12/05/2015

Billy Cobham, tra storia e attualità

Il leggendario batterista si racconta in un’intervista esclusiva: Miles Davis, Mahavishnu Orchestra… ma anche alcuni progetti imminenti
A febbraio ci aveva regalato un emozionante viaggio tra le sabbie della Skeleton Coast, al Blue Note di Milano. Di ritorno in Italia per una nuova data, il 13 maggio al Druso Circus di Bergamo, lo storico batterista jazz-fusion Billy Cobham ha accettato di scambiare quattro chiacchiere con noi al telefono, condividendo qualche ricordo della sua carriera e raccontandoci dei suoi ultimi progetti.
 
“Allora ero ancora un giovane turnista, tutto quello che dovevo fare era stare attento e tranquillo, per imparare dalle lezioni dei maestri, ed è così che mi sono comportato prevalentemente”. Era il 1969 e un giovanissimo Billy Cobham entrava a far parte della band di uno dei mostri sacri del jazz, Miles Davis. Con il trombettista di Saint Louis, Cobham incide diversi album, tra questi uno dei capostipiti della fusion, Bitches Brew. “Quando lavoravo con Davis, ogni volta che dicevo qualcosa mi sentivo molto insicuro, perché non credevo di avere realmente qualche idea che avrebbe potuto apportare un buon contributo. Più che parlarmi, mi faceva delle osservazioni quando voleva che suonassi. Nelle sessioni ovviamente non ero da solo, ma erano presenti anche gli altri musicisti che tutti conoscono. Eravamo allo stesso livello, solo quando Miles voleva che tu facessi qualcosa, ti mettevi a suonare e avevi la tua occasione di partecipare. Sono stato molto fortunato a trovarmi in una situazione come questa e ho cercato semplicemente di fare ciò che potevo nella maniera migliore”.
 
Poco tempo dopo Cobham e il chitarrista John McLaughlin abbandonano la corte di Davis per formare insieme una nuova band, così nasce la Mahavishnu Orchestra. Il complesso dà subito vita a un album estremamente innovativo, The Inner Mounting Flame. Anche questa esperienza però si conclude presto. Rimasto senza lavoro, Cobham decide allora di incidere un disco che gli permetta di mostrare le sue qualità, sperando così di ottenere un buon ingaggio. È il 1973 e ancora una volta il percussionista sta per scrivere un pezzetto di storia della musica, creando Spectrum, un altro dei dischi fondamentali del jazz-fusion. “Sono stato licenziato da McLaughlin e quindi avevo bisogno di trovare un modo per guadagnarmi da vivere. Ho deciso di provare a scrivere qualcosa che esprimesse appieno il mio livello musicale, una sorta di biglietto da visita. In quel momento non mi sentivo ancora pronto per fare il band leader o suonare da solo, separato dalla Mahavishnu Orchestra. Quando ho inciso Spectrum non l’ho fatto con l’obiettivo di ottenere successo, volevo solo comporre un disco per promuovermi, che potesse mostrarmi e fare interessare a me delle persone che potenzialmente potevano assumermi. Quindi sono stato ancora più felice che il mio album sia stato accolto così bene. Il resto è storia”.
 
L’inizio della fortunatissima carriera di Billy Cobham come musicista e performer si deve a suo padre. Il batterista esordisce infatti su un palco ad appena otto anni, accompagnando il papà che era stato ingaggiato come pianista per una serata in un locale. In realtà entrambi i suoi genitori erano musicisti, e Billy ha deciso nel 2008 di cominciare una serie di quattro dischi che rendesse omaggio a William e Ivy: “Ho scelto di intitolare questa tetralogia alla memoria dei miei genitori, è l’unica ragione per cui ho voluto realizzarla. Ho selezionato dei pezzi che fossero familiari a entrambi e ho cercato di sviluppare delle idee delle quali sarebbero stati felici, se fossero ancora qui. Per ora sono già stati pubblicati tre dei quattro album previsti, e l’ultimo sarà prodotto presto. Penso che lo chiamerò Two Song Degree. È una cosa che ho sempre voluto fare, e sono felice di aver scoperto nel corso della mia vita di poter trasformare un sogno in realtà. Il progetto è cominciato nel 2008 e nel 2016 sarà concluso; finalmente è diventato molto più che un semplice desiderio”.
 
Il primo capitolo di questa serie si chiama Fruit From The Loom, un album ispirato a tutti i viaggi che il batterista ha fatto intorno al mondo e che contiene influenze provenienti da diverse culture musicali. “Volevo semplicemente fare qualcosa di diverso. Nella nostra società abbiamo una maniera di comunicare con la musica che è differente da quella delle altre. Mi piace intraprendere il maggior numero di esperienze possibile, per comprendere ciò che succede nelle varie culture, per capire meglio anche cosa faccio io quando suono.
È il motivo per cui credo di aver mantenuto un’offerta musicale fresca, e inoltre, quando qualcuno mi chiama per qualche progetto, posso proporre qualcosa di un po’ diverso. È bello essere in grado di suonare con musicisti provenienti da altri ambienti e poter condividere questa cosa con loro. Ad esempio esibirsi con artisti della Sardegna, della Sicilia, di Reggio Calabria o del Nord Italia è differente, e io ho parlato con loro, ho cercato di capirli, di comprendere cosa li metteva più a loro agio.
A volte non suono la mia musica, ma semplicemente “la” musica, nel modo migliore che posso. Queste cose mi danno delle ragioni per continuare a fornire il mio contributo sulla scena musicale come performer, e ciò vuol dire tutto, per me”.
 
