21/01/2022

Gli Pseudofonia e le loro “Canzoncine Avvelenate”

Intervista al gruppo pugliese che torna con “Canzoncine Avvelenate”, monografia che prende il titolo dall’unico brano inedito presente al suo interno. A quando la reunion?
Canzoncine Avvelenate: una monografia concepita dall’etichetta RadioSpia per spiegare attraverso 21 canzoni chi sono stati (e magari chi saranno di nuovo?)  gli Pseudofonia. Nove brani cantati e sei strumentali tutti rimasterizzati e sei live pubblicati per la prima volta per questa monografia suddivisa dunque in tre parti che vuole essere, come dice il comunicato che accompagna la presentazione del lavoro, “un invito a sacrificare la negatività in favore della lotta, della speranza e del futuro”. L’italiano e spesso anche il dialetto sottolineano al meglio il contesto sociale e culturale che il gruppo foggiano intende descrivere, mentre la musica è quella che va tra ska, reggae, dub, folk, new wave e pop e che ha permesso agli Pseudofonia di vincere l’Arezzo Wave o di calcare i palcoscenici di importanti festival folk come, tra gli altri, l’Interceltique di Lorient.
Non poteva non essere affrontato il tema reunion, ma c’è spazio per parlare anche del grande Matteo Salvatore, del quale il gruppo propone la sua versione di Sempre Poveri; la chiacchierata inizia, però, inevitabilmente da Canzoncine Avvelenate, unico inedito del lavoro, oltre che title-track dell’intero album. Hanno risposto alle domande Marco Maffei, sound engineer e produttore, nonché direttore dell’etichetta RadioSpia, Antonio Bucci, compositore e polistrumentista degli Pseudofonia, il percussionista e corista della band Niki Dell’Anno e infine Fabio Mancano, sassofonista e corista del gruppo.Quando e com’è nato l’inedito che dà anche il titolo all’album Canzoncine Avvelenate?
MARCO MAFFEI: Nel 2014 ho chiesto ad Antonio Bucci di raggiungermi in studio in Puglia, per dar vita ad un inedito per gli Pseudofonia. Abbiamo lavorato alcuni giorni insieme a Niki Dell’Anno e a tre ottimi ospiti esterni (Mario Longo al violoncello, Antonio Piacentino alla tromba e Giuseppe Cantelmo al basso). In seguito, Francesco Bellizzi registrò la voce principale e, negli anni successivi, terminai con calma la post-produzione di questo brano accattivante e precorrente.

Questo lavoro è un modo per far conoscere il gruppo anche alle nuove generazioni? Ci sono fan che vi hanno scoperto più di recente?
ANTONIO BUCCI: Le idee sopravvivono agli uomini. Canzoni come le nostre avevano un messaggio che non si è affievolito nel tempo, attraversando più generazioni e lasciando in molti ascoltatori la sensazione di incompiuto. La lacuna da colmare era innanzitutto di reperibilità di un repertorio fino a oggi introvabile sugli store digitali e poi di rimarcare la puntualità e la lungimiranza visionaria dei nostri testi, che per certi versi hanno precorso i tempi senza mai perdere l’impatto basato sui visceri, più che sul ragionamento.
MARCO MAFFEI: La band ha una audience digitale al 60% nella fascia 28 – 44 anni. Devono essere i nostri fratelli minori o comunque mezza generazione più in giù.

Come avete scelto i brani di Canzoncine Avvelenate? È una selezione che la band ha svolto anche insieme a te, Marco?
MARCO MAFFEI: Avevo in mente la monografia degli Pseudofonia dal 2018, perché quel loro modo di stare insieme suonando/giocando (to play), unito ai contenuti davvero profondi dei loro brani li ha resi delle icone, qui in Puglia. Hanno rappresentato un momento creativo fondamentale per la nostra terra che va “messo a patrimonio” nel modo più elementare possibile: ascoltandoli. La scaletta della monografia è utile ad una lettura più profonda della loro produzione e serve a creare un percorso geopolitico, che punta alla consapevolezza e, perché no, alla lotta per ciò in cui si crede.

