17/10/2018

Giovanni Sollima – Viaggio nel mondo del “Jimi Hendrix del violoncello”

Dal violoncello di ghiaccio all’Anner Bijlsma Award, passando per “Ba-Rock Cello” e “L’uomo che prega”: intervista a Giovanni Sollima
Un disco d’oro per lasciare un’impronta tra le stelle. Nel 1977, due sonde spaziali, la Voyager 1 e la Voyager 2, partirono per l’esplorazione del sistema solare esterno, spingendosi poi nello spazio interstellare e diventando gli oggetti creati dall’uomo più distanti in assoluto dalla Terra. Ancora oggi, a bordo di entrambe le sonde, viaggia una copia del “Voyager Golden Record”, messaggio in una bottiglia spaziale per inviare una piccola traccia della vita sul nostro pianeta. Insieme a immagini, suoni naturali e saluti in differenti lingue umane, sono incisi su di esso brani rappresentativi della storia musicale terrestre, da Bach a Chuck Berry, da Beethoven a Louis Armstrong. E se la musica del compositore tedesco è il biglietto da visita di questa raccolta spedita nel cosmo, nello spettacolo Ba-Rock Cello, il virtuoso del violoncello Giovanni Sollima usa invece il linguaggio di Bach e del barocco a mo’ di collante tra la musica del Sei-Settecento e brani storici del rock, come Angel di Jimi Hendrix, Raining Blood degli Slayer, l’Hallelujah di Cohen o About A Girl dei Nirvana. “Quella di Bach è una musica universale, può funzionare a qualsiasi latitudine, longitudine, epoca, anche tra ventimila anni. Non è un caso se proprio lui è stato scelto per essere inviato nello spazio”, ha sottolineato il violoncellista siciliano nel corso di un concerto molto particolare, tenutosi a fine maggio a Nave, in provincia di Brescia. Lo spettacolo è stato infatti inserito all’interno della programmazione di Fuori Luogo, rassegna nata con l’obiettivo di portare la musica all’esterno delle sue classiche sedi; a fare da cornice al “Jimi Hendrix del violoncello” è stato così un capannone dell’Acciaieria Duferco Sviluppo. “Ba-Rock Cello è un programma che propongo ormai da diversi anni, ed è molto informale”, ci ha raccontato il musicista al telefono, qualche giorno prima del concerto. “Rappresenta quasi un ‘format’, un contenitore che mantiene una forma invariata, ma il cui contenuto viene aggiornato di volta in volta. L’avevo anche registrato ma ho deciso di non far mai uscire un disco, perché voglio mantenga questo sviluppo continuo. È una sorta di work in progress, il pubblico trova molto divertente riuscire a riconoscere un brano per poi sentirlo riproposto in una versione quasi barocca”.
 
Qualche mese fa si è molto parlato di lei e del violoncello di ghiaccio che ha portato in tour. Come è nato il progetto e qual è il suo significato?
Il progetto N-Ice Cello ha avuto origine una decina di anni fa ed è un sogno realizzato con Tim Linhart, uno scultore americano che abita in Svezia. All’epoca aveva creato anche altri strumenti e mi coinvolse nella costruzione di un violoncello, ma questo esemplare era tutt’uno con il teatro-igloo eretto da lui in Val Senales. Da allora ho ripensato a quell’esperienza continuamente, ogni volta che aprivo il frigorifero o il freezer. Discutendo poi nel corso del tempo con varie persone riguardo alle condizioni del pianeta, della Sicilia e dell’acqua, dei governi, dei flussi migratori e delle leggi, di tanti altri argomenti e contraddizioni, ho notato che una serie di idee poteva essere racchiusa in uno strumento del genere e così abbiamo deciso di realizzarne un altro.
Siamo partiti dal Trentino scendendo fino al Mediterraneo. Per me è stato un percorso al contrario, perché fin da bambino l’idea del viaggio era in un’unica direzione, dal Sud al Nord. Il tour è stato ripreso e uscirà in un docufilm, forse intorno dicembre; nel corso del viaggio abbiamo intervistato diverse persone e questo strumento è diventato sempre di più uno scrigno, una valigia, un contenitore di riflessioni che si innescavano spontaneamente. Un modo leggero, forse anche poetico di raccontare qualcosa.
 
