22/05/2023

Bruce Springsteen live a Ferrara, il report (18.05.2023)

No retreat, believe me, no surrender

 

A quasi 7 anni dall’ultimo concerto italiano e a quasi 74 anni suonati, il boss torna a esibirsi in Italia. La cronaca della prima di tre date. Tutte, manco a dirlo, sold out

 

Ferrara, 18 maggio 2023. Una inusuale folla anima la città sin dalle prime ore del mattino. Chi arriva in treno, chi in pullman, chi in auto, molti hanno alloggiato in alberghi e B&B della provincia per evitare impegnativi rientri notturni. A un primo sguardo, colpisce (ma non stupisce) la quantità di capelli grigi. È lecito supporre che molti tra i presenti siano fan della prima o al massimo della seconda ora. Gente che ha visto il boss per la prima volta a S. Siro, quel fatidico e memorabile 21 giugno del 1985. Molti di loro sono qui con i figli, qualcuno addirittura con i nipoti (o almeno ha l’età per averne, di nipoti). È una folla allegra ma di una allegria contenuta, moderata, quasi non volesse disturbare la tranquillità operosa della città. Vuoi per le già dette questioni anagrafiche, vuoi perché in tutti è viva, vivissima e attuale, la consapevolezza della tragedia che si è abbattuta solo poche ore prima sulla vicina Romagna. Aleggia insomma un vago senso di colpa, del tipo “io son qua a divertirmi e poco più in la c’è chi spala via il fango dalla propria casa”. Il pensiero si fa più concreto all’ingresso del parco Bassani, quando le scarpe estive indossate con eccessivo ottimismo affondano nel fango misto a paglia. I più previdenti indossano stivaloni di gomma, i più intraprendenti utilizzano sacchetti di cellophane come galosce. Tutti gli altri saltellano e procedono seguendo traiettorie irregolari, a evitare le zone più melmose, oppure semplicemente se ne infischiano e procedono sorridendo, soppesando la pochezza transitoria della difficoltà e confidando nel premio che li aspetta alla fine del percorso.

Il premio, ovviamente, è lui: Bruce, il cui nome è scandito come un mantra dai 40mila, pochi minuti dopo la performance (peraltro molto apprezzata) di Sam Fender. Sono le 19:40 quando, alla spicciolata, fanno il loro ingresso sul palco dapprima i membri della E Street Band e infine lui, il Boss. È questo l’unico e legittimo vezzo da star che si concede un artista straordinario ma umile, che ha sempre legato il proprio successo e la propria meritata fama di showman alla band che lo accompagna da una vita e i cui nomi, Bruce Springsteen and the E Street Band, ora come 40 anni fa, campeggiano appaiati su biglietti e locandine in ogni angolo del mondo.

1, 2, 3… 4 si parte sulle note avvolgenti di No Surrender, sorta di antifona laica che anticipa e intercetta lo spirito della serata; una esortazione dal carattere universale ma che tutti sentono o vogliono sentire anche come un messaggio rivolto alla popolazione romagnola. Ma non solo: dopo quasi 4 decenni, No surrender diventa il manifesto di una maturità che non è ancora rassegnazione:

Adesso giovani facce diventano tristi e vecchie, e cuori in fiamme si raffreddano.

Noi giurammo, fratelli di sangue contro il vento, sono pronto a ritornare di nuovo giovane…

Credo che possiamo ritagliarci un posto tutto nostro, con questa batteria e queste chitarre… Nessuna ritirata, credimi, nessuna resa.

Quello della maturità o, fuor di eufemismo, della vecchiaia, del resto,  è il tema dominante del recente Letter to You. Un argomento inevitabile per un artista che ha passato i 70 anni e che Bruce non vuole e non può scansare ma anzi affronta con coraggio e una punta di tristezza. Lo fa anche qui e ora, inserendo quattro brani del suo ultimo album di inediti: la title-track, quarto brano in scaletta dopo Ghosts (e Prove It All Night), e a circa metà concerto, quando il sole volge al tramonto, con Last Man Standing, preceduta da un commovente prologo che ne racconta la genesi, ispirata dalla morte dell’ultimo membro dei Castilles, la prima band di Springsteen di cui ora egli è rimasto, appunto,  unico superstite. Sono cose che fanno riflettere, si sa, e Bruce lo fa a modo suo, da poeta e musicista raffinato qual è, dimostrando una volta di più di saperci fare con le parole almeno quanto non faccia con la musica (provate a leggere il testo di Thunder Road. Se non è poesia quella non so cos’altro lo sia).

L’ultima canzone da Letter to You è anche quella che chiude il concerto, quando Bruce, solo sul palco con la chitarra acustica per il più intimo dei bis intona I’ll See You In My Dreams.

La strada è lunga e apparentemente senza fine. I giorni passano, e mi ricordo di te, amico mio

E anche se te ne sei andato e mi sembra che il mio cuore sia stato svuotato, ti rivedrò nei miei sogni.

È uno struggente addio all’amico scomparso, che nella sua voce e in quella commossa dei quarantamila che lo accompagnano alla fine di ogni strofa, si fa tenera elegia del ricordo.

In mezzo a questo percorso circolare, Springsteen distilla sapientemente gocce di tutta una carriera, alternando i classici inni che scaldano voci e anime di più generazioni (Out in the Street, Badlands, The Promised Land, Born To Run), con brani dirompenti come She’s the One,  Backstreets e Because the Night (che qualcuno si ostina a definire una cover di Patti Smith).

Alla fine sono 27 canzoni, che attingono a sette dei suoi album: da The Wild the Innocent and the E Street Shuffle, Bruce estrae una versione monumentale di Kitty’s Back, autentica esplosione di energia soul che esalta la sezione di fiati della band e che dura qualcosa come un quarto d’ora ma si vorrebbe non finisse mai. E poi Born to Run, Darkness On the Edge of Town (con la splendida e poco eseguita Cany’s Room), Born in the USA, The Rising, ma anche Nebraska (con Johnny 99) e Wrecking Balls.

Dal suo ultimo lavoro in studio, la raccolta di cover Only the Strong Survive, ci regala invece Nightshift, dei Commodores, dove a incantare è la voce del corista Curtis King. E a proposito di voce, ebbene, va detto che quella del Boss all’inizio del concerto fa un po’ fatica, ma col passare del tempo si scalda e si fa via via più sicura. La Band ancora una volta si conferma un cocktail letale di precisione e potenza, meritandosi tutti gli aggettivi che Bruce sciorina con fare da istrione durante la presentazione (sulle note di Dancing in the Dark, con il toccante ricordo di Clarence Clemons e Danny Federici).

Si arriva così alla fine, dopo due ore e 50 minuti ininterrotti di musica (ormai Springsteen non fa nemmeno più finta di uscire e poi rientrare  per i bis) e la sensazione, fortissima, di avere assistito, ancora una volta, a qualcosa di speciale. E sarà che i cuori sono gonfi per l’emozione, sarà che i corpi sono leggeri per tutte le endorfine in circolo, ma il deflusso dal parco è più facile del previsto, il fango è meno appiccicoso e persino le navette arrivano puntuali. Ci sono momenti il cui il mondo sembra un posto perfetto. Deve essere qualcosa nella notte…

 

Bruce Springsteen © Danny Clinch

Bruce Springsteen - Ferrara

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