Sono trascorsi 34 anni dal loro primo ed unico album. Si presentano come “ironici e surreali ma per niente demenziali” e ci hanno spiegato il perché. Ma soprattutto ci hanno parlato del loro ritorno dopo 34 anni con re-pop, un album in cui il loro electro-pop si sposa anche con un testo di Aldo Nove. Stiamo parlando dei RADAR.
Come mai avete atteso 34 anni prima di pubblicare il vostro secondo album?
(Nicola Salerno): E’ una storia un po’ lunga. Cerco di sintetizzarla. Nel 1982, ai tempi del primo album con contratto WEA, eravamo giovanissimi, alcuni di noi all’inizio dell’università.
I RADAR avrebbero dovuto incidere 3 album, da contratto. Ma in seguito allo scarso successo del primo album, e soprattutto per colpa del cambio di direzione artistica in WEA, la tensione tra RADAR e WEA diventò insopportabile. I nuovi “direttori artistici”, che contemporaneamente sostenevano e volevano facessimo pezzi stile Tiziana Rivale (reduce nell’83 dall’effimera vittoria di Sanremo) bocciavano a raffica tutti i nostri provini, col risultato che, presi dalla disperazione, ci sciogliemmo e ognuno andò per la propria strada, chi con altri lavori, chi con l’università.
Un successivo tentativo, con formazione diversa, fu fatto da me nel 1986/87. Roberto Colombo ci voleva produrre, vennero fatti dei provini che lui presentò alle case discografiche ma ricevette solo risposte negative. Completamente demoralizzati i RADAR caddero definitivamente nell’oblio.
Negli anni a seguire, io ho fatto il graphic designer a Milano per vent’anni ma contemporaneamente, per quanto potevo, ho portato avanti altri progetti musicali, però più spesso in un ambito completamente diverso, più legato (mi si passi il termine) al jazz/prog/impro “sperimentale”, che tuttora coltivo con l’altro gruppo in cui suono, i NAD Neu Abdominaux Dangereux.
Qualche anno fa, visto il massiccio incremento di diffusione e successo della musica sostanzialmente elettronica (dalla più becera alla più raffinata), mi è tornata voglia di scrivere canzoni “pop” elettroniche, vista la trentennale esperienza che ho coi synth, ed essendomi tornato il desiderio, ho voluto fare anche qualcosa di cantato (diversamente da ciò che faccio coi NAD, gruppo solo strumentale).
Già nei primi anni ’80 in riferimento alla vostra proposta si parlava di electro-pop: rispetto ad allora è cambiata la vostra idea in merito?
(NS): Personalmente spero che quello che stiamo cercando di fare ora con le nostre nuove canzoni venga percepito come un’evoluzione del “classico” electro-pop. Sebbene nei nostri brani ci sia indelebilmente un’impronta electro-pop (segnata in modo particolare dal classico uso di sequencer di synth in quasi tutti i brani), ci sono diversi elementi “anomali”. Ad esempio non siamo affatto fan dei suoni analogici del 1982, come invece va di moda adesso. Usiamo indifferentemente sonorità “antiche” se ci piacciono (tipo suoni di Mellotron o drum machine simil-TR808 Roland) accanto a suoni digitali dell’ultima generazione, così come batterie elettroniche e brass dai suoni veri. Anche l’uso delle sezioni fiati nell’electro pop non è molto tipico. E poi, rispetto all’electro-pop tradizionale c’è un’impronta jazz, almeno in certi brani, per me inevitabile visti i miei trascorsi.
Dei RADAR di una volta è rimasto il cantato a più voci, nostra caratteristica già dall’epoca.
Quindi la risposta è: sì, non faremmo mai pezzi con gli stessi suoni e arrangiamenti di una volta. I nuovi RADAR non sono molto nostalgici.
Il vostro nuovo album si intitola re-pop. Come mai questo titolo “tutto rigorosamente in minuscolo”, come dite nella vostra presentazione?
(NS): re-pop minuscolo perché dev’essere intesa come una parola comune, che indica un “genere”. re-pop è un pop rivisitato, restaurato, re-inventato, attualizzato (almeno nelle intenzioni). E poi fa contrasto col nostro nome RADAR, sempre tutto in maiuscolo per enfatizzare otticamente il palindromo, anche se ovviamente non sempre si può usare il nostro semplicissimo logo del 1981 con una A e una R capovolte (ispirato dal logo con le A rovesciate dei Talking Heads in Remain in Light).
Precisate di rifiutare l’etichetta “demenziale”. Per quale motivo?
(Joyello Triolo): Perché non lo siamo. A volte si tende, per semplificare, ad usare una terminologia sbrigativa e siccome i nostri testi a volte fanno un po’ sorridere, qualcuno ha pensato che definirli demenziali fosse corretto in virtù del fatto che chi inventò il termine era altrettanto divertente. In realtà la “demenzialità” professata da Freak Antoni è molto lontana dal nostro lavoro sulle liriche che è, se vuoi, più stralunato e eccentrico. Inoltre il grandissimo Freak aveva coniato il termine in modo ironico e provocatorio. A nessuno piace essere definito “demenziale” che, dizionario alla mano, si riferisce a demenza, decadimento cerebrale e intellettivo.
Com’è nata la collaborazione con Aldo Nove per il testo di Plastic People?