Nei primi due album della serie, Cobham ha colto l’occasione per rivisitare diversi brani appartenenti al suo passato come Spectrum e Crosswinds, e riconnettersi con musicisti con i quali ha collaborato nel corso della sua carriera, in quella che sembra una costante ricerca di novità sonore pur nel rispetto per il proprio bagaglio artistico. “Non credo che possiamo rimanere sempre fermi allo stesso punto, se siamo davvero artisti e musicisti. Alcune persone sono a loro agio con quello che hanno fatto nel passato, mentre altri cercano sempre di produrre qualcosa che sia diverso, a volte anche utilizzando vecchio materiale. Io mi riconosco in quest’ultima categoria, posso tornare a lavorare su cose che ho sviluppato in passato e poi riregistrarle per cambiarle, cercando di tenere la mia mente aperta, per portarle nel presente”.
 
Proprio da questo scambio continuo deriva il titolo di Palindrome, secondo capitolo del 2010: “È per il rapporto che intercorre al suo interno tra passato e presente che dico che la mia musica è palindroma, come una parola che puoi pronunciare o leggere in entrambi i sensi senza che il suo significato cambi. Quello che succede tra le lettere – in questo caso le note – è molto legato al periodo e ai musicisti. Uno dei fattori chiave, anche nelle mie performance, è che mi sento molto a mio agio quando mi trovo a far fronte a dei cambiamenti. Magari un musicista esce dalla band e io devo adeguarmi a chi gli subentra, perché non rappresenta più la musica che c’era prima, che però non va persa: c’è ancora ma in una maniera differente, perché un nuovo strumentista significa un diverso livello, quindi deve riadattarsi. Questo è un concetto che credo sia vitale in tutto quello che faccio”.
 
Uscito l’anno scorso, Tales From The Skeleton Coast è il terzo album della serie, e per ora l’ultimo. A differenza dei precedenti dischi, stavolta i brani sono stati tutti composti ex novo. Il concept deriva dalle memorie di un viaggio in Namibia che Cobham ha intrapreso a metà degli anni ’90, fatte riaffiorare da alcune foto che il batterista aveva scattato allora. “C’è voluto molto tempo prima che potessi mettere insieme tutti i ricordi e le idee per questo disco, anche se si potrebbe dire la stessa cosa riguardo a Fruit From The Loom. È semplicemente arrivato quando era giunto il momento. Il mio viaggio in Namibia risale a molto tempo fa, tra il 1994 e il 1995, e non è tornato alla superficie per vent’anni. Poi all’improvviso ho iniziato a ricordarmi di queste foto che ho scattato, perché la fotografia è un’altra delle mie passioni, e le impressioni visive hanno iniziato ad acquistare una dimensione sonora. La musica non è altro che un riflesso della mia esperienza, scrivo quando sento di aver qualcosa da mettere su carta che per me ha un senso. La Skeleton Coast, una località costiera che apparteneva a quello che all’epoca si chiamava West Africa, mi ha lasciato davvero moltissime idee e pensieri, così ho deciso di documentare tutto, e poi l’ho messo in questo album”.
 
Dell’ultimo capitolo invece non si sa ancora quasi nulla, anche se sembra che sarà dedicato alle percussioni e con una significativa componente vocale. “Lo stiamo già creando, ci saranno percussioni, una voce, degli archi… È tutto ancora in fase di sviluppo ma sto rispettando i tempi di marcia. Le cose devono procedere in maniera graduale, sto già preparando tutto nella mia mente e appena avrò le idee chiare le porteremo avanti. Questo è l’unico modo di lavorare che conosco, altrimenti si rischia di continuare a fare programmi senza mai riuscire a concludere nulla.
In realtà la scorsa settimana abbiamo iniziato a preparare due composizioni, abbiamo cominciato a studiarle nel dettaglio e stanno diventando davvero complesse. Quello che penso di fare è di prendere aspetti dalle forme del canone e del contrappunto, per realizzare dei brani nei quali i musicisti che lavorano con me possano essere indipendenti pur dovendo suonare gli uni con gli altri; ci saranno linee diverse dedicate a ogni singolo strumento invece che melodie e accordi suonati da tutti. Ognuno dovrà fermarsi, pensare a ciò che gli altri stanno facendo ed essere in sincronia con loro. Non sarà facile, ci vorrà del tempo”.
 
Anche degli altri progetti che Cobham sta sviluppando in questo periodo si conosce poco; a quanto pare è in arrivo un altro disco, che uscirà prima delle fine dell’anno: “Ci sono un sacco di cose in preparazione, ma nulla di sicuro. Abbiamo praticamente pronto però un album orchestrale, che dovrebbe venire pubblicato molto presto. Il titolo manca ancora, ma la musica e la maggior parte degli altri preparativi sono già stati fatti”.
 
Per assistere al concerto evento della Billy Cobham Band di domani sera, mercoledì 13 maggio, è possibile prenotare il biglietto all’indirizzo: [email protected].
 
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