01/03/2016

Sky Plash: il nomadismo sonoro di Antonio Siniscalchi

Tra musica colta, rock ed elettronica, le varie collaborazioni del compositore campano
Antonio Siniscalchi è un tipo strano. Strano se rapportato all’andazzo musicale di oggi, prevedibile, rassicurante, monolitico. In una galassia parallela, governata dal Vero Dio Della Musica, le sue frequentazioni e il suo modus operandi sarebbero usuali, oltre che benedette dall’Ente Supremo di cui sopra. Rintanato nella sua Avellino o a zonzo con veste da sub nei fondali cilentani, cittadino del mondo per trascorsi giovanili e contatti professionali, Siniscalchi è una figura atipica, che può ricordare – mutatis mutandis – un altro nomade già qui intervistato come Enrico Merlin. Il suo ultimo lavoro Sky Plash è l’occasione ideale per capire motivazioni, obiettivi e azioni del compositore irpino.
 
Il tuo ultimo disco Sky Plash è un ideale compendio della tua personalità musicale, proviamo a “sezionarlo” per capire la tua posizione. In primis, la cover di Maggot Brain dei Funkadelic: un brano adorato dai lettori di Jam ma che non hai mai voluto ascoltare in originale… per quale motivo?
L’idea di una cover non mi entusiasma, perché abbia ragion d’essere deve offrire qualcosa in più di una reinterpretazione. Così quando Andrea e Alessandro Di Tizio me l’hanno proposta spedendomi la loro esecuzione ho pensato di non ascoltare l’originale e di suonare la mia parte. Neanche sapevo che Maggot Brain non fosse cantata e così ho proposto un testo a Florencia Rodriguez, talentuosa e giovanissima argentina, chiedendole di cantarlo in una determinata sezione del pezzo. Neanche lei aveva mai sentito l’originale. Il risultato è una gradevolissima cover fatta da due ignoranti e due sapienti.
 
Una personalità di caratura internazionale che hai ospitato nella title-track è Mike Johnson, e la memoria corre velocemente a una formazione statuaria come i Thinking Plague. Come mai lo hai coinvolto?
Mike, leader del mio gruppo preferito degli ultimi venti anni, aveva ascoltato alcune mie cose, tra cui Ninna Nanna, uno dei brani di Sky Plash con mia figlia Giulia (allora sedicenne) alla voce, e mi propose con mio lusingato stupore di elaborare una composizione insieme. Mi spedì anni fa una base che io non volli affrontare perché troppo complessa per le mie capacità. L’ho lasciata per tanto tempo in un apparente oblio finché ho avuto l’illuminazione per affrontarla e così è nato il brano Sky Plash che si sviluppa da una versione embrionale di quello che sarebbe diventato un brano dei Thinking Plague, Climbing The Mountain. La cosa divertente è che quando l’ho riproposto a Mike lui l’ha gradito subito tantissimo ed era stupefatto da quanto lo sentisse vicino alla sua arte. Io gli chiedevo se potevo divulgarlo e lui mi replicava: “Ma che diavolo dici, il pezzo è tuo, certo che puoi”, e io: “Ma come è mio, è nostro!” Insomma, si era dimenticato di avermelo mandato. Le risate si sono incrociate tra Denver e Avellino e poi Mike l’ha anche pubblicato sulla pagina Facebook dei TP.
 
I Thinking Plague rimandano inevitabilmente al movimento del Rock In Opposition e a un’etichetta di culto come la Cuneiform. Quanto sono stati importanti per la tua crescita musicale il fenomeno RIO e gli artisti della storica label?
Importantissimi e hanno ridato entusiasmo come ascoltatore, ma altrettanto importante è stato un lungo periodo in cui mi sono appassionato alla musica colta moderna e contemporanea, un lungo periodo in cui ho smesso di suonare, da giovane ero un mediocre batterista. Quando ho ripreso con il quartetto di avant-jazz Dedalogica ho iniziato questo percorso che mi ha condotto ad esperienze soliste e a collaborazioni. Grazie alle dritte del chitarrista Bruno Kleinefeld, presente in un brano, ho cominciato ad utilizzare il computer per la composizione e l’elaborazione di suoni e soprattutto per le manipolazioni della voce.
 
Un’altra figura chiave presente nell’album è il canadese Glenn Hall, poco noto ma musicalmente eccezionale. Che tipo di contributo ha offerto a League A. T.?
Anche Glen Hall aveva ascoltato (sia benedetto il Web) qualche mio brano solista e quando mi feci coraggio e gli proposi di suonare su una mia base elettronica egli, persona di grandi qualità umane oltre che artistiche, mi disse che anche lui, a suo tempo, aveva avuto qualche remora a chiedere a Gil Evans di lavorare insieme ma il grande musicista gli disse che aveva valutato la sua qualità artistica e non il fatto che fosse a quel tempo sconosciuto.  Così Glen ha completato il brano con il suo flauto basso. Quando gli proposi come titolo League A.T. (che nella pronuncia inglese suona come Ligeti) ne fu subito entusiasta e mi confidò che aveva studiato per un breve periodo proprio con il compositore ungherese! Una notevole coincidenza.
 
