“Fabrizio aveva una personalità straordinaria. Era un uomo dal grande fascino e carisma, un affabulatore. Anche un aristocratico mi verrebbe da dire, per quel birignao che c’era nelle sue canzoni. Era un personaggio che ipnotizzava, attirava lo sguardo, oltre a essere un grande professionista.”
La nostra chiacchierata con Eugenio Finardi, a qualche ora dal concerto del 25 luglio che l’ha visto esibirsi per la seconda volta quest’anno con i Mille Anni Ancora, comincia con un ricordo di De André: “Forse Fabrizio è stato il più grande cantautore italiano. Ha importato nella canzone italiana il cantautorato alla francese, in particolare prendendo da Georges Brassens e poi sviluppando quelle radici in maniera veramente unica, sua. Era davvero una persona di grande fascino e magnetismo. Sapeva anche essere molto sarcastico e molto tagliente quando voleva, sia nelle canzoni sia nelle conversazioni”.
Come ospite del complesso nato nel 2005 per ricordare Faber dalla volontà di tre dei suoi musicisti storici, Giorgio Cordini, Ellade Bandini e Mario Arcari, Finardi ha cantato otto brani del cantautore genovese. Alcuni erano già parte del suo repertorio, come Verranno a chiederti del nostro amore o Il ritorno di Giuseppe. Geordie e Dolcenera (pezzo quest’ultimo che ha presentato come uno di quelli che più ama) sono stati invece eseguiti per la prima volta in assoluto, dimostrando la grande capacità di Finardi non solo di riuscire a impadronirsi dei brani trasformandoli con il suo stile, ma anche di saper capire intimamente canzoni che in molti casi ha visto sbocciare con i propri occhi.
L’amicizia che legava Finardi e De André d’altro canto era molto profonda, iniziata quando il cantautore genovese si era presentato alla Cramps nel ’75, cercando un artista abbastanza provocatorio da attirarsi addosso le ire del pubblico più riottoso a inizio concerto (e di conseguenza fargli alleggerire le tasche da immancabili sassi e munizioni varie). Un rapporto a tratti conflittuale, ma soprattutto fatto di sincera stima e affetto reciproco, continuato poi con il figlio Cristiano, anche in ambito artistico: “Quando ho iniziato a lavorare con De André, Cristiano aveva quattordici anni. Una sera, in seguito a una lite con suo padre, è scappato ed è venuto a casa mia, che all’epoca era un po’ un salotto, un centro di artisti, musicisti e personaggi della Milano degli anni ’70. Io lo misi a letto per la notte e telefonai a Fabrizio, dicendogli che era a casa mia e di venirlo a prendere il giorno dopo. Da lì sono diventato un po’ uno zio, per lui. Cristiano ha avuto personaggi importanti per mentori, come De Gregori e me. Poi ho scritto per lui, abbiamo composto insieme, ho prodotto il suo tour acustico… Ho condiviso una parte della sua storia.”
In questo periodo Finardi è anche impegnato nel tour di promozione del suo album uscito a gennaio, Fibrillante (Universal, 2014). Un fortunato ritorno al cantautorato rock in italiano, dopo quindici anni dedicati a tanti altri progetti diversi e proficue peregrinazioni musicali. Prima le esplorazioni portoghesi di O Fado (Edel, 2001), poi l’indagine da ateo convinto sul tema del divino attraverso brani di grandi artisti de Il silenzio e lo spirito (Edel, 2003), la riscoperta del suo sangue statunitense in Anima Blues (EF Sounds/Edel, 2005), l’omaggio al musicista, attore e poeta russo Vladimir Vysockij con l’ensemble Sentieri Selvaggi in Il cantante al microfono (Velut Luna-Egea, 2008) e la prova in teatro di Suono (Ermitage, 2008).
“In questi anni ho fatto tante altre cose e allargato moltissimo i miei orizzonti musicali, umani e come interprete. Mi sono arricchito. Ho preso una pausa semplicemente perché ero arrivato alla fine di un percorso. Sentivo di aver dato tutto e facevo sempre più fatica a trovare spunti per scrivere, finché ho aspettato talmente tanto che a un certo punto mi è tornata la voglia, devo dire anche stimolato da Max Casacci dei Subsonica che ha coprodotto il disco, e dal mio chitarrista Giovanni Maggiore, con il quale ho scritto nove pezzi su dieci. Sono loro che mi hanno spinto a ritrovare il Finardi delle origini, lo stesso degli anni ’70, con le idee molto chiare su cosa cercare. Erano talmente sicuri che mi sono lasciato convincere anch’io.”
