Un po’ si può provare a immaginarseli, mentre girano di notte fradici (“Mézzi”, in vernacolo), tra le stradine della loro Pisa, in cerca di bisboccia o di qualche scorribanda. Intriganti e canzonatori, con l’aria di chi cade sempre in piedi, scurrili eppure eleganti in un modo tutto loro.
A inizio febbraio siamo andati al Circolo Masada di Milano ad ascoltare i Gatti Mézzi, per il primo appuntamento della rassegna Octopus, dedicata al cantautorato italiano e internazionale.
Più che un concerto, quello di Tommaso Novi e Francesco Bottai è stato quasi un happening, vista la loro naturale inclinazione al cabaret. Il duo ha tirato fuori dal cilindro dei bellissimi pezzi; storie fresche e spontanee, divertenti e a tratti commoventi, narrate in uno stile funambolico che unisce il cantautorato all’italiana e alla francese con jazz e swing. È uno spettacolo vedere come i Gatti Mézzi riescono ad accattivarsi il pubblico, sentirli parlare, che siano sul palco o meno.
Mentre stiamo cenando insieme, seduti a un tavolo, ci raccontano un po’ del nuovo disco, di Pisa, dei loro vari progetti. Lo fanno con un umorismo e un’autoironia che è un peccato non poter rendere con la medesima forza sulla pagina scritta. “Nell’album precedente ci siamo vestiti leggeri, stavolta saremo proprio nudi, senza neanche le mutande”, dicono ridendo. “Abbiamo deciso di raccontare questi ultimi due o tre anni di vita, nei quali sono cambiate tante cose, e con esse la nostra musica. Tiriamo fuori una parte di noi non solo più intima, ma che tratta tutto da un diverso punto di vista, dicendo cose che finora avevamo preferito tacere. Ci piacerebbe parlare dei brani, per esempio. In I miei amici non si sposano spieghiamo quali sono tutte le motivazioni per cui oggi non ci si sposa più, ci si sposa meno o forse ci si sposa male, chissà! Però c’è da dire che è un disco felice.
Non abbiamo ancora deciso il titolo, ma l’idea di fondo è che non cambieremo mai, perché è vero, i Gatti Mézzi sono diventati diversi, ma alla fine restiamo comunque sempre noi. Non cambieremo mai è anche il titolo di uno dei nuovi pezzi, una riflessione sull’uomo che pur avendo tante possibilità, finisce per morire egoista. Ci potrebbero dire che tra un anno sulla terra ci saranno sessanta gradi e saremo spacciati, tutti continuerebbero a fare la stessa vita. Siamo in un ingranaggio nel quale i bisogni sono tanti e nessuno ha intenzione di ridimensionarli, forse anche inconsapevolmente. Questo però è solamente il senso del brano, non dell’album.
Nel nuovo disco per la prima volta abbandoneremo totalmente il vernacolo pisano. È stato un veicolo: le cose che avevamo da dire negli altri quattro album dovevano essere espresse nella maniera più chiara e forte possibile, e il dialetto non ha scorciatoie; erano anche vicende più legate alla città di Pisa. Quello che vogliamo dire adesso deve invece arrivare a più persone possibile, e tutti devono poter sentire il testo. C’era voglia di cambiare, avevamo sul tavolo delle idee in italiano che ci sembravano belle e abbiamo deciso di lasciare evolvere la cosa”.
A proposito di brani in italiano, tra quelli del precedente Vestiti Leggeri è incluso anche Fame, canzone scritta in collaborazione con Brunori Sas: “Un giorno abbiamo ascoltato un disco di Brunori e ci è piaciuto moltissimo, poi l’abbiamo incontrato per caso a un festival e ci siamo conosciuti. Non ci piace quel cantautorato che ti vuole insegnare a vivere, eccessivamente ermetico con il solo scopo di essere elitario, oppure ancora fatto da chi non sa scrivere le canzoni. Dario ha un’idea precisa di ciò che vuole dire e delle belle melodie.
Ci sembra che a un certo punto sia sorta un’ondata di cantautori che hanno cercato di fare breccia nel pubblico lavando tutta la poesia dalle canzoni, portandole su un aspetto forzatamente crudo, ‘e io non m’innamoro, sono cattivo, sono brutto per cui faccio successo’. Dario invece ha restituito a questa realtà musicale la poesia, con un grande lavoro di scrittura e una semplicità apparente che gli permette di arrivare a tutti e di essere comunicativo, senza mai risultare scontato”.
