rock italiani più attivi e competenti, la sua riflessione sulla follia nel rock, lungi dall’essere una prevedibile – e probabilmente stancante – sequela di aneddoti ammiccanti, è una discesa negli abissi interiori di tanti protagonisti, dell’era classica ma anche di quella moderna e contemporanea del rock. I folli del rock. Storie di geni tormentati, sostanze e sregolatezza, ultima uscita Diarkos, parte da una riflessione di Gianni Maroccolo sull’urgenza espressiva per toccare le storie di venti figure chiave. Ne parliamo con l’autore.

 

Sei reduce da una biografia su Brian May, musicista dal profilo piuttosto “regolare” rispetto a tanti madman come Ozzy che campeggia in copertina. Cosa affascina un giornalista come te di questo abisso di follia?

Da anni fantasticavo di un libro in cui poter unire i miei studi in psicologia, la mia passione per la musica e le biografie degli artisti che amo. Anche i miei libri precedenti, così come molti dei miei articoli, hanno sempre avuto una certa propensione verso il lato interiore dei protagonisti, ma questa volta ho potuto focalizzare i miei sforzi su qualcosa di più specifico. In effetti, passare dalla vita di Brian May a quelle di cui parlo qui è stato un salto nel buio, soprattutto perché questo è un volume in cui l’aspetto musicale passa quasi in secondo piano rispetto al resto. Era qualcosa che mi girava in testa dagli anni dell’università, ancora prima di iniziare il mio percorso di giornalista. Mi sembra di aver chiuso un cerchio.

 

Da Ozzy a Brian Wilson, da Ian Curtis a Dolores O’ Riordan e così via: ognuno con la sua storia e i suoi eccessi, ma qual è il filo rosso che accomuna tutti costoro?

Il filo rosso è senza dubbio quello del disagio, che si è espresso in ognuno dei protagonisti in forme diverse, che talvolta è stato diagnosticato e altre no e che in certi casi ha avuto conseguenze più evidenti e “spettacolari”, ma che sicuramente ne ha condizionato vita e arte. Ho cercato di evitare di cadere nel cliché classico di genio e follia, cercando anche di sottolineare che talvolta, anche se purtroppo non così spesso, canalizzare il proprio disturbo, le proprie ossessioni, sulla musica sia risultato salvifico. Penso a Joey Ramone, soprattutto, ma anche a Brian Wilson o allo stesso Ozzy.

 

Il caso Ozzy, folle per antonomasia, sregolato e tossico. In che modo l’industria discografica assorbe e mette a sistema figure del genere?

Penso che l’industria assorba un certo tipo di figure solo nel momento in cui (e fino a quando) risultino vendibili. Parlare delle bizzarrie di Ozzy in certi termini ha contribuito enormemente a venderne la musica. Va da sé che la sua fosse anche grande musica, ma di certo parlarne in certi termini ha aiutato. Non è mai interessato più di tanto se poi avesse rischiato di morire centinaia di volte o capire da dove venissero certi comportamenti. Così come va anche sottolineato, per onestà intellettuale, che lo stesso Ozzy ci abbia giocato molto e ne abbia tratto benefici. Però, dopo aver letto per anni storie di comportamenti disfunzionali descritti come cose di cui ridere, ho pensato fosse giusto cercare di guardarli anche da un altro punto di vista. Cercando di non essere troppo pesante e di non annoiare, perché il rischio era alto.

 

Parli anche di David Bowie, la cui follia è probabilmente da associare agli stravizi dell’epoca d’oro, e che invece ha saputo gestire una forma mentis trasversale e multimediale, talvolta in anticipo sui tempi. Folle fino a quale punto?

Il caso di Bowie è molto particolare e sicuramente al limite. È vero quello che dici riguardo agli stravizi, ma va anche detto che il DSM-5, il manuale diagnostico dei disturbi mentali più utilizzato in ambito psichiatrico, prevede anche tutta una serie di disturbi da abuso di sostanze. Di Bowie in realtà mi interessavano soprattutto due cose: la sua anamnesi familiare, che comprendeva svariati casi di disturbi mentali diagnosticati e il momento in cui la sua personalità e quella di Ziggy Stardust finirono pericolosamente per coincidere. Si trattò di un vero e proprio caso di identificazione proiettiva, in cui Bowie spostò su Ziggy tutta una serie di tratti di personalità fino a perdersi. Poi chiaramente, una volta recuperata lucidità, la sua scaltrezza e l’intelligenza sopra la media risultarono ancora più evidenti.