Fibrillante deve il suo titolo ai problemi cardiaci che il cantautore ha dovuto affrontare durante la sua lavorazione; un periodo difficile che ha segnato anche un cambiamento nella vita di Finardi: “I disturbi al cuore derivavano da un problema di ipertiroidismo, che adesso non ho più. Avevo il metabolismo acceleratissimo, bruciavo come un fiammifero. Deliri, sbalzi d’umore, rabbie ed emozioni molto forti mi hanno mandato in fibrillazione il cuore. Ora invece sono molto più calmo. In realtà non essendo stato operato né alla tiroide né al cuore non mi sono sentito davvero malato, ma ho comunque preso consapevolezza del passare del tempo. Quando ero fibrillante ero sempre stanco, esausto. Mi sentivo molto vecchio. Tornare alla vita mi ha dato invece una grande energia, una grande voglia di fare.”
Una nuova forza che si è tradotta in vis critica verso le ingiustizie della società e della politica, per un’opera che Finardi ha definito “un disco di lotta contro un nuovo Medioevo”: “È un mondo in cui i ricchi hanno sempre di più. Nel dopoguerra c’è stato un arricchimento di tutti, ma mentre le classi lavoratrici e le classi medio alte si sono fermate agli anni ’80, alcuni, pochissimi, sono diventati incredibilmente ricchi, un po’ come nel Medioevo i Medici e i Borgia. Questo ha portato al fatto che ci sono persone che possono, con un click del mouse e per un po’ di profitto in più – considerando che hanno già oscenamente tanto – rovinare interi continenti. Più potenti di molti stati e governi. Fondi sovrani è solo un nuovo modo di dire principi. I tre maggiori, detenuti due dall’Arabia Saudita e uno dagli Emirati Arabi, possono rovinare un’intera isola, la Sardegna, o l’Italia. Quando si parla di fabbriche che chiudono perché non rendono, è appunto il frutto della pretesa di guadagno di pochissimi. È un nuovo medioevo e porta a delle ingiustizie e a delle sofferenze veramente grandi. Sarebbe necessaria una rivoluzione, che non si può fare perché sono talmente potenti che possono spegnerla, posseggono tutto, nessuno lo dice. Quando sentiamo che l’Alitalia viene salvata, sono solo un paio di individui che decidono di investire da noi. E noi dobbiamo inchinarci a ringraziare, come si faceva nel Medioevo. L’unico modo per uscire da tutto ciò è tornare a mettere l’uomo al centro delle attività umane, sembra una cosa rivoluzionaria e ribelle ma le stesse cose le dice spesso il papa, l’adorazione del profitto, l’idolatria del denaro. Soprattutto i giovani, che dovrebbero essere quelli che più si indignano non se ne rendono conto. Ecco la più grande palla e forza del liberismo: fare finta di essere ineluttabile. Ci convince che non ci sarebbe un altro sistema, e invece ci sarebbe eccome.”
Il cantautore di Musica Ribelle, uno degli inni della protesta degli anni ’70, è quindi tornato ad alzare la voce con le sue canzoni, invitando l’ascoltatore ad aprire gli occhi sulla realtà circostante attraverso la sua musica, un potere che ormai pochi artisti curano, ma che per Finardi rimane importantissimo: “Solo i rapper dicono le cose come stanno. Esprimono la rabbia in un modo che non è necessariamente simile a quello che usavo io, ma ha la stessa forza ed energia. La musica ha più potere di scuotere le coscienze di quanto ci si immagini.”
È una band molto giovane quella che ha partecipato alle registrazioni del disco e accompagna Finardi sui palchi, da marzo: “i giovani musicisti fanno molto riferimento agli anni ’70 e non sono lontani come spirito dalla mia musica. Avevo voglia di confrontarmi con la loro energia e la loro creatività. Certo, c’è l’esperienza, ma è stato anche bello insegnare qualcosa. Inoltre una delle cose di cui vado più orgoglioso è di essere riuscito nel corso della mia carriera a scoprire un sacco di talenti, come Stefano Cerra, Mauro Spina o Claudio Pascoli, che stasera suona con i Mille Anni Ancora ed era presente nel mio primo 45 del ’73 (Spacey Stacey/Hard Rock Honey per la Numero Uno, NdA). Di strada ne abbiamo fatta tanta.”