Che feeling dà uno strumento di ghiaccio?
Qualsiasi strumento che tenda la corda in un certo modo e risponda alla stessa maniera con il corpo di chi lo suona, che ha una certa forma e determinate proporzioni, resta un violoncello. Il timbro invece è più ancestrale, siderale. Il ghiaccio crea una curiosissima reazione acustica, il suono viene allungato, quasi come nel pedale del pianoforte. Il primo modello di dieci anni fa era un organismo che si muoveva, assottigliandosi e riducendosi faceva spostare la posizione delle note. Il nuovo strumento era più stabile, ma spingeva allo stesso modo a improvvisare, a inventare ogni volta un linguaggio. Il tour l’ho fatto dentro una bolla portata a -12°C, il suo habitat ideale.
 
Per certi versi lei ha reinventato il violoncello. Quanto è importante saper oltrepassare i limiti dello strumento?
Non credo di aver reinventato nulla, piuttosto mi sono riallacciato ad esperienze derivate dagli antichi manoscritti, non dimentichiamo che tutta la pratica del Seicento e del Settecento era straordinariamente sperimentale, prima che la codificazione di una metodologia rovinasse tutto con la schematizzazione. Si usava la scordatura, diverse tecniche d’arco, c’era un differente rapporto con certa musica popolare, lo sganciamento dal violoncello dal ruolo di basso per arrivare ad altri registri e ai virtuosismi. Ci sono stati fenomeni come Boccherini o Costanzi. Ho solo ripreso e riscoperto delle cose; ho sempre scritto sul violoncello, quindi per spirito di sopravvivenza ho dovuto portare sul mio strumento anche altre tecniche.
 
Lei si è sempre dimostrato molto aperto ai generi musicali e anche in Ba-Rock Cello convivono linguaggi differenti. Cosa unisce Bach, Hendrix, Leonard Cohen?
In teoria non sono uniti da nulla, se non dalla pratica artigianale sullo strumento: Bach scriveva in un’epoca nella quale gli strumenti venivano configurati a seconda delle esigenze, componeva per ibridi come il violoncello a cinque corde, e anche Jimi Hendrix utilizzava in questo modo la chitarra elettrica. Il linguaggio veniva in qualche modo suscitato dallo stesso strumento. Bach poi era ovviamente un grande architetto, e a volte la situazione è talmente perfetta nell’assoluto rispetto delle vibrazioni e dell’idea polifonica che fa veramente pensare a una sublime forma di artigianato e di sperimentazione. Infine, la musica rock, la musica antica e un certo jazz, pur essendo cose totalmente diverse si assomigliano a volte in una scrittura essenziale, che dà spazio all’arte dell’improvvisazione.
 
A maggio ha presentato alla Scala di Milano, in collaborazione con Antonio Albanese e Michele Serra, L’uomo che prega, uno degli omaggi a Leonard Bernstein…
È stato molto bello lavorare con Antonio e Michele. Questa è stata una versione ridotta rispetto a quella che porteremo in tour tra un anno, un estratto di venticinque minuti di uno spettacolo che ne dovrebbe durare ottanta. Ho suonato Three Meditations che Bernstein scrisse per Rostropovich. L’uomo che prega è un testo di Serra e anche questo diventa un contenitore nel quale si incontrano riflessioni e polemiche, ma tutto alleggerito, quasi danzante. Antonio ha una grande abilità e conosce il siciliano meglio di me, riesce a parlare una lingua potrei dire fossile, la stessa di mia nonna, con parole che non ho mai sentito o che rievocavano un mondo che pensavo perso. Questo testo ha una componente lirica, un ritmo; lavoriamo così sulla forma del melologo che può aprirsi a più strade come la musicatura, il monologo, la poesia, il canto…
 
Il 19 ottobre riceverà l’Anner Bijlsma Award alla Cello Biennale di Amsterdam, premio che verrà devoluto ai progetti dedicati ai giovani violoncellisti…
Io sono solo un tramite, e ho qualche idea per dare una possibilità di esprimersi ai giovani talentuosi. Ci sono tante cose oggi che non c’erano quando ho iniziato io, però la realtà rimane spesso molto lontana dalla concretezza, le master class ad esempio sono a volte scandalosamente costose per gli studenti. Ho pensato di usare questo premio per i giovani creativi in vari contesti e paesi, talenti che ho incontrato anche organizzando il progetto dei 100 Cellos. Il violoncello ha ancora un potenziale altissimo e molti eccellenti musicisti sono un po’ tenuti ai margini per la loro differenza, che invece è proprio quello che interessa a me; voglio dare loro la libertà di esprimersi.
 

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