Le collaborazioni artistiche del resto sono ormai un’abitudine per Novi e Bottai. La prima come Gatti Mézzi arriva dopo i due album autoprodotti Anco alle puce ni viene la tosse (che con Tragedia dell’estate e La zuppa e ir cacciucco vince una delle sezioni del Premio Ciampi nel 2007) e Amori e fortori, quando iniziano a esibirsi con Bobo Rondelli per una serie di concerti farciti di sarcasmo e irriverenza. Sempre insieme al cantautore livornese partecipano poi a un progetto molto particolare nel 2009, la trasposizione musicale del libro di storie per bambini L’elefante con le ali di farfalla, dell’autrice Eva Malacarne. “Bobo Rondelli è stato un maestro per noi in tanti aspetti, soprattutto per quanto riguarda il palco, la gestione dell’energia, il rapportarsi con il pubblico”, mi raccontano. Non posso fare a meno di domandare ai due che fine abbia fatto la tradizionale faida tra pisani e livornesi. “Con Livorno noi ci si adora, ci si ama. Giochiamo spesso sul campanilismo ma poi c’è tanto affetto, sembra quasi una città più grande divisa in due. Ci sono anche grandissime divergenze e differenze: per esempio Livorno non ha la stessa apertura al mondo che ha Pisa, che è invece una città universitaria, ospita istituzioni molto ambite come la Normale, il Sant’Anna o il CNR e ha un aeroporto internazionale dal quale arriva e parte tanta gente. Pisa ha un carattere molto interessante, perché ha un’identità forte ma anche un bel mescolio di persone”.
Grazie all’amicizia con un altro artista toscano, Andrea Kaemmerle, il duo ha poi avuto la possibilità di cimentarsi nel teatro. Con l’attore-clown i Gatti hanno scritto e interpretato due commedie musicali: Lisciami, che fa rivivere sul palco piste da ballo romagnole con annessi “struscioni” (termine estremamente evocativo che è superfluo spiegare ed è anche il titolo di un loro album del 2009), e Marinati 43, piccola odissea consumata tutta in un porto. “Kaemmerle è un grande, clown, attore, regista… Ci siamo conosciuti sei anni fa al festival che gestisce, ma il primo spettacolo fatto con lui è del 2011. Dopo un paio di anni di gestazione abbiamo iniziato a capirci, e, visto che avevamo delle cose belle da dire insieme, abbiamo preparato questi due spettacoli, che stanno andando molto bene”.
Passando dalle luci della ribalta a quelle del set, nel 2011 Novi e Bottai fanno una comparsa ne I primi della lista di Roan Johnson, regista di origine londinese ma cresciuto a Pisa. Johnson gli ha poi commissionato l’anno scorso la colonna sonora per il suo secondo lungometraggio, Fino a qui tutto bene. “È da tanto tempo che conosciamo Roan, e la collaborazione con lui ci è sembrata la coronazione di un percorso iniziato dalla gioventù. È stata interessante la scelta di chiamarci per scrivere la colonna sonora del suo film. Il lavoro è stato relativamente veloce, Roan ci ha dato le scene nelle quali voleva della musica e noi abbiamo dovuto comporla in tempi strettissimi. Il video di Morirò d’incidente stradale, uno dei pezzi che si possono ascoltare nella pellicola, è stato usato come trailer del film, davvero un bel regalo. Tra di noi c’è stato un ottimo scambio artistico”.
