Il cuore nuovo dei Pink Floyd
Tsunami pubblica il libro di Giovanni Rossi su Atom Heart Mother
I Pink Floyd ormai non hanno più segreti per Giovanni Rossi. Lo scrittore emiliano non è nuovo alla materia, visto che con Tsunami si è occupato di Roger Waters e di Animals, e con questo nuovo testo su Atom Heart Mother fa un ambizioso passo indietro nel tempo, al 1970 floydiano. Tra mucche, ripartenze, esperimenti, sinfonie e boom in classifica. Ne parliamo con lui.
Il sottotitolo di questa tua nuova fatica – la numero undici, se non erro – è eloquente: “Il cuore nuovo dei Pink Floyd”. Atom Heart Mother fu proprio una novità per i quattro?
Mi ha sempre attirato l’idea di poter scrivere un libro su Atom Heart Mother perché sono convinto che sia stato uno dei momenti di svolta nella storia dei Pink Floyd. Il gruppo veniva dal periodo in cui il genio di Syd Barrett si era appena eclissato, e i quattro erano alla disperata ricerca di una loro identità. Non potevano portare avanti l’adamantina caratura psichedelica del leader che non c’era più, non erano in grado e non era il loro modo di concepire la composizione. A Saucerful of Secrets e Ummagumma dimostrarono quanto furono velleitari i tentativi dei Pink Floyd di affrancarsi dall’eredità di Syd. Occorreva dare una svolta, dovevano trovare una loro strada, e Atom Heart Mother fu il primo vero momento in cui il suono dei Pink Floyd cambiò volto.
Complice la sinfonia orchestrale, complice la decisione di lasciarsi alle spalle la psichedelia, ma questo fu il primo reale distacco dall’epoca di Syd. Certamente, le reminiscenze erano ancora vive, ma per la prima volta i Pink Floyd si avvicinavano a qualcosa di differente, occhieggiando alle elegie folk, proponendo incursioni rumoristiche, in cui si dava spazio alle partiture ariose di Richard Wright e ai primi veri esperimenti solisti di Dave Gilmour e Roger Waters. C’era tanto di nuovo in Atom Heart Mother, e non è un caso che questo disco sarebbe diventato il disco del gruppo a volare al numero uno in classifica.
Raccontare un gruppo storicizzato e studiato come i Pink Floyd è insidioso. Tu hai scelto di vivacizzare la scrittura con un tocco narrativo a mio avviso riuscito e efficace. Pensiamo agli episodi di Stanley Kubrick e Leonard Bernstein. Nel bilanciare il rispetto delle fonti e i voli della fantasia, fin dove può spingersi uno storico della musica? Dove invece deve fermarsi?
Credo che l’equilibrio molto sottile si giochi nel ristretto spazio della verosimiglianza. Alla fine è il lavoro che fanno gli storici, senza voler peccare di superbia. Penso agli straordinari lavori di Jacques Le Goff: chi può non amare la storia medievale dopo aver letto le sue opere? Opere documentate alla perfezione, ma ricche anche di ricostruzioni. E molto spesso la ricostruzione passa per interpretazione, rilettura, è un sapiente lavoro di cesello sui vuoti narrativi che deve restare aderente alla verosimiglianza di contesto. I Pink Floyd hanno sempre parlato poco di questo periodo, non si può nascondere che Atom Heart Mother sia l’album che detestino maggiormente, forse questo è proprio l’unico punto su cui Gilmour e Waters si sono sempre trovati d’accordo.
Quando mi sono avvicinato alla scrittura di questo libro, ho voluto documentarmi al massimo sui saggi che parlavano di quel periodo, le scarse interviste di quegli anni, le testimonianze dei giornali. Ho così cercato di immaginare ciò che mancava, ed ecco le parti più romanzate, sempre però inserite all’interno di un contesto di verosimiglianza. Molti dettagli e dialoghi che cito in quelle parti sono ispirati fedelmente da elementi reali della vita del gruppo, ma pur sempre costruiti nel rispetto delle diverse personalità dei quattro per come emergono dalle testimonianze e dalle interviste dell’epoca. Potremmo dire che le parti romanzate sono dei riempitivi, a mio avviso molto utili per poter godere meglio della vicenda storica che ci è stata tramandata con molti meno dettagli rispetto ad altri periodi dorati del gruppo. Alla fine credo che il confine debba rimanere esattamente quello che ho descritto, non spingersi nell’invenzione di fatti che potrebbero distorcere la verità storica, ma limitarsi per così dire ai dettagli. Per dirla da emiliano, i tortellini devono sempre rimanere tortellini, al massimo ci puoi mettere più o meno brodo per aggiustare il sapore.
Una posizione importante la ricopre Ron Geesin, primo partner di Waters poi coinvolto a pieno titolo, tutt’altro che membro esterno. Quanto è stato decisivo il compositore?
