22/02/2016

Cosimo Morleo, Ultreya

Intervista al cantautore torinese che pochi giorni fa ha pubblicato il suo secondo album
Mr. Thoreau era il video pubblicato in esclusiva qui su Jam TV. Il singolo anticipava il secondo album Ultreya, uscito lo scorso 5 febbraio su Irma Records. Stiamo parlando di Cosimo Morleo, cantautore torinese.
 
Ecco cosa ci ha detto in merito alla sua nuova fatica discografica e non solo.
 
Partiamo dal titolo del tuo nuovo album: come mai lo hai intitolato proprio Ultreya?
Ultreya è un’antica parola di origine latina. Un saluto che si scambiavano i pellegrini sul cammino di Santiago. Era un momento particolare della mia vita quando decisi di intraprendere quel cammino. In quei giorni sono nate le idee che hanno dato vita alla maggior parte della canzoni di questo nuovo disco. La dimensione della lentezza, della solitudine e del camminare costringono ad una meditazione costante. È stato non solo un viaggio del corpo, ma soprattutto dell’anima, entrambi messi duramente alla prova. Ma Ultreya è anche un augurio che ho fatto a me stesso per la produzione di questo album. A differenza del primo, Geni dominanti, in questo nuovo lavoro ho seguito personalmente ogni fase di realizzazione, dalla scrittura agli arrangiamenti e alla post-produzione. Tutto questo in un certo senso ha significato rimettermi in cammino.
 
Nella presentazione del disco prendi a prestito le parole di Thoreau, fonte di ispirazione del singolo che avevamo pubblicato in anteprima qui. Il filosofo aveva dichiarato: «Se sei un uomo libero allora sei pronto per metterti in cammino». L’idea del camminare va collocata nel contesto di un viaggio o è solo uno dei modi di intenderla?
Può essere entrambe le cose. In senso più ampio il cammino di ciascuno di noi non deve necessariamente realizzarsi con uno zaino in spalla lungo sentieri, può anche significare fermarsi, scardinare le abitudini per cercare le risposte alla nostre frustrazioni esistenziali anche e soprattutto quando il cortocircuito salvifico giunge non richiesto, inatteso. Ed è proprio allora che cambiando percorso o semplicemente lasciandoci trasportare dagli eventi, giungiamo a nuove consapevolezze e spesso al miglioramento.
 
Poesia (Kavafis), letteratura (ma anche cinema in Un film di Godard), filosofia (Mr. Thoreau). Questi sono solo alcuni esempi, ma quanto in generale le discipline/forme d’arte differenti rispetto alla musica si legano o si collegano al tuo modo di scrivere i brani?
Moltissimo. Anzi direi che la mia ricerca si rivolge, trae nutrimento esclusivamente da altre forme d’arte. Soprattutto la letteratura, la filosofia, il teatro e il cinema. Kavafis è sempre stato uno dei miei poeti preferiti e la sua biografia ha ispirato il brano che da tempo avrei voluto scrivere per celebrarlo, mentre i film di Godard sono legati sentimentalmente a un periodo particolare della mia vita e Walden, l’opera di Thoreau, rappresenta il filo conduttore di una riflessione circa le distorsioni e la disumanizzazione della contemporaneità che permea tutto il disco.
 
Quali sono invece le tue influenze o i tuoi riferimenti musicali?
Tra gli italiani certamente su tutti Battiato che a suo tempo ha rivoluzionato il modo di intendere la parola cantautore. Ho sempre amato gruppi come Genesis e R.E.M. e artisti come Peter Gabriel, David Bowie, Kate Bush, ma anche Joni Mitchell e il folk americano degli anni settanta e poi la musica classica soprattutto J.S. Bach, Schubert e Schumann e per la contemporanea John Cage. Attualmente stimo moltissimo Rufus Wainwright, uno dei più raffinati e geniali songwriter in circolazione.
 
