29/07/2016

Alle fonti della musica radioattiva in compagnia di Donato Zoppo

Abbiamo intervistato uno dei punti di riferimento per tutti gli appassionati di prog dopo la pubblicazione del suo nuovo libro dedicato al secondo album degli Area
Ad inizio aprile di quest’anno parlavamo con lui dei Genesis, o meglio de La filosofia dei Genesis – Voci e maschere del teatro rock (Mimesis). Da poco però Aereostella ha pubblicato un suo nuovo libro dedicato agli Area. Il nuovo libro si intitola Caution Radiation Area – Alle fonti della musica radioattiva e prende in esame il secondo disco del gruppo capitanato da Demetrio Stratos, ricostruendo il biennio ’73-’74 attraverso le testimonianze di molti protagonisti del periodo come Patrizio Fariselli, Paolo Tofani, Ares Tavolazzi, Daniela Ronconi Demetriou, Patrick Djivas ecc. L’autore è ovviamente Donato Zoppo, un vero e proprio punto di riferimento soprattutto per gli appassionati di prog.
Andiamo dunque ad approfondire direttamente con lui i temi trattati all’interno del suo nuovo libro.
 
Come mai Caution Radiation Area inteso come titolo, come libro, come album e come “mezzo” per parlare degli Area?

È sempre entusiasmante parlare degli Area, un’esperienza totale – non solo musicale – senza eguali. L’editore Aereostella mi aveva proposto un saggio sul loro secondo album Caution Radiation Area per celebrarne i quarant’anni (1974-2014), ho accettato più che volentieri. Purtroppo per motivi editoriali il libro è uscito due anni dopo, fuori dal quarantennale, ma visto che Area e celebrazione sono due concetti antitetici è stato molto meglio così (ride, ndr)! Ho cercato di raccontare la storia di un disco ma anche di osservare “dall’alto” (o “da lontano” se preferisci) la storia degli Area: la cosa più bella è che Caution coincide proprio con un momento decisivo di definizione della personalità del gruppo.
 
Il tuo libro è dedicato a Demetrio Stratos, ma anche al grande Francesco Di Giacomo del Banco del Mutuo Soccorso.
In ogni mio libro c’è una dedica, mi piace pensare a una sorta di “spirito guida” che segue da chissà dove il mio lavoro. Quella a Demetrio era inevitabile, quella a Francesco era anche figlia del momento, visto che l’amata e indimenticabile voce del Banco era scomparsa da poco. Sono due figure assai diverse, che però nei miei ascolti e nei miei pensieri ho sempre accomunato: non solo memorabili voci, ma anche ricercatori e personalità stimolanti, creative, autentiche.
 
Com’è nata l’idea di affidare la prefazione all’artista Matteo Guarnaccia?
Sono un suo lettore e seguace affezionato da anni, è una delle voci più interessanti e avvincenti della cultura psichedelica italiana. Mi piaceva l’idea di far aprire un libro così denso di informazioni, stimoli e memorie a una figura poliedrica, che c’era, che ricorda e che conosce, che ha vissuto in modi trasversali le avventure dell’underground nostrano, tra colto e popular. Come gli Area, del resto.
 
Un libro suddiviso in due parti: nella prima ricostruisci l’iter che ha portato il gruppo a Caution Radiation Area, nella seconda parli proprio del disco.
Sì, è un “modulo” che come ricorderai ho già sperimentato in Amore, Libertà e Censura. Il 1971 di Lucio Battisti: in quel libro raccontavo il making of di Amore e Non Amore, qui ho fatto lo stesso con Caution, dovendo necessariamente partire dagli inizi degli Area e dal primo Lp. Non si è trattato di una narrazione dispersiva anche perché Caution nasce all’indomani di Arbeit e da una coraggiosa scommessa artistica, vista l’incertezza di Franco Mamone. I rapporti tra Arbeit e Caution sono molto interessanti, non di “filiazione” o emanazione come accade spesso tra un primo e un secondo album, ma di divergenza e separazione: benché Arbeit sia un disco straordinario e amatissimo, con Caution inizia sul serio il percorso di costruzione ideologica, estetica e musicale degli Area, peraltro con la formazione storica a cinque.
 