Una cosa va detta quando si parla di Atom Heart Mother: Ron Geesin è stato assolutamente fondamentale nella scrittura della suite omonima. È stato lui ad orchestrare l’aria che gli avevano consegnato Waters e Gilmour, e senza un Geesin non esisterebbe la suite di Atom Heart Mother così come la conosciamo. I Pink Floyd non avevano le competenze per scrivere una partitura orchestrale, e così si erano rivolti al compositore che aveva già lavorato con Roger Waters su Music From The Body. È stato Ron a immaginare la suddivisione dei movimenti, a scrivere le parti di orchestra, a comporre completamente ex novo molte delle sezioni di archi e ottoni che oggi possiamo ascoltare in questa che fu la prima scrittura orchestrale del gruppo.
Nel libro lo spiego molto bene, Ron aveva fatto un veloce passaggio con Gilmour e Waters, poi i due gli avevano affidato una registrazione con ciò che avevano scritto su basso e chitarra, chiedendogli di poter ricavare una partitura classica. Da quel momento i Pink Floyd hanno dato carta bianca al compositore, aggiungendo poi ulteriori dettagli in fase di rifinitura, ma il grosso della composizione della suite è stata opera di Ron.
Spesso gli album degli anni ’70 con una concept-side a forma di suite sono carenti nella B side. È così anche per Atom?
La seconda facciata di Atom Heart Mother contiene dei pezzi bellissimi, che sarebbero poi stati ripresi in seguito dal gruppo ed anche dai suoi membri in chiave solista. If è una bellissima poesia scritta da Waters, uno dei suoi primi esperimenti di scrittura solista. Summer ’68 rappresenta uno dei brani più amati da Wright, la disillusa descrizione di una sua fugace avventura durante il tour americano. Fat Old Sun sarebbe stata ripresa da Gilmour anche nel suo percorso solista successivo ai Pink Floyd, un’elegiaca composizione di chitarra che riporta le lancette dei Pink Floyd ai loro primissimi momenti. Questi tre pezzi saranno molto più apprezzati in futuro che nel momento stesso in cui uscirono, sia dal pubblico che dalla stessa band. E poi c’è questo finale delirante, i dodici minuti corali di Alan’s Psychedelic Breakfast, dove Il gruppo si cimenta con un bizzarro esperimento a metà tra la musica concreta e il rumorismo. È un secondo lato molto sperimentale, su cui il gruppo cerca prendersi delle responsabilità e di andare oltre il tentativo che aveva fatto in Ummagumma. È un secondo lato che anticipa molto di ciò che avverrà nei Pink Floyd di lì a breve, e chi li vede finalmente misurarsi con una forma canzone più rock e meno psichedelica.
I Pink Floyd non sono un gruppo progressive in senso stretto, anche se talvolta i legami con questo genere sono stretti: in che modo Atom partecipa a questa connessione?
Atom Heart Mother è stato a vario titolo descritto come un album prog, in effetti contiene molti elementi che possono ricondurre alla categoria. Quelli erano gli anni delle scritture sinfoniche, delle orchestre, e non solo per l’esperienza dei Beatles ma anche per ciò che avrebbero fatto tanti importanti gruppi prog e non solo, penso ai Led Zeppelin e The Who. E poi c’era questo concetto di dilatazione dei tempi, uno degli stilemi del prog, in cui la forma canzone non si esauriva in uno spazio dal minutaggio a una mano sola, ma si arrogava il diritto di poter occupare un intero lato, complici anche i complessi arrangiamenti, in alcuni casi orchestrali, in altri affidati spesso a tastiere e chitarre. Nella ponderosa suite di Atom Heart Mother non mancava nulla di tutto questo, pur non essendo un brano strettamente prog, ma tanto ha contribuito ad avvicinare il gruppo all’etichetta progressive, molto più di quanto fosse stato fatto fino a quel momento.
Un grande album è tale anche per la copertina. Questa è celebre per la mucca, ma sottolineerei prima un altro elemento: non c’è scritto nulla, come accaduto l’anno prima con Abbey Road. Ma i Pink Floyd non erano forti e popolari come i Beatles…
Questo fu forse il più grande azzardo dei Pink Floyd, far uscire un disco senza nome e senza titolo in copertina. Quando ne parlarono con Storm Thorgerson, il loro amico e compagno di studi che aveva appena fondato lo studio Hipgnosis, lui non obiettò neppure troppo, gli sembrava un’idea folle come lo erano i suoi amici, e acconsentì a spalleggiarli. Ma Storm si spinge ben oltre l’immaginazione dei Pink Floyd, che in quel momento volevano in copertina un’immagine ordinaria, comune, che non avesse assolutamente nulla a che fare con tutta l’estetica rock che si stava sviluppando in quel momento. E cosa di più ordinario e pacioso di una mucca? Agli emissari della EMI quella sembrò una follia, un vero e proprio suicidio commerciale. Il gruppo insisté, il loro manager li assecondò, l’etichetta dovete uniformarsi, e alla fine Atom Heart Mother colpì nel segno anche per quella mucca che guardava dalle vetrine dei negozi di dischi.
Con il tempo è diventata una copertina iconica, al pari di tante altre della discografia dei Pink Floyd, e lo divenne celebrando una quotidiana ordinarietà che non aveva nulla a che fare né con il contenuto del disco, né con le bizzarrie rock, né tantomeno con le sideree epiche prog.