Si parla anche di attualità o di fatti di cronaca nel tuo nuovo disco in un brano come La Sposa
La sposa nasce a seguito della visione di Io sto con la sposa (film documentario del 2014 diretto da Antonio Augugliaro, Gabriele Del Grande e Khaled Soliman Al Nassiry, ndr) che tratta il tema dell’immigrazione. Ebbe grande successo di pubblico e critica, diventando un caso anche perché nasce da una produzione dal basso. Scrissi il brano nei mesi a venire e a disco finito lo feci ascoltare ai registi che ne rimasero piacevolmente colpiti. L’idea di collaborare a un videoclip utilizzando le immagini del film è stato un regalo inaspettato che mi onora. Uscirà a marzo.
 
Affronti poi la tematica del bullismo in Fonteyn e anche Leave The Boy Alone è un brano sullo stesso tema scritto per un film di prossima uscita…
Esattamente, è un tema che mi sta molto a cuore. Leave The Boy Alone nasce proprio grazie al videoclip di Fonteyn. Incontrai Giovanni Coda a Torino in occasione della proiezione del suo film Il rosa nudo e mi chiese di scrivere un brano per la colonna sonora di Bullied to death che trattava proprio di bullismo. Nel frattempo siamo diventati amici. Giovanni è un artista di rara sensibilità, premiato in tutto il mondo, ma anche una persona speciale, un vanto per il nostro Paese. Avevo già scritto il testo. Poi chiesi a Maddalena Bianchi (Mino Di Martino/Il compleanno di Mary) di collaborare alla stesura musicale. Così prese vita il brano, che sebbene sia distante dalle altre composizioni del disco è parte integrante del mio percorso artistico, umano. Un album a mio avviso dovrebbe anche essere una raccolta di istantanee, momenti diversi in successione da ricordare nel tempo. Non credo esista miglior coerenza per un artista di quella che non ne smentisce l’essenza attraverso pensieri e opere anche diverse tra loro.
 
Poi in Ultreya si può ascoltare anche Per una bambola, unica cover dell’album, giusto?
Per una bambola è un brano che da tempo avevo in mente di realizzare. Un testo bellissimo, poetico, scritto da Maurizio Monti e contenuto nell’album del 1984 Occulte persuasioni. Avevo tentato in passato di realizzarne una cover, ma con risultati che giudicai poco soddisfacenti. Pochi giorni prima di entrare in studio ne feci questa versione minimale invitando a partecipare Marco Inaudi, a mio avviso uno dei più talentuosi bassisti italiani. Non riuscimmo a vederci di persona in quei giorni per reciproci impegni e così gli inviai il brano e lui me lo restituì con una linea di basso bellissima, commovente. Ha anche partecipato creativamente ad altri brani del disco contribuendo ad impreziosirlo.
 
Prossimi progetti?
In primavera inizieremo a presentare il disco live. Sarò accompagnato da una band di musicisti con cui da tempo mi sento a casa: Gianni Stracuzzi (chitarra), Simona Mastroianni (batteria) e Andrea Caprioli (basso).
 
Ultima domanda sempre in riferimento alla frase di Thoreau citata quasi a inizio intervista: pensi sia difficile essere liberi (e che quindi diventi sempre più faticoso mettersi in cammino) o no?
Dipende. La libertà la diamo troppo spesso per scontata, garantita. Così non è come del resto scriveva Thoreau. Siamo posseduti da ciò che possediamo e, pur di non perdere i nostri vantaggi, siamo disposti a compromessi disumanizzanti, lavori atroci, dipendenze digitali che promettono vie di fuga, libera comunicazione, ma che ci chiedono in cambio la rinuncia alla nostra privacy riducendoci infine a merce da statistiche di consumo, valore da scambiare. Ci vuole coraggio, lucidità, visione di insieme per mettersi in cammino ed è un viaggio che dobbiamo compiere da soli necessariamente, un’evasione dalla prigionia di anonime moltitudini. Ma solo al momento giusto. «Se sei un uomo libero allora sei pronto per metterti in cammino».
 

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