Nei brani dei Gatti Mézzi compare spesso il fischio, storicamente un vero e proprio strumento musicale, che però è stato ormai quasi dimenticato. Tommaso Novi l’ha riscoperto ed è diventato un vero maestro, tanto da avere ideato un corso tutto suo presso la Scuola di musica Giuseppe Bonamici. “È stata una cosa buffa, una sfida partita per divertimento quando alcuni amici mi hanno chiesto di insegnargli la mia tecnica”, racconta Novi. “Ne ho parlato poi con il direttore di una scuola, il compositore e jazzista Andrea Pellegrini, e a lui l’idea è piaciuta e mi ha detto ‘facciamo questa pazzia e attiviamo la prima cattedra europea di fischio!’. Mi viene da ridere a pensarci, ma lo dico volentieri! Allora ho costruito una didattica su tre livelli per insegnare a chi non sa fischiare o aiutare chi invece vuole perfezionare le sua capacità. La gente impara, si meraviglia anche, perché il fischio è uno strumento musicale a tutti gli effetti. Basterebbe prendere una letteratura di meccanica pianistica, flautistica o violinistica e si potrebbe già partire lavorando sui testi per altri strumenti per sviluppare le proprie capacità. È sempre musica, e questa cosa mi piace moltissimo”.
I Gatti Mézzi, infine, sono riusciti a farsi apprezzare anche all’estero, in una serie di concerti che gli hanno fatto ottenere ottimi consensi: nel giugno 2010 sono stati invitati a Parigi per esibirsi al Consolato Generale d’Italia in occasione della Festa della Repubblica, a novembre 2011 hanno fatto un tour di nove date nel Québec in Canada e a febbraio di quest’anno si sono esibiti in tre concerti tra Francia e Belgio. “In Francia e in Belgio erano tutti italiani ed è andata benissimo. Quando c’è un concerto di connazionali, la gente che è lì da un po’ e non ne può più dei francesi viene subito. I francesi invece non hanno capito niente ovviamente, però li ho visti molto disposti ad ascoltare. Un tizio in un locale ci ha detto ‘nella vostra musica ho sentito tanto Nino Rota’. Non che i nostri pezzi siano influenzati dalla musica di Nino Rota, ma almeno abbiamo capito che aveva prestato attenzione.
Questi viaggi ci hanno insegnato come prendere le misure e, anche se potrebbe sembrare banale, che la musica è davvero globale. Ad esempio in Canada, a Montreal, stavamo suonando questo swing tiratissimo in vernacolo pisano e il pubblico era in delirio e se lo godeva”.
I prossimi appuntamenti di Octopus al Circolo Masada di Milano saranno: il 9 maggio la statunitense Dessa, rapper, spoken word artist e membro del collettivo Hip Hop Dormtree; il 22 maggio il cantautore Giacomo Toni con il suo quintetto. Info: www.liolaeventi.it.
A inizio febbraio siamo andati al Circolo Masada di Milano ad ascoltare i Gatti Mézzi, per il primo appuntamento della rassegna Octopus, dedicata al cantautorato italiano e internazionale.
Più che un concerto, quello di Tommaso Novi e Francesco Bottai è stato quasi un happening, vista la loro naturale inclinazione al cabaret. Il duo ha tirato fuori dal cilindro dei bellissimi pezzi; storie fresche e spontanee, divertenti e a tratti commoventi, narrate in uno stile funambolico che unisce il cantautorato all’italiana e alla francese con jazz e swing. È uno spettacolo vedere come i Gatti Mézzi riescono ad accattivarsi il pubblico, sentirli parlare, che siano sul palco o meno.
Mentre stiamo cenando insieme, seduti a un tavolo, ci raccontano un po’ del nuovo disco, di Pisa, dei loro vari progetti. Lo fanno con un umorismo e un’autoironia che è un peccato non poter rendere con la medesima forza sulla pagina scritta. “Nell’album precedente ci siamo vestiti leggeri, stavolta saremo proprio nudi, senza neanche le mutande”, dicono ridendo. “Abbiamo deciso di raccontare questi ultimi due o tre anni di vita, nei quali sono cambiate tante cose, e con esse la nostra musica. Tiriamo fuori una parte di noi non solo più intima, ma che tratta tutto da un diverso punto di vista, dicendo cose che finora avevamo preferito tacere. Ci piacerebbe parlare dei brani, per esempio. In I miei amici non si sposano spieghiamo quali sono tutte le motivazioni per cui oggi non ci si sposa più, ci si sposa meno o forse ci si sposa male, chissà! Però c’è da dire che è un disco felice.
