Giusto il tempo di strimpellare qualcosa prima di andare a dormire.
Keith Richards inizia in questo modo a creare un nuovo riff partendo da I Can’t Be Satisfied, un classico blues di Muddy Waters.
Dopo un po’, però, il chitarrista dei Rolling Stones si addormenta, ma il registratore che porta sempre con sé era acceso. Risultato della registrazione: quaranta minuti di lui che russa e prima, per fortuna, un riff. Anzi… il riff. Certo, quella frase creata con la chitarra acustica gli ricorda un po’ quello di Dancing In The Street di Martha & The Vandellas, però “può andare”.
Keith Richards poi ci canta su semplicemente “I Can’t Get No Satisfaction” e da lì Mick Jagger inserisce le altre parti del testo. Pochi giorni dopo il gruppo si troverà prima negli studi della Chess Records a Chicago e poi in quelli della RCA di Hollywood, dove il pedale fuzz della Gibson, da poco sul mercato, permetterà al chitarrista di fare la differenza.
Lui inoltre immaginava anche i fiati nell’arrangiamento, ma gli Stones non li avevano e quindi non era particolarmente convinto del risultato finale. Qualsiasi dubbio sarà però spazzato via dopo la pubblicazione avvenuta il 6 giugno 1965. Il brano diventa infatti un successo, il più importante della band, tanto che per festeggiare i 50 anni dalla pubblicazione, il prossimo 10 luglio uscirà una ristampa speciale del singolo in edizione limitata e numerata e all’interno ci sarà anche materiale dal master mono originale.
Keith Richards nella parte della sua autobiografia Life (Feltrinelli, 2010) conclude così il paragrafo dedicato al celebre pezzo: “Una peculiarità di Satisfaction è che suonarla dal vivo è un casino infernale. Per anni e anni non l’abbiamo mai suonata, o solo di rado, fino agli ultimi dieci o quindici anni. Non riuscivamo a ottenere il sound giusto, ci pareva che non stesse in piedi, ci sembrava fiacca. C’è voluto un sacco di tempo perché la band capisse come affrontare Satisfaction sul palco. Quel che ce la fece piacere fu la cover di Otis Redding. In quell’interpretazione e nella versione di Aretha Franklin, prodotta da Jerry Wexler, ritrovammo ciò che avevamo tentato di scrivere fin dall’inizio. Ci piaceva suonata così, e cominciammo a suonarla a nostra volta perché il meglio della musica soul stava rifacendo una nostra canzone”.
E senz’altro certi “problemi” sono stati più che superati a prescindere, visto l’ormai proverbiale entusiasmo alla fine dei concerti degli Stones che si chiudono inevitabilmente con Satisfaction.
Keith Richards inizia in questo modo a creare un nuovo riff partendo da I Can’t Be Satisfied, un classico blues di Muddy Waters.
Dopo un po’, però, il chitarrista dei Rolling Stones si addormenta, ma il registratore che porta sempre con sé era acceso. Risultato della registrazione: quaranta minuti di lui che russa e prima, per fortuna, un riff. Anzi… il riff. Certo, quella frase creata con la chitarra acustica gli ricorda un po’ quello di Dancing In The Street di Martha & The Vandellas, però “può andare”.
Keith Richards poi ci canta su semplicemente “I Can’t Get No Satisfaction” e da lì Mick Jagger inserisce le altre parti del testo. Pochi giorni dopo il gruppo si troverà prima negli studi della Chess Records a Chicago e poi in quelli della RCA di Hollywood, dove il pedale fuzz della Gibson, da poco sul mercato, permetterà al chitarrista di fare la differenza.
Lui inoltre immaginava anche i fiati nell’arrangiamento, ma gli Stones non li avevano e quindi non era particolarmente convinto del risultato finale. Qualsiasi dubbio sarà però spazzato via dopo la pubblicazione avvenuta il 6 giugno 1965. Il brano diventa infatti un successo, il più importante della band, tanto che per festeggiare i 50 anni dalla pubblicazione, il prossimo 10 luglio uscirà una ristampa speciale del singolo in edizione limitata e numerata e all’interno ci sarà anche materiale dal master mono originale.
Keith Richards nella parte della sua autobiografia Life (Feltrinelli, 2010) conclude così il paragrafo dedicato al celebre pezzo: “Una peculiarità di Satisfaction è che suonarla dal vivo è un casino infernale. Per anni e anni non l’abbiamo mai suonata, o solo di rado, fino agli ultimi dieci o quindici anni. Non riuscivamo a ottenere il sound giusto, ci pareva che non stesse in piedi, ci sembrava fiacca. C’è voluto un sacco di tempo perché la band capisse come affrontare Satisfaction sul palco. Quel che ce la fece piacere fu la cover di Otis Redding. In quell’interpretazione e nella versione di Aretha Franklin, prodotta da Jerry Wexler, ritrovammo ciò che avevamo tentato di scrivere fin dall’inizio. Ci piaceva suonata così, e cominciammo a suonarla a nostra volta perché il meglio della musica soul stava rifacendo una nostra canzone”.
E senz’altro certi “problemi” sono stati più che superati a prescindere, visto l’ormai proverbiale entusiasmo alla fine dei concerti degli Stones che si chiudono inevitabilmente con Satisfaction.