Archiviata la storia della copertina, quello che più mi interessa è capire perché si tratta di un’icona pop così potente, tra le più note del Novecento.
In molti se lo sono chiesti, e si riesce a comprenderlo solo affondando le mani nell’estetica pop, capace di esaltare e rendere iconici oggetti di uso comune apparentemente insignificanti. Il barattolo della Campbell Soup di Warhol è come la mucca di Atom Heart Mother, chi mai si sognerebbe che potrebbe diventare un oggetto iconico, là in mezzo a uno scaffale di un supermercato? Non lo sarebbe mai diventato, così come non lo era Lulubelle III al pascolo. L’alchimia perfetta, la consegna all’epicità, l’immortalità, si raggiungono nel momento in cui deflagra l’accostamento perfetto e tra significante e significato. Quella mucca è diventata un’icona perché era abbracciata ai Pink Floyd, così come il barattolo di pomodoro era abbracciato a Andy Warhol. Questo connubio ha contribuito alla creazione di un’icona, a far sì che un’immagine così innocua e neutra potesse diventare tanto potente.
Mostra a cento appassionati di musica la copertina di Atom Heart Mother e novantanove ti risponderanno che è un disco dei Pink Floyd. Ma chiedi loro di canticchiare una canzone, un’aria o di dirti il titolo di un brano, e credo che troverai più difficoltà. Qui sta la grandezza dei Pink Floyd, essere stati capaci di entrare nella storia del rock trascendendo la sola forma musicale, una proposta artistica sublimata in una estetica che emulsionava suono, immagine e parola.
Atom raggiunge il primo posto in classifica, nonostante non sia un album radiofonico e cantabile come Dark Side. Potere della mucca o erano tempi in cui anche una suite di frontiera poteva scalare le charts?
In quel successo giocarono tantissimi fattori. I Pink Floyd erano uno dei gruppi sulla rampa del successo in quegli anni, avevano appena finito di lavorare con Michelangelo Antonioni, erano costantemente in tour, le loro performance erano tra le più osannate dalla critica, e in quel periodo ascoltare i Pink Floyd era anche una delle cose più alla moda che un giovane potesse fare. Atom Heart Mother godeva già di un buon traino, e quando uscì, trovo terreno fertile sia presso il pubblico, che sulla stampa. C’era molta curiosità per capire cosa avrebbero fatto di nuovo i Pink Floyd, e questo disco incarnò una piacevole risposta, nonostante l’impossibilità oggettiva di sentirlo passare per radio. I Pink Floyd poi godevano di una posizione molto particolare, erano ancora venerati dal sottobosco psichedelico underground di Londra, ma al tempo stesso il loro nome era già iscritto nelle liste del mainstream. Faceva tendenza ascoltare i Pink Floyd, e per tanti il loro nome rappresentava la garanzia di scoperta di nuove frontiere musicali. Era già accaduto con Ummagumma, un altro album che con il trascorrere del tempo non sarebbe stato ricordato dagli stessi Pink Floyd come uno dei loro più riusciti, e che comunque, in quel periodo, incarnava già forti elementi di novità. È successo lo stesso con Atom Heart Mother, ma questa volta con la maggiore propulsione data dalla novità del suono.
Se Dark Side e The Wall sono rimasti fissi nelle scalette e nei riferimenti dei Pink Floyd durante gli anni, Atom è percepito come una faccenda a se stante. Qual è la posizione di questo disco, a oltre mezzo secolo di distanza, nei pensieri o nelle interviste di Waters, Gilmour e Mason?
Forse Atom Heart Mother è l’unico terreno di pace su cui Waters e Gilmour l’hanno sempre pensata alla stessa maniera: a loro questo disco non piace, per usare una dolce parafrasi. Hanno sempre escluso categoricamente di suonare la suite di Atom Heart Mother, sia con i Pink Floyd, sia nelle loro carriere soliste. If, Summer ’68 e Fat Old Sun sono stati ripresi successivamente, ma la suite non è mai più stata suonata dopo il tour promozionale del disco. Curiosamente e fortunatamente, ci sono alcune ottime cover band che hanno ricostruito lo spettacolo di Atom Heart Mother, persino con un una vera orchestra.
Forse un po’ meno di Animals, Atom Heart Mother è comunque uno dei dischi più amati dai fan più sfegatati dei Pink Floyd, e la ragione sta proprio in quel suo curioso e misterioso mix di elementi che lo rende tanto affascinante. Credo inoltre, ma questa è una mia valutazione personale, che dopo aver toccato l’Olimpo con The Dark Side of the Moon e Wish You Were Here, ai quattro Atom Heart Mother dovesse essere sembrato un goffo e ingenuo tentativo riuscito male di trovare la dimensione che avrebbero poi trovato di lì a poco. È vero che la storia non si fa con i se e con i ma, ma se dopo Atom Heart Mother i Pink Floyd non fossero arrivati a scrivere la storia della musica con gli album sopra nominati, probabilmente anche la loro valutazione su Atom Heart Mother sarebbe stata diversa, e avrebbero usato parole più dolci per questa fantastica frisona.