Non abbiamo ancora deciso il titolo, ma l’idea di fondo è che non cambieremo mai, perché è vero, i Gatti Mézzi sono diventati diversi, ma alla fine restiamo comunque sempre noi. Non cambieremo mai è anche il titolo di uno dei nuovi pezzi, una riflessione sull’uomo che pur avendo tante possibilità, finisce per morire egoista. Ci potrebbero dire che tra un anno sulla terra ci saranno sessanta gradi e saremo spacciati, tutti continuerebbero a fare la stessa vita. Siamo in un ingranaggio nel quale i bisogni sono tanti e nessuno ha intenzione di ridimensionarli, forse anche inconsapevolmente. Questo però è solamente il senso del brano, non dell’album.
Nel nuovo disco per la prima volta abbandoneremo totalmente il vernacolo pisano. È stato un veicolo: le cose che avevamo da dire negli altri quattro album dovevano essere espresse nella maniera più chiara e forte possibile, e il dialetto non ha scorciatoie; erano anche vicende più legate alla città di Pisa. Quello che vogliamo dire adesso deve invece arrivare a più persone possibile, e tutti devono poter sentire il testo. C’era voglia di cambiare, avevamo sul tavolo delle idee in italiano che ci sembravano belle e abbiamo deciso di lasciare evolvere la cosa”.
A proposito di brani in italiano, tra quelli del precedente Vestiti Leggeri è incluso anche Fame, canzone scritta in collaborazione con Brunori Sas: “Un giorno abbiamo ascoltato un disco di Brunori e ci è piaciuto moltissimo, poi l’abbiamo incontrato per caso a un festival e ci siamo conosciuti. Non ci piace quel cantautorato che ti vuole insegnare a vivere, eccessivamente ermetico con il solo scopo di essere elitario, oppure ancora fatto da chi non sa scrivere le canzoni. Dario ha un’idea precisa di ciò che vuole dire e delle belle melodie.
Ci sembra che a un certo punto sia sorta un’ondata di cantautori che hanno cercato di fare breccia nel pubblico lavando tutta la poesia dalle canzoni, portandole su un aspetto forzatamente crudo, ‘e io non m’innamoro, sono cattivo, sono brutto per cui faccio successo’. Dario invece ha restituito a questa realtà musicale la poesia, con un grande lavoro di scrittura e una semplicità apparente che gli permette di arrivare a tutti e di essere comunicativo, senza mai risultare scontato”.
Le collaborazioni artistiche del resto sono ormai un’abitudine per Novi e Bottai. La prima come Gatti Mézzi arriva dopo i due album autoprodotti Anco alle puce ni viene la tosse (che con Tragedia dell’estate e La zuppa e ir cacciucco vince una delle sezioni del Premio Ciampi nel 2007) e Amori e fortori, quando iniziano a esibirsi con Bobo Rondelli per una serie di concerti farciti di sarcasmo e irriverenza. Sempre insieme al cantautore livornese partecipano poi a un progetto molto particolare nel 2009, la trasposizione musicale del libro di storie per bambini L’elefante con le ali di farfalla, dell’autrice Eva Malacarne. “Bobo Rondelli è stato un maestro per noi in tanti aspetti, soprattutto per quanto riguarda il palco, la gestione dell’energia, il rapportarsi con il pubblico”, mi raccontano. Non posso fare a meno di domandare ai due che fine abbia fatto la tradizionale faida tra pisani e livornesi. “Con Livorno noi ci si adora, ci si ama. Giochiamo spesso sul campanilismo ma poi c’è tanto affetto, sembra quasi una città più grande divisa in due. Ci sono anche grandissime divergenze e differenze: per esempio Livorno non ha la stessa apertura al mondo che ha Pisa, che è invece una città universitaria, ospita istituzioni molto ambite come la Normale, il Sant’Anna o il CNR e ha un aeroporto internazionale dal quale arriva e parte tanta gente. Pisa ha un carattere molto interessante, perché ha un’identità forte ma anche un bel mescolio di persone”.
Grazie all’amicizia con un altro artista toscano, Andrea Kaemmerle, il duo ha poi avuto la possibilità di cimentarsi nel teatro. Con l’attore-clown i Gatti hanno scritto e interpretato due commedie musicali: Lisciami, che fa rivivere sul palco piste da ballo romagnole con annessi “struscioni” (termine estremamente evocativo che è superfluo spiegare ed è anche il titolo di un loro album del 2009), e Marinati 43, piccola odissea consumata tutta in un porto. “Kaemmerle è un grande, clown, attore, regista… Ci siamo conosciuti sei anni fa al festival che gestisce, ma il primo spettacolo fatto con lui è del 2011. Dopo un paio di anni di gestazione abbiamo iniziato a capirci, e, visto che avevamo delle cose belle da dire insieme, abbiamo preparato questi due spettacoli, che stanno andando molto bene”.