Oggi le possibilità offerte dai social network e dalla tecnologia musicale favoriscono ampiamente contatti e collaborazioni a distanza, ma nel tuo caso mi pare di capire che c’è qualcosa di più: una sorta di visione comune, un progetto condiviso.
Come ti dicevo, benedetto sia il Web. E hai colto nel segno come spesso ti capita quando scrivi di musica e della genesi di essa. La visione comune è la sorgente della spinta creativa, quando questi due aspetti sono forti non è neanche necessario discutere a lungo su ciò che deve sgorgare e sto parlando di tutt’altro che musica improvvisata. Ma c’è più di questo; dietro ogni collaborazione c’è un rapporto umano di stima, ammirazione e in alcuni casi affetto. Devo aggiungere che tutte le collaborazioni sono state amichevoli nonostante alcuni musicisti siano dei professionisti.
 
È importante citare altri due nomi che hanno preso parte a Sky Plash, stavolta italiani: Gianvincenzo Cresta e Luciano Margorani, protagonisti della musica colta nostrana.
Cresta è ormai uno dei protagonisti internazionali della musica colta contemporanea, è un ex pianista concertista e ora un compositore di livello eccelso, basti dire che registra all’IRCAM di Parigi e una sua opera prima è stata appena eseguita e trasmessa in diretta dall’Orchestra Filarmonica di Radio France. Quella con lui è una collaborazione a tutto tondo perché il progetto è stato elaborato e discusso a quattro orecchie prima della sua performance al piano a coda.
 
Con Margorani hai all’attivo anche un progetto multimediale: The Shadoor, musiche ispirate al romanzo di Carlo Crescitelli, noto come ‘l’anti viaggiatore’. Di che si tratta?
Margorani in una chat di Facebook (benedetto pure FB) in cui si parlava di un brano dei Tangerine Dream mi propose a bruciapelo di fare un pezzo per midi-mellotron e chitarra elettrica. In poco tempo, detto fatto. Le atmosfere plumbee e minacciose del lavoro si gemellano con l’apocalisse interiore del libro di Crescitelli.
 
Quanto è importante secondo te far dialogare la musica colta con i linguaggi del popular? In fin dei conti tu sei anche un appassionato ascoltatore di rock e progressive.
Questo dialogo meraviglioso è iniziato come sappiamo nei primi anni settanta, quando tra i rockettari c’erano diplomati di accademia musicale e polistrumentisti validissimi. Oggi tra i compositori e musicisti cosiddetti colti ci sono giovani ed ex giovani che non hanno disdegnato incursioni nella musica popolare e giovanile. I risultati sono spesso affascinanti e per i miei gusti completamente appaganti. E poi non ci sono più i Tromboni di una volta, come il rettore della mia università; quando proposi durante la discussione della tesi di laurea l’ascolto di Song of the Gulls dei King Crimson girò la faccia schifato dicendo che non se ne parlava proprio. Pierre Boulez ha diretto opere di Zappa o mi sbaglio? Gianvincenzo Cresta ha suonato sul palco con i Dedalogica e non mi sbaglio.
 
A proposito di progressive, molti compositori di area colta o “di frontiera” hanno una particolare considerazione per questa musica. Secondo te quali sono stati i pregi e quali i difetti del prog storico?
Chi ha apertura mentale non può non riconoscere qualità e coerenza in proposte artistiche “diverse”. Bartok, Genesis e John Coltrane sono grandi esempi di arte pura, vulcani di furore creativo con espressività e culture di origine così differenti. Il percorso dei Genesis ci mostra i limiti del prog in maniera esaustiva. È stato un fenomeno limitato nel tempo e nell’arco di quegli anni denso di produzioni validissime, secondo me il declino creativo è stato del tutto naturale ma anche l’aspetto economico ne ha decretato la fine, se pensi che i Gentle Giant puntavano dichiaratamente ad un successo commerciale da rockstar con quella musica così complessa. Per quanto riguarda l’aspetto puramente artistico, l’espressività ipertrofica di certi gruppi può essere fastidiosa, ma questo difetto è presente a volte anche nella musica sinfonica che li ispirava. Io evito accuratamente l’ascolto delle innumerevoli scartine e raschiamenti di barile che propinano agli inguaribili appassionati del genere.
Sono tuttora un appassionato del progressive, di quello immenso, i Gentle Giant sono il mio gruppo preferito (anche Mike Johnson è un fan) ma per me i Genesis esistono da Hackett a Hackett. Nel 1983 mi laureai con una tesi sul rock progressivo inglese degli anni ’70. Da sempre mi ha affascinato quel tentativo di affrancare il rock dalle matrici blues e afroamericane, i rimandi alla musica sinfonica così come quelli alla musica colta di avanguardia o al jazz più cerebrale mi hanno sempre affascinato ed hanno prodotto piccoli e grandi capolavori della musica.
 
Facciamo un passo indietro, al collettivo di cui qualche anno fa si parlò in modo molto favorevole, i Dedalogica, con cui entraste nella scuderia Lizard. Ti senti più soddisfatto come solista con collaboratori sparsi o in veste di uomo di gruppo?
Pur avendo un temperamento individualista, io penso che quando un gruppo funziona bisogna profondere tutta la dedizione e l’energia in esso finché la creatività è viva anche a costo di trascurare la completa soddisfazione dei propri obiettivi. È quello che ho fatto per qualche anno, lasciando in attesa e spesso negletti i miei aneliti più personali.
Sono molto appagato soprattutto dalle mie collaborazioni con il batterista trevigiano Lucio Bonaldo, presente in due brani. Far funzionare un gruppo con personalità spiccate o collaborare sporadicamente con altri appassionati dà più soddisfazione che andar d’accordo con se stessi.
 
Il futuro di Antonio Siniscalchi sarà in continuità con quanto abbiamo ascoltato finora o ci stupirai?
Vi stupirò. Sono andato in pensione.
 

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