10/10/2018

Dan Baird (& Homemade Sin)

Intervista all’ex leader dei Georgia Satellite: tanta voglia di ricominciare, lasciandosi un brutto periodo alle spalle con un grande ritorno alla vita e sulle scene

Where were we before we were so rudely interrupted; da leggersi tra le righe: tanta voglia di ricominciare, lasciandosi un brutto periodo alle spalle con un grande ritorno alla vita e sulle scene. Doveva essere questo, il titolo del nuovo album di Dan Baird e dei suoi Homemade Sin. Alla fine, la band ha scelto invece di battezzare il lavoro uscito ad agosto in maniera più concisa: Screamer. Diverso nome ma stesso desiderio di rivincita, per un disco che festeggia il rientro del frontman dopo un lungo ritiro. “Ero consapevole del fatto che la leucemia stesse arrivando”, racconta Baird, intervistato in occasione del concerto del 19 settembre a Chiari, in provincia di Brescia, organizzato dall’associazione ADMR. “Ha cominciato a manifestarsi quattro anni fa ed è stata rilevata nei miei esami annuali. Sapevamo che andava curata, ma speravo di riuscire ad attraversare l’anno senza dovermi fermare per sei mesi. Al cancro però non interessavano i miei desideri. Con il mio oncologo abbiamo deciso di reagire; non che si possa guarire da una malattia come la mia, ma almeno è tornata in remissione. Il cane cattivo è stato rimesso in gabbia, cercheremo di tenerlo lì dentro”.
Diventato famoso come lead singer dei Georgia Satellites, band che nel 1987 era riuscita a piazzare al secondo posto della Billboard Hot 100 la hit Keep Your Hands To Yourself (dietro una imbattibile Livin’ On a Prayer dei Bon Jovi), Baird tre anni dopo decide di lasciare il gruppo per iniziare un percorso differente. “I Satellites avevano già raggiunto il loro massimo e volevo provare qualcosa di nuovo, si stava trasformando rapidamente in un cattivo matrimonio per me. Una delle cose più importanti nella vita è saper scegliere il momento più appropriato per andarsene”. Il primo disco da solista del 1992, Love Songs For The Hearing Impaired, ottiene dei buoni riscontri, soprattutto grazie al singolo I Love You Period. Dopo altri tre album in solitaria, il musicista di Atlanta decide poi di fondare gli Homemade Sin, band che è diventata la sua spalla abituale e con cui ha appena concluso un tour di quattro date in Italia.
 
Hai conosciuto i primi successi con i The Georgia Satellites. Che ricordo hai di quell’epoca?
È stato il momento giusto, avevamo riempito un vuoto lasciato da molti gruppi in fase di stallo. Keep Your Hands To Yourself e il suo successo duraturo ci avevano dato un’ottima visibilità, preparando il terreno per gli Homemade Sin. Poi ho sentito dire che i Satellites riuscivano a essere una buona rock band nelle sere giuste, anche questo penso abbia aiutato.
 
A un certo punto della tua carriera hai deciso di iniziare una nuova esperienza con alcuni altri ex dei The Georgia Satellites. Come sono nati gli Homemade Sin e chi ne fa parte oggi?
Volevo raggiungere una posizione che mi permettesse di telefonare a Mauro Magellan e Keith Christopher per creare una nuova band intorno a loro. Questo è stato possibile solo intorno al 2004. Una serie di coincidenze ha fatto sì che il nostro vecchio chitarrista Ken McMahan abbandonasse proprio mentre Warner E. Hodges stava cercando un nuovo gruppo. Abbiamo cambiato bassista diverse volte, adesso suona con noi Sean Savacool, e spero che rimanga perché è davvero bravo.
 
Il 2017 è stato l’anno del ritiro, un periodo molto difficile per te. La malattia ha influenzato il songwriting di Screamer?
Ironicamente, il mio processo creativo non ne è stato molto toccato. Più che altro mi sono rivolto alla scrittura come via di fuga. Ero praticamente agli “arresti domiciliari”, non potevo uscire per evitare di entrare in contatto con batteri e virus. Così sono rimasto chiuso in casa. Le cure sono durate sei mesi, non potevo fare nessuno show. Nel mio seminterrato ho un piccolo studio di registrazione, lì fortunatamente potevo continuare a essere un rocker. Così ho scritto un sacco di canzoni, giri iniziali, riff buoni e meno buoni; facevo qualche improvvisazione sui brani di Tom Petty e dei Grateful Dead con la chitarra e ogni tanto ne usciva qualcosa di interessante. Le idee che mi piacevano le ho poi trasformate in canzoni.
 
Come si è svolto il processo creativo di Screamer?
Sono i 12 pezzi migliori che avevamo, dopo averne scartati altri 25 che trovavamo troppo ripetitivi, non ci sembravano all’altezza o semplicemente non erano adatti all’album. Questo disco è più orientato alle canzoni che ai riff. È stato anche l’esordio di Savacool e in qualche canzone è Warner a cantare. Il produttore è stato Joe Blanton e penso abbia fatto un ottimo lavoro. Il titolo invece l’abbiamo scelto basandoci sulla foto di copertina.
 
A proposito del titolo dell’album, avete deciso di cambiarlo prima della pubblicazione; ne è rimasta traccia nel nome del tour, Where were we. Dopo la malattia, cosa è rimasto e cosa invece è cambiato?
Ovviamente la malattia ha trasformato la mia prospettiva. Il nome “A che punto eravamo rimasti” voleva essere ironico, per ricominciare come se nulla fosse successo. Mi ci è voluta una settimana di show per rimontare realmente di nuovo in sella. Il tempo di riposo che mi sono preso era però una cosa necessaria; la mia gola, almeno, ha apprezzato la pausa.
 
Il prossimo appuntamento proposto dall’associazione Amici per la Diffusione della Musica Rock sarà sabato 10 novembre per il concerto del chitarrista Eric Gales, presso l’Auditorium A. Toscanini di Chiari (BS) (per info e prenotazioni tel. 3493589244, biglietti disponibili anche sul circuito TicketOne).
 

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