Nei suoi giorni finali con i Pink Floyd, il mix di acidi nella testa di Syd Barrett lo indusse a mescolare pillole di Mandrax con la brillantina. La droga nei capelli si sciolse sotto la luce dei riflettori colando a righe sul volto del chitarrista e trasfigurando i lineamenti di una persona ormai completamente assente. Bella storia, eh? Quante volte l’avete letta nelle bio o nelle retrospettive su Barrett? Peccato che sia falsa. Saltata fuori solo alcuni anni dopo la fuoriuscita di Syd dai Floyd in varie testimonianze ma con particolari mai coincidenti, è una delle leggende metropolitane che Rob Chapman, giornalista e grande fan di Barrett, si prende cura di smontare per donarci, forse per la prima volta dopo tanti anni, un ritratto serio, accurato e realistico dell’artista.
Troppi sentito dire, troppe fantasie perpetrate di bocca in bocca nei decenni (altra bufala è quella dei coinquilini che gli scioglievano l’acido nel caffè): era necessario un lavoro rigoroso che, finalmente, esaminasse con estrema attenzione i fatti. Per esempio, e analiticamente, le in fondo poche interviste di Syd, le quali dicono molto di più dei pettegolezzi. O la cronaca di tutte le sue ultime apparizioni pubbliche, inclusi i concerti di cui esistono registrazioni, il cui resoconto dimostra che non è vero che fosse in caduta libera. Non fornisce certezze, Chapman, né tanto meno nega il purtroppo irreversibile salto indietro verso l’ignoto mentale di Syd raccontandolo lucidamente, ma almeno si pregia di sfatare qualche balla e di rivelare particolari meno conosciuti, ma a conti fatti ben più interessanti. Ad esempio il fatto che alcuni amici avessero prenotato per Syd un appuntamento con lo psichiatra scozzese Ronald David Laing, una sorta di guru per i fricchettoni sballati di quegli anni; purtroppo, non appena Barrett ne venne a conoscenza, rifiutò categoricamente di vederlo. Altro motivo di grande rimpianto è costituito dai diari di Syd. L’ex fidanzata Libby, che li aveva custoditi per tre anni, quando si sposò decise di restituirli al legittimo proprietario, il quale per tutta risposta li bruciò, facendo andare in fumo un vero e proprio patrimonio e testamento artistico (erano pieni di annotazioni, schizzi e disegni).
Il racconto di Chapman è preciso e dettagliato, partendo dall’infanzia felice (Syd era il quinto figlio di Arthur Max Barrett, patologo di fama nazionale), passando ovviamente per il grande successo di The Piper At The Gates Of Dawn e le improduttive session soliste. Fino al giorno in cui il personaggio Syd sparisce per sempre, lasciando subentrare Roger Barrett, che fa ritorno alla casa materna di Cambridge e chiude per sempre la porta al mito. Una lettura avvincente il cui unico grosso difetto è la totale mancanza di fotografie.