Se ne parla e se ne riparla ciclicamente perché ha rappresentato il trionfo dello spirito hippie e l’apice di una rivoluzione controculturale giovanile che ha segnato l’apoteosi e allo stesso tempo la fine di un’epoca. Mai come in questo periodo, poi, l’argomento torna di attualità, e allora, a 50 anni dal grande Festival di Woodstock, sono tante le opportunità e le occasioni di riportare l’attenzione su una vera e propria “nazione” che il 15, il 16 e il 17 agosto 1969 è accorsa in una fattoria di Bethel, stato di New York, per ammirare tutto ciò (o quasi) che di meglio ha da offrire in quel momento la musica popolare dal rock in poi.
I due giornalisti Mike Evans e Paul Kingsbury, in collaborazione col Museo di Bethel, raccontano in Woodstock – I tre giorni che hanno cambiato il mondo la tre giorni di pace, amore e musica attraverso foto, articoli dell’epoca e testimonianze dei protagonisti e lo fanno soprattutto ricostruendo anche il contesto storico in cui il Festival ha avuto luogo, mettendo in risalto quindi anche il prima e il dopo.
L’atmosfera di Woodstock del “prima” contiene un messaggio ben più profondo di un semplice slogan adottato dagli hippie: sullo sfondo c’è infatti la guerra in Vietnam, il primo conflitto con una copertura mediatica comprendente anche immagini cruente trasmesse nei tg serali e reportage con foto a colori su importanti magazine; l’idea pacifista si fa sempre più strada ed è rapportata di contro all’arruolamento forzoso e in costante aumento di giovani di età compresa tra i 19 e i 25 anni per far fronte alle esigenze della guerra.
Il “durante” del Festival di Woodstock viene narrato con le esibizioni di tutti gli artisti che si prolungano fino alla mattina del 18 agosto a causa del violento nubifragio successivo al set di Joe Cocker del pomeriggio precedente, che fa slittare tutto il programma di diverse ore e che si conclude con la famosa cover di With A Little Help From My Friends dei Beatles. Nel libro vengono dunque passate in rassegna tutte le performance di tutti i 31 artisti che si sono avvicendati sul palco nell’esatto ordine in cui si sono esibiti, da Ritchie Havens, che infiamma la folla con la sua liberatoria Freedom nel finale del suo live, fino al set di Jimi Hendrix della mattina del 18 agosto dinanzi alle “appena” 40.000 persone rimaste rispetto alle circa 500.000 stimate nelle giornate precedenti e dove si distingue la sua versione dell’inno americano Star Spangled Banner con cui è stata davvero riscritta la storia nella storia. In mezzo ci sono la rivelazione Santana, gli Who che presentano tutta la loro rock opera Tommy uscita quell’anno, Country Joe McDonald, Crosby, Stills, Nash & Young, Joan Baez, Janis Joplin, Sly & The Family Stone, Ravi Shankar, Grateful Dead, Jefferson Airplane e tutti gli altri con tanto di scalette per spiegare minuziosamente quanto è avvenuto durante un raduno che anche grazie a illustri precedenti come i Festival di Newport, Monterey, Miami e Atlanta raggiunge quella portata epocale.
Quando si parla del “dopo” non possono mancare i riferimenti al film di Woodstock, fondamentale per la diffusione di quella grande musica, del messaggio e dell’importanza storica di quei tre giorni. La pellicola è diretta da Michael Wadleigh e come assistente alla regia e al montaggio, pochi sanno o pochi ricordano, c’è “un certo” Martin Scorsese, che è anche l’autore della prefazione del libro. Il regista ricorda poco di quell’evento e racconta in particolare di averlo vissuto da dietro al palco, su una pedana, in equilibrio precario e con il compito di guidare gli operatori e di farli spostare per catturare le immagini migliori ai fini del montaggio finale. Un’esperienza che lui abbandonerà prima dell’uscita del film, ma che sarà fondamentale anche per il prosieguo della sua ben nota carriera.