(NS): Molto semplice. Siamo venuti a sapere che Aldo (che ha un po’ di anni meno di noi), quand’era ragazzino ascoltava il nostro album, e ci aveva citati in un suo racconto. Saputo ciò, siamo entrati in contatto con lui. In un primo momento si era offerto di scrivere i testi dell’album. Sfortuna ha voluto che l’abbiamo beccato dapprima in un periodo di crisi e problemi vari e subito dopo, al contrario, in un momento di escalation professionale che lo ha riempito di impegni. Ciò gli ha impedito di dedicarsi ai testi per noi. Pazienza, ci siamo arrangiati. Il contatto con lui c’è ancora. Forse bisogna solo continuare a rompergli le scatole periodicamente sperando che un bel dì, per sfinimento, si decida a scrivere qualcosa per noi.
Alla fine del libretto si legge in grassetto: “Nell’album non sono presenti campionamenti”. Parliamo di questo aspetto e poi, più in generale, di come nascono i vostri pezzi?
(NS): La questione dei campionamenti è una faccenda che mi sta particolarmente a cuore. Ho iniziato a usare un campionatore (Prophet 2000, una brutta bestia) nel 1986 e ne ho fatto uso e abuso in tanta mia musica per decenni. Però mi sono sempre limitato a campionare segmenti di strumenti isolati, voci, o usavo registrazioni mie; insomma cercavo di farne un uso creativo. Negli ultimi vent’anni c’è stata un’escalation indecente nell’uso di campionamenti altrui di tutti i generi, ma troppo usati in modo comunque truffaldino e in malafede, ovvero prendendo basi di hit famosi, facendo dei loop e rappandoci sopra, tanto per dire un uso “classico”, il più abusato. Al di là del fatto che giustamente gli artisti campionati avranno preso regolarmente i loro diritti d’autore (almeno spero), trovo che questo modo di fare, molto furbastro e ben poco impegnativo, abbia ucciso in gran parte la creatività musicale, inaugurando l’era del riciclo e del copia-incolla musicale. Quindi ho deciso che la cosa più onesta e paradossalmente “innovativa” sia quella, in un disco, di tirare fuori SOLO farina del proprio sacco, aborrendo campionamenti altrui anche di una sola nota.
I nostri pezzi nascono in maniera tradizionalissima: sono solo canzonette. Si può partire da un riff, da un giro armonico, da un ritmo, da una melodia… come accade per tutti, credo.
Si costruisce più o meno tutto col computer, poi si comincia ad aggiungere parti vocali provvisorie, ci si ragiona sopra, si valutano le parti, le armonie e gli unisoni e poi si incidono quelle definitive.
Prossimi impegni? Sono previsti dei live? O magari un nuovo album?
(JT): Quando è nata l’idea di riformare il gruppo, c’erano in formazione cinque elementi, come era quella originale degli anni ’80 (sebbene due fossero stati reclutati ex-novo per sostituire due che per cause di forza maggiore non potevano rientrare) e l’idea dei live era certamente contemplata. Essendo rimasti in tre ci siamo trovati un po’ in difficoltà sotto questo aspetto. Stiamo provando degli arrangiamenti per qualche live in piccoli ambienti che ci consenta di mettere in scena un repertorio preso dal vecchio disco del 1983 mischiato ai brani nuovi e… la cosa ci sta piacendo. Vedremo. Poi sì, la fase creativa è in grande spolvero: Nicola sta scrivendo molti pezzi nuovi e abbiamo un nuovo collaboratore per la parte lirica che sta scrivendo testi che ci piacciono moltissimo. Forse non sarà necessario aspettare altri 30 anni per il terzo album dei RADAR.
Come mai avete atteso 34 anni prima di pubblicare il vostro secondo album?
(Nicola Salerno): E’ una storia un po’ lunga. Cerco di sintetizzarla. Nel 1982, ai tempi del primo album con contratto WEA, eravamo giovanissimi, alcuni di noi all’inizio dell’università.
I RADAR avrebbero dovuto incidere 3 album, da contratto. Ma in seguito allo scarso successo del primo album, e soprattutto per colpa del cambio di direzione artistica in WEA, la tensione tra RADAR e WEA diventò insopportabile. I nuovi “direttori artistici”, che contemporaneamente sostenevano e volevano facessimo pezzi stile Tiziana Rivale (reduce nell’83 dall’effimera vittoria di Sanremo) bocciavano a raffica tutti i nostri provini, col risultato che, presi dalla disperazione, ci sciogliemmo e ognuno andò per la propria strada, chi con altri lavori, chi con l’università.
Un successivo tentativo, con formazione diversa, fu fatto da me nel 1986/87. Roberto Colombo ci voleva produrre, vennero fatti dei provini che lui presentò alle case discografiche ma ricevette solo risposte negative. Completamente demoralizzati i RADAR caddero definitivamente nell’oblio.
Negli anni a seguire, io ho fatto il graphic designer a Milano per vent’anni ma contemporaneamente, per quanto potevo, ho portato avanti altri progetti musicali, però più spesso in un ambito completamente diverso, più legato (mi si passi il termine) al jazz/prog/impro “sperimentale”, che tuttora coltivo con l’altro gruppo in cui suono, i NAD Neu Abdominaux Dangereux.
Qualche anno fa, visto il massiccio incremento di diffusione e successo della musica sostanzialmente elettronica (dalla più becera alla più raffinata), mi è tornata voglia di scrivere canzoni “pop” elettroniche, vista la trentennale esperienza che ho coi synