09/04/2016

Dimartino: «Il paese ci invita a tornare»

Intervista al cantautore siciliano che questa sera porterà a Milano il suo “Un paese ci vuole Tour 2016”
(Foto di Michela Forte)
 
Questa sera sul palco del Circolo Arci Bellezza di Milano salirà Dimartino, uno dei cantautori più originali del panorama italiano e autore tra i più richiesti dalle signore del pop nostrano. L’artista sta girando l’Italia da un anno con Un paese ci vuole Tour per presentare i brani dell’ultimo album Un paese ci vuole (Picicca/Sony Music) e i pezzi più significativi del suo repertorio. Il disco, il cui titolo cita La luna e i falò di Cesare Pavese, contiene collaborazioni con Francesco Bianconi dei Baustelle (Una storia del mare), Cristina Donà (I calendari) e il nonno del cantautore siciliano (A passo d’uomo).
 
Perché “un paese ci vuole”? E di che cosa è simbolo per te il paese?
L’espressione può indicare sia necessità, “non fosse che per il gusto di andarsene via” – come scriveva Cesare Pavese – sia il “ci chiama”.
Nel mio caso è simbolo di libertà assoluta, perché sin da piccolo facevo grandi esplorazioni nel mio paese, ma allo stesso tempo può essere una prigione, un luogo in cui le dicerie portano ad atteggiamenti socialmente sbagliati nei confronti di alcuni.
 
Nel brano La vita nuova racconti la storia di un ragazzo che ha trovato fortuna nel Nord Europa ma torna al paese e probabilmente decide di restarci.
Negli ultimi anni molti di quelli che erano andati via scegliendo mete europee stanno tornando portando nei propri paesi ciò che hanno imparato altrove. Io credo nel ritorno come modo per portare cose buone da fuori.
 
La città è in crisi?
Secondo me già da un bel po’: pensiamo alle periferie di Parigi, sono veri e propri ghetti, credo molto di più nella provincia. Forse la città dovrebbe imparare dai paesi anche da un punto di vista politico e sociale.
 
Da sempre il paese è anche simbolo di ritmi di vita meno frenetici. Pensi ci sia bisogno di rallentare?
Sì anche se ormai è difficile rallentare le persone perché siamo partiti tutti. È abbastanza utopistico, però penso debba essere l’auspicio di tutti coloro che fanno arte: bisogna bloccare chi sta correndo e farlo riflettere, e una canzone o una poesia possono farlo. Il solo fatto di fermarsi è una vittoria oggi, secondo me.
 
Tu stesso te ne sei reso conto in Messico, dove hai avuto l’idea di questo disco?
Probabilmente quando sei in viaggio cominci a riflettere sull’importanza e sulla qualità del tempo. Mentre ero in Messico mi è venuta l’idea di scrivere questo disco e cercavo di capire quali fossero gli elementi universali presenti in realtà diverse, come la Sicilia e il Messico.
 
Nel tuo ultimo singolo Niente da dichiarare l’orizzonte si amplia dal paese ad una riflessione molto attuale sui confini.
In un periodo come questo in cui gli uomini viaggiano attraverso fili spinati e frontiere piene di soldati con i fucili in mano volevo riflettere sull’utopia del viaggiare senza documenti, non contemplando l’idea della frontiera, prendendo quasi sul serio il trattato di Schengen. Ho deciso di trasportare questo concetto in un brano perché penso che le canzoni debbano creare una discussione, e in un momento storico simile il viaggio senza documenti può stimolare un confronto tra le persone.
 
Tra le collaborazioni del disco ce n’è una davvero speciale: la voce di tuo nonno in A passo d’uomo. Com’è nata questa idea?
È una registrazione che ho rubato di nascosto a mio nonno mentre eravamo in macchina e lui mi raccontava di quando per la prima volta ha visto un’automobile. Mi piaceva l’idea di inserire questa descrizione all’interno di un disco in cui si parla del paese. Lui, che ci ha vissuto tutta la vita, mi parlava di come a un certo punto nel silenzio irrompesse il motore a scoppio di questa prima macchina che camminava a passo d’uomo e mi ha fatto riflettere molto su come negli ultimi 60 anni la velocità abbia subito un’accelerazione mai vista prima.
 
Ormai sei in tour da un anno, sei soddisfatto di come è stato recepito il disco?
Molto, anche perché non è arrivato solo al pubblico che già avevo ma ha intercettato una nuova fetta, dai bambini a gente molto più grande, ed è quello che volevo: raccontare l’esperienza personale e farla diventare collettiva. Questo disco mi ha portato a parlare di più con la gente che mi segue e a conoscerci meglio di prima.
 
Puoi anticiparci qualcosa sulla tappa milanese di questa sera?
Come al solito ci saremo io al basso e voce, Angelo Trabace al piano e Giusto Correnti alla batteria. A me piace definire il progetto Dimartino più come band che come cantautore, perché in realtà molto del lavoro è fatto da tutti e 3. Il live comprenderà pezzi anche molto vecchi, ci saranno moltissime canzoni, sarà un concerto lungo e suonato come piace a noi, molto carico ed energico.
 
Questi i prossimi appuntamenti live con Dimartino: il 15 aprile a Bergamo (Druso cafè), il 22 aprile a Sant’Egidio Alla Vibrata (Te) (Dejavu), il 23 aprile San Ginesio (MC) (Teatro Leopardi), il 15 maggio a Padova (Anfiteatro del Venda).

 

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