Prima dicevamo del titolo, ma parliamo anche del sottotitolo Alle fonti della musica radioattiva.
Mi piaceva molto l’idea di “musica radioattiva” come sinonimo di musica “pericolosa”, difficile da maneggiare, ostica e dura. Guardandola col senno di poi, con l’occhio dell’ascoltatore contemporaneo, sempre più smarrito dinanzi alla pochezza dell’attualità artistica, la radioattività degli Area si evince anche dal rapporto stesso con l’ascoltatore: una relazione conflittuale, tra il pedagogico e il provocatorio, tra l’educativo e lo sfrontato…
 
Come sono andati gli incontri con i tre Area Patrizio Fariselli, Ares Tavolazzi e Paolo Tofani e come mai non li hai incontrati tutti insieme per ricostruire le vicende legate a quell’album?
Ho voluto incontrarli separatamente per avere da ognuno dei tre dei ricordi precisi – e possibilmente abbondanti! – di tutto quel periodo. Tofani mi ha dedicato un’intera giornata (e pensa che le cose più belle di quell’incontro nella campagna piacentina non sono finite nel libro…), Patrizio e Ares sono stati generosissimi e appassionati nel recuperare vecchie memorie, nel riascoltare insieme il disco, nella valutazione postuma di un album di cui non si è mai parlato troppo, schiacciato come fu tra un classico come Arbeit e il più noto Crac. Stesso discorso anche per chi c’era e aveva ancora molto da dire: da Daniela Ronconi a Sergio Albergoni, da Gianni Ummarino a Alberto Bravin.
 
Prima di Tavolazzi nella band c’era Patrick Djivas, andato poi a suonare il basso nella PFM. Quanto è stato importante Djivas nei primi Area?
Djivas era profondamente immerso nella musicalità dei primi Area: come lui stesso mi ha rivelato, quello è stato il periodo più formativo per lui poiché fu allora che uscì dall’apprendistato e realizzò le prime cose ambiziose come strumentista. Credo sia stato il bassista perfetto in quella prima fase, era molto abile nei vamp e nei pattern sui quali improvvisare o costruire quelle direzioni rock-jazz a loro modo già inconfondibili. Patrick e Capiozzo erano un’affiatata coppia ritmica, ma per un lavoro così diverso e trasversale come Caution Tavolazzi si rivelò il bassista ideale.
 
Demetrio Stratos e soci invece sarebbero stati gli stessi anche senza la Cramps e/o il produttore Gianni Sassi?
L’errore – o meglio, la leggerezza – che spesso si compie è di considerare gli Area come qualcosa di separato e indipendente rispetto alla scuderia Cramps e a Gianni Sassi. Si trattava invece di una squadra estremamente compatta: Caution nasce proprio da riflessioni condivise, da valutazioni sul rapporto tra musica, politica, avanguardie e società, da un intreccio difficilmente districabile di pensieri e note tra Sassi e band. È anche vero, come emerge dai ricordi in studio, che Sassi non praticava ingerenze nella creazione strettamente musicale, tuttavia era portatore di stimoli importanti, pensa solo alla genesi di Lobotomia e al tipo di operazione concettuale che questo brano simboleggiava.
 
A un certo punto ricostruisci pure gli eventi storico-politici di quel periodo per contestualizzare il fenomeno Area. Quale evento pensi sia stato più determinante per dare voce, per così dire, al gruppo?
Gli Area hanno avuto il pregio di essere profondamente calati nella temperie dell’epoca senza essere cronachistici come certi cantastorie, senza essere sloganistici, anzi furono quasi dei visionari nel tradurre in musica – spesso strumentale ma connessa all’immagine delle copertine e affidata all’inventiva dell’ascoltatore, sempre debitamente stimolato – eventi, fatti, momenti storici e generazionali. Pensa a Lobotomia e all’episodio di Ulrike Meinhof, la giornalista e militante tedesca della RAF arrestata e lobotomizzata; oppure alle riflessioni intellettuali sulla fine del lavoro, la crescita zero, la società conviviale, tutte confluite in Zyg. A volte le analisi sull’esistente diventavano anche visioni futuribili, come accaduto nell’immagine fortissima di Brujo, questo stregone arcaico e postatomico da società apocalittica…
 
Area International Popular Group era/è il nome completo del gruppo: una ragione sociale – International Popular Group – dove Popular può essere abbreviato in “pop”, ma è un termine da non intendersi come lo si intenderebbe oggi. E se vogliamo il tutto è collegato anche alla “radical music”, il modo cioè in cui Sassi definì la loro musica.
International Popular Group non era solo una dicitura d’effetto, ma una “ragione sociale” decisiva per capire premesse e obiettivi degli Area. Internazionali per provenienza dei singoli membri e per orientamento politico, gruppo perché espressione di un collettivo totale in un periodo storico in cui dal “complesso” del beat si è drasticamente passati a forme di aggregazione musicale più profonde e compatte. Popular si riferiva sia alla connotazione strettamente politica, sia alla distinzione in generi, benché per gli Area colto e popular non siano mai stati delle etichette alle quali aderire. Anzi la “radical music” che tu citi era espressione di un abbattimento di generi fondamentale per capire lo spirito degli Area. Per loro musica colta, avanguardia del Novecento, rock, jazz e world music non erano che dei serbatoi da studiare, se necessario da mettere in discussione, e ovviamente da fondere con radicalità.
 