Passando dalle luci della ribalta a quelle del set, nel 2011 Novi e Bottai fanno una comparsa ne I primi della lista di Roan Johnson, regista di origine londinese ma cresciuto a Pisa. Johnson gli ha poi commissionato l’anno scorso la colonna sonora per il suo secondo lungometraggio, Fino a qui tutto bene. “È da tanto tempo che conosciamo Roan, e la collaborazione con lui ci è sembrata la coronazione di un percorso iniziato dalla gioventù. È stata interessante la scelta di chiamarci per scrivere la colonna sonora del suo film. Il lavoro è stato relativamente veloce, Roan ci ha dato le scene nelle quali voleva della musica e noi abbiamo dovuto comporla in tempi strettissimi. Il video di Morirò d’incidente stradale, uno dei pezzi che si possono ascoltare nella pellicola, è stato usato come trailer del film, davvero un bel regalo. Tra di noi c’è stato un ottimo scambio artistico”.
Nei brani dei Gatti Mézzi compare spesso il fischio, storicamente un vero e proprio strumento musicale, che però è stato ormai quasi dimenticato. Tommaso Novi l’ha riscoperto ed è diventato un vero maestro, tanto da avere ideato un corso tutto suo presso la Scuola di musica Giuseppe Bonamici. “È stata una cosa buffa, una sfida partita per divertimento quando alcuni amici mi hanno chiesto di insegnargli la mia tecnica”, racconta Novi. “Ne ho parlato poi con il direttore di una scuola, il compositore e jazzista Andrea Pellegrini, e a lui l’idea è piaciuta e mi ha detto ‘facciamo questa pazzia e attiviamo la prima cattedra europea di fischio!’. Mi viene da ridere a pensarci, ma lo dico volentieri! Allora ho costruito una didattica su tre livelli per insegnare a chi non sa fischiare o aiutare chi invece vuole perfezionare le sua capacità. La gente impara, si meraviglia anche, perché il fischio è uno strumento musicale a tutti gli effetti. Basterebbe prendere una letteratura di meccanica pianistica, flautistica o violinistica e si potrebbe già partire lavorando sui testi per altri strumenti per sviluppare le proprie capacità. È sempre musica, e questa cosa mi piace moltissimo”.
I Gatti Mézzi, infine, sono riusciti a farsi apprezzare anche all’estero, in una serie di concerti che gli hanno fatto ottenere ottimi consensi: nel giugno 2010 sono stati invitati a Parigi per esibirsi al Consolato Generale d’Italia in occasione della Festa della Repubblica, a novembre 2011 hanno fatto un tour di nove date nel Québec in Canada e a febbraio di quest’anno si sono esibiti in tre concerti tra Francia e Belgio. “In Francia e in Belgio erano tutti italiani ed è andata benissimo. Quando c’è un concerto di connazionali, la gente che è lì da un po’ e non ne può più dei francesi viene subito. I francesi invece non hanno capito niente ovviamente, però li ho visti molto disposti ad ascoltare. Un tizio in un locale ci ha detto ‘nella vostra musica ho sentito tanto Nino Rota’. Non che i nostri pezzi siano influenzati dalla musica di Nino Rota, ma almeno abbiamo capito che aveva prestato attenzione.
Questi viaggi ci hanno insegnato come prendere le misure e, anche se potrebbe sembrare banale, che la musica è davvero globale. Ad esempio in Canada, a Montreal, stavamo suonando questo swing tiratissimo in vernacolo pisano e il pubblico era in delirio e se lo godeva”.
I prossimi appuntamenti di Octopus al Circolo Masada di Milano saranno: il 9 maggio la statunitense Dessa, rapper, spoken word artist e membro del collettivo Hip Hop Dormtree; il 22 maggio il cantautore Giacomo Toni con il suo quintetto. Info: www.liolaeventi.it.
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