 

L’universo Pink Floyd, partendo da Syd Barrett, che ne rappresenta l’aspetto più visionario, non irreggimentabile, quasi mistico per certi versi. Qui la follia ha una dimensione medica, patologica. Quanto la sua vena artistica se ne è nutrita?

Non saprei dirti se la vena artistica di Barrett si sia nutrita della sua patologia o se invece questa abbia piuttosto rappresentato un limite per lui. È un po’ come la questione delle droghe, che alcuni sostengono abbiano contribuito a creare alcuni dei dischi più iconici di sempre. Sicuramente uno stato alterato della mente, vuoi per un disturbo medico che per altro, porta a produrre qualcosa di differente rispetto a quello che faresti in condizioni di “normalità”. Poi se diverso possa equivalere sempre a migliore è difficile a dirsi. Penso sia un dubbio impossibile da risolvere.

 

The Dark Side Of the Moon è uno dei testi-base per riflettere sul disagio interiore, ma se pensiamo a Roger Waters l’associazione con la follia non è affatto immediata, anzi… Eppure hai dato spazio anche alla sua vicenda, come mai?

Credo che Roger Waters sia stato il miglior cantore del disagio mentale della storia del rock e l’ha fatto in un contesto storico in cui parlare di follia era un vero tabù. Ancora oggi non è semplice, ma la consapevolezza sul problema della salute mentale ha fatto passi da gigante, soprattutto dopo che la pandemia ci ha costretto a fare i conti con un aumento esponenziale di un certo tipo di disturbi. L’ho inserito perché è innegabile che anch’egli nel corso della sua vita sia andato incontro ad una serie di problemi mentali. Pensiamo al trauma legato alla morte del padre, uno dei cardini della sua poetica: si è trattata di una vera e propria ossessione, che ne ha condizionato i pensieri e le azioni. Infatti, se siamo abituati a pensare a The Dark Side come al disco sulla follia per antonomasia, credo che fino a quel momento Waters abbia messo in musica problemi altrui. Solo con The Wall e The Final Cut è riuscito ad affrontare le proprie angosce, i propri demoni. Prima era solo un narratore, dopo è diventato anche il protagonista delle proprie storie.

 

Ho apprezzato molto la scheda su GG Allin, di cui non si parla mai tanto. È fin troppo facile considerare folle un esponente della body art musicale più estrema, eppure se di follia possiamo parlare, è stato assai coerente, fino al controverso funerale…

Quando ho iniziato a mettere insieme le idee per il libro, una delle poche certezze che avevo era che GG Allin avrebbe dovuto assolutamente farne parte. Mi rendo conto perfettamente della difficoltà del personaggio e della sua proposta (un conto è andare su Youtube a capire chi era Syd Barrett, un altro è farlo con lui), però mi sembrava giusto dargli visibilità. Non esistono tracce di nessun tipo di diagnosi legata ai suoi comportamenti, ma il fatto che non gli fosse mai stato diagnosticato un disturbo non significa che non ne avesse. Dove non ho trovato fonti, non ho avuto la presunzione di addentrarmi in ipotesi medico-psicologiche, ma non credo si trattasse esclusivamente di un provocatore. Quantomeno un minimo di antisocialità mi sento di riconoscergliela. Comunque sì, nella sua “follia” è riuscito a mantenere una coerenza incredibile, celebrata poi in quel folle funerale proprio da chi ne aveva conosciuto le gesta.

 

Hai raccontato anche Michael Jackson, Michael Hutchence, Lou Reed e Sinead O’ Connor, tra gli altri. Nomi che appartengono all’epoca d’oro del rock e del pop. La contemporaneità non produce artisti di eguale interesse oppure bisogna cercare in altri ambienti?

In realtà, la lista iniziale dei nomi era molto più vasta rispetto a quella definitiva e comprendeva anche personaggi contemporanei. Poi, per una questione di spazi e di coerenza storica e narrativa, ho optato per questi. Sicuramente certi nomi mi hanno offerto maggior materiale su cui lavorare, se non altro perché il maggior tempo trascorso dai fatti mi ha permesso di avere a disposizione più informazioni. Non credo comunque si tratti di cercare in altri ambienti, perché certi problemi non fanno distinzioni di sorta. Anche per questo spero di poter lavorare ad un secondo volume per poter raccontare altre storie come queste.

Luca Garrò - I folli del rock

On demand

Iscriviti alla Newsletter

Vuoi rimanere sempre aggiornato su rock e dintorni? Iscriviti alla nostra newsletter
per ricevere tutte le settimane nuovi video, contenuti esclusivi, interviste e tanto altro!