Marco, tu hai rimasterizzato l’intero catalogo degli Pseudofonia. Hai altre sorprese in serbo con la tua RadioSpia tipo le ristampe degli album?
MARCO MAFFEI: Sarei felice di produrre un nuovo album con gli Pseudofonia, quindi al momento tocca a loro, come è giusto che sia. Nel frattempo, sarei davvero soddisfatto se venisse intitolata una piazza o un contenitore culturale cittadino alla creatività di questo gruppo foggiano, in qualche modo. Sarebbe un segnale simbolico di libera consapevolezza e di rinascita.

Perché a un certo punto della loro storia gli Pseudofonia si sono fermati? Si sono sciolti ufficialmente? Ognuno ha intrapreso semplicemente la sua strada?
ANTONIO BUCCI: Prima di uscire a livello nazionale, anche grazie a vittorie come Arezzo Wave, siamo stati anni in un box. Le serate si svolgevano tra prove musicali, tornei di Playstation e tanto altro di non troppo raccontabile (ride, ndr). Anni a cercare di diventare un gruppo musicale, un percorso compiuto che ha cementato amicizie e rapporti, ma che inevitabilmente ci ha portato al decennio successivo, in cui abbiamo raccolto i frutti del lavoro, un po’ col fiatone e con la consapevolezza che qualcosa stava cambiando intorno a noi. Secondariamente, non volevamo ripetere la stessa formula all’infinito. I tre dischi e le varie compilation a cui avevamo partecipato rappresentavano un fardello che pesava sulle nostre aspettative più che su quelle dei nostri ascoltatori. Comunque è stata una fine naturale, senza liti né strascichi. Un lungo arrivederci con una porta aperta lasciata dietro le spalle.
NIKI DELL’ANNO: Io ho vissuto gli Pseudofonia come un percorso di formazione, non solo musicale. Probabilmente in quello che faccio oggi mi porto dentro le storie, le facce, i viaggi e le esperienze di quel periodo. I brani degli Pseudofonia sono stati la colonna sonora di un percorso di crescita che ha coinvolto la mia intera generazione, con cui ho condiviso tutto. Sotto al palco quando suonavo c’erano i miei amici, i miei coetanei che vivevano la mia stessa realtà, la stessa realtà raccontata nei brani. Era (ed è) una quotidianità da cui avevamo bisogno di evadere o di cui non conoscevamo le dinamiche profonde, che non è ancora finita.
FABIO MANCANO: A un certo punto, proprio mentre i concerti procedevano ad un ritmo più elevato e l’impegno di stare sempre in giro si faceva più pressante, si trattò di prendere una decisione. Le possibilità di tergiversare erano finite e bisognava decidere se farlo diventare un lavoro, perché cominciavamo a diventare grandicelli… Fu deciso di percorrere forse delle strade più certe, non saprei, ma fu una decisione anche abbastanza privata, tra noi. Insomma, una cosa che non è avvenuta di botto e che ci ha concesso di rimanere sempre in ottimi rapporti, infatti dopo tanti anni siano qui a parlarne ancora.