Woodstock – I tre giorni che hanno cambiato il mondo è un libro che permette di comprendere una volta di più e in maniera semplice e allo stesso tempo completa e dettagliata quanto quella tre giorni di pace, amore e musica sia stata davvero unica, irripetibile e storicamente significativa per le epoche successive (e per quella in cui viviamo).
I due giornalisti Mike Evans e Paul Kingsbury, in collaborazione col Museo di Bethel, raccontano in Woodstock – I tre giorni che hanno cambiato il mondo la tre giorni di pace, amore e musica attraverso foto, articoli dell’epoca e testimonianze dei protagonisti e lo fanno soprattutto ricostruendo anche il contesto storico in cui il Festival ha avuto luogo, mettendo in risalto quindi anche il prima e il dopo.
L’atmosfera di Woodstock del “prima” contiene un messaggio ben più profondo di un semplice slogan adottato dagli hippie: sullo sfondo c’è infatti la guerra in Vietnam, il primo conflitto con una copertura mediatica comprendente anche immagini cruente trasmesse nei tg serali e reportage con foto a colori su importanti magazine; l’idea pacifista si fa sempre più strada ed è rapportata di contro all’arruolamento forzoso e in costante aumento di giovani di età compresa tra i 19 e i 25 anni per far fronte alle esigenze della guerra.
Il “durante” del Festival di Woodstock viene narrato con le esibizioni di tutti gli artisti che si prolungano fino alla mattina del 18 agosto a causa del violento nubifragio successivo al set di Joe Cocker del pomeriggio precedente, che fa slittare tutto il programma di diverse ore e che si conclude con la famosa cover di With A Little Help From My Friends dei Beatles. Nel libro vengono dunque passate in rassegna tutte le performance di tutti i 31 artisti che si sono avvicendati sul palco nell’esatto ordine in cui si sono esibiti, da Ritchie Havens, che infiamma la folla con la sua liberatoria Freedom nel finale del suo live, fino al set di Jimi Hendrix della mattina del 18 agosto dinanzi alle “appena” 40.000 persone rimaste rispetto alle circa 500.000 stimate nelle giornate precedenti e dove si distingue la sua versione dell’inno americano Star Spangled Banner con cui è stata davvero riscritta la storia nella storia. In mezzo ci sono la rivelazione Santana, gli Who che presentano tutta la loro rock opera Tommy uscita quell’anno, Country Joe McDonald, Crosby, Stills, Nash & Young, Joan Baez, Janis Joplin, Sly & The Family Stone, Ravi Shankar, Grateful Dead, Jefferson Airplane e tutti gli altri con tanto di scalette per spiegare minuziosamente quanto è avvenuto durante un raduno che anche grazie a illustri precedenti come i Festival di Newport, Monterey, Miami e Atlanta raggiunge quella portata epocale.
Quando si parla del “dopo” non possono mancare i riferimenti al film di Woodstock, fondamentale per la diffusione di quella grande musica, del messaggio e dell’importanza storica di quei tre giorni. La pellicola è diretta da Michael Wadleigh e come assistente alla regia e al montaggio, pochi sanno o pochi ricordano, c’è “un certo” Martin Scorsese, che è anche l’autore della prefazione del libro. Il regista ricorda poco di quell’evento e racconta in particolare di averlo vissuto da dietro al palco, su una pedana, in equilibrio precario e con il compito di guidare gli operatori e di farli spostare per catturare le immagini migliori ai fini del montaggio finale. Un’esperienza che lui abbandonerà prima dell’uscita del film, ma che sarà fondamentale anche per il prosieguo della sua ben nota carriera.
Woodstock – I tre giorni che hanno cambiato il mondo è un libro che permette di comprendere una volta di più e in maniera semplice e allo stesso tempo completa e dettagliata quanto quella tre giorni di pace, amore e musica sia stata davvero unica, irripetibile e storicamente significativa per le epoche successive (e per quella in cui viviamo).