Caution Radiation Area è un album importante già in riferimento alla copertina.
La classica copertina alla Gianni Sassi, dal fortissimo impatto visivo. Una cosa che mi ha sempre colpito, stando ai racconti dei collaboratori Cramps, era l’apparente casualità sassiana nel rimescolare oggetti e simboli, che però messi insieme ritrovavano un valore artistico e politico sempre preciso. Sassi amava provocare, o meglio amava stimolare l’immaginazione dell’ascoltatore anche in modo aggressivo, ma sempre con grande lucidità e intelligenza: aveva trovato il cartellone del pericolo radioattivo su una bancarella di un rigattiere, la spilla di Marilyn Monroe chissà dove, ma accostate queste due immagini avevano e hanno tuttora un potenziale fortissimo, nel quale cultura dominante e controcultura, alto e basso, vanno a braccetto. Una perfetta porta d’ingresso ad un disco radicale.
 
Invece il pezzo più importante di quel disco è senza dubbio Lobotomia.
Personalmente ho affrontato lo studio di Caution ascoltandolo per quello che credo esso sia: una sequenza di pezzi in crescendo, che termina con il gesto – artistico, politico, sonoro – di Lobotomia, un esempio di violenza sonora ragionata e motivata, fondata su elementi ben precisi che replicano l’esperimento concettuale dell’Abbattimento dello Zeppelin del primo disco. La curiosità iniziale – l’arresto della Meinhof, la controversa lobotomia praticata, l’idea di come si potesse esprimere musicalmente un atto di tale violenza – si estese a una riflessione sulla penetrazione nella mente di musiche “di regime”, dalle sigle del tg ai caroselli della réclame. Era questa la forza concettuale del brano, che dal vivo diventava anche “visivo”, con le luci che si spegnevano, Tofani che sparava rumore dai synth e i quattro Area con delle potenti torce elettriche fulminavano al buio gli spettatori, creando reazioni incontrollate, dalla contestazione alla fuga…
 
Prima parlavamo di Djivas. A lui hai affidato anche la postfazione del libro e a tal proposito fa riferimento a tanti altri aneddoti non raccontati all’interno del tuo lavoro. Un aneddoto “che ci siamo persi” tra i tanti? E’ vero che a quei tempi i “suoi” Area suonavano diciotto ore al giorno?
A quei tempi per loro non esisteva altro. C’era la passione indubbiamente, senza di quella non avrebbero mai vissuto in gruppo in un cascinale ghiacciato e tremendo. E quella passione nutriva anche un’ambizione: quella di poter creare un gruppo unico nel suo genere, con una personalità fortissima e inconfondibile. Patrick ricorda con incredibile affetto e memoria quel periodo per lui così formativo, Area non era altro che l’uscita da un professionismo utile come palestra ma per nulla creativo per entrare in una dimensione nuova, insondabile, rischiosa e per questo eccitante.
 
I tre Area che hai intervistato per Caution Radiation Area sono gli stessi che avevano suonato in Sugo, disco che attualmente Eugenio Finardi sta celebrando anche in tour dal vivo con lo show 40 anni di Musica Ribelle, e non solo. Stiamo parlando quindi di musicisti lungimiranti? Oppure, non so, versatili?
Come definiresti in altre parole Patrizio Fariselli, Ares Tavolazzi e Paolo Tofani al di fuori del contesto Area, sebbene pure in quell’album suonassero insieme?
Preferirei non dare aggettivi proprio perché sono musicisti tout court, senza schemi, senza steccati, senza le paranoie di tanti ascoltatori che si stupiscono o si indignano se Tizio suona con Caio che fa tutt’altro genere… Sugo era figlio della Cramps, di un Finardi in forma splendida, di una Milano ruggente nonostante il riflusso imminente e il Parco Lambro dei polli e dell’eroina. Era un’occasione importante per musicisti come loro.
 
Prima di salutarci, un’ultima domanda.
E’ un periodo prolifico per te, vero? Solo pochi mesi fa era uscito il tuo libro sui Genesis e ora quello dedicato agli Area. Prossimi libri?
Il libro sugli Area è stato scritto molto tempo prima di quello sui Genesis, ma la sorte ha voluto che siano usciti in tempi piuttosto ravvicinati. Ora mi sto dedicando a due cose in parallelo, sulle quali però posso dire poco: il primo libro riguarda un modulo compositivo gettonatissimo da tanti gruppi a partire dalla fine anni ’60; il secondo riguarda uno dei grandi protagonisti della storia del rock e il suo rapporto con argomenti “spinosi” come la spiritualità e l’espansione della coscienza. Roba leggerina insomma…
 
 

 
 

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