Torniamo subito all’attualità e a Canzoncine Avvelenate. All’inizio del comunicato il nuovo lavoro viene descritto come “una dichiarazione di indipendenza da ciò che non è più sopportabile”. Cosa “non è più sopportabile” per voi Pseudofonia oggi (e non era sopportabile evidentemente nemmeno quando avete scritto questi brani)?
ANTONIO BUCCI: I livelli di sopportazione dei cinquantenni sono ben più bassi che quelli dei più giovani (ride, ndr). Consapevoli di questo, ci siamo ritrovati a rileggere ciò che avevamo scritto e a renderci conto che poco era cambiato. Ciò rende il tutto meno sopportabile. Se penso a una canzone come Galleggiare, che parla di omosessualità e difficoltà di accettazione di questa, mi rendo conto che abbiamo scritto qualcosa che va ben oltre il contesto locale e che il tema è tutt’altro che superato, oggi. Il manifesto degli intenti della raccolta è rappresentato da Canzoncine Avvelenate in cui, utilizzando la metafora del cibo, ci siamo immaginati come una polpetta rancida e indigesta, che si lascia mangiare da chi gestisce male il nostro mondo, in modo da fermarlo.
MARCO MAFFEI: Per me, ad esempio, non è più sopportabile la cattiva politica culturale, certi atteggiamenti e l’inadeguatezza di certe istituzioni, che l’emergenza attuale ha reso più che evidenti.

La vostra versione dal vivo di Sempre Poveri che chiude l’album è un modo per ricordare Matteo Salvatore a chi vi seguiva prima e a chi vi scopre adesso? Il brano aiuta a far comprendere che tra le “vostre basi” o nella “vostra formazione” non ci può non essere un artista come lui?
NIKI DELL’ANNO: Matteo Salvatore era “l’amico pazzo” di mio padre e morì sei giorni prima dell’esecuzione e registrazione live di Sempre Poveri. Al suo funerale eravamo soltanto una decina in cattedrale a Foggia. Si scelse quel brano perché racchiude lo stesso sentimento di rivalsa verso un mondo istituzionale poco attento alla realtà. Servi poveri e padroni ricchi, struttura narrativa archetipica per raccontare un disagio, che possiamo sicuramente riproporre anche oggi: siamo ancora troppo poveri, il padrone cattivo è sempre più ricco, l’uomo della strada, il Gigione, il bracciante e le piccole vite da decifrare restano i protagonisti dei brani degli Pseudofonia. In quei brani, i personaggi urlano il loro disagio e cercano disperatamente di farsi vedere e sentire. E sono incazzati con i loro grassi e cattivi padroni.
FABIO MANCANO: Suonammo Sempre Poveri perché Matteo era morto proprio qualche giorno prima, e fu subito un modo spontaneo per salutarlo. Ci aveva lasciato così tanto, un patrimonio rappresentato da storie e da quel modo unico di narrare tramite la canzone il meridione ed in particolare la Daunia. Di lui ci avevano sempre rapito quella modalità così semplice ed ancestrale. Italo Calvino disse che Matteo aveva travalicato i confini della canzone dialettale e che le sue parole dovevano essere ancora inventate! Era il messaggio più diretto che potessimo dare a chi avrebbe voluto approfondire meglio la conoscenza delle nostre radici musicali.
ANTONIO BUCCI: In realtà, come spesso accade, ci siamo avvicinati all’opera di Matteo Salvatore solo dopo anni che ci accostavano a un genere musicale, il folk, che conoscevamo poco nella definizione più classica del termine. La cover di Sempre Poveri è un ritornare alle origini, il figliol prodigo che torna a casa, con un arrangiamento scarno quasi bandistico di Francesco Bellizzi, che tiene il pathos e rende giustizia a un grande autore.

State scrivendo nuovi brani o avete scritto nuovi brani che vorreste pubblicare più in là? Ma soprattutto: Canzoncine Avvelenate è anche il preludio (o vorrebbe essere nelle intenzioni anche il preludio) a un vostro ritorno live?
ANTONIO BUCCI: Scrivere nuovi brani vorrebbe dire potersi incontrare per un po’ di giorni e rivivere quella atmosfera che si viveva nel box di Via San Severo. Se il disco rappresentasse una reunion creativa di quel genere, penso che molti di noi sarebbero d’accordo. Le idee non mancano, ma la realizzazione dovrebbe essere simile a ciò che facevamo all’epoca, in cui una mia idea veniva poi plasmata anche dagli altri.
Parlare di tour live, oggi, purtroppo sembra una chimera… e non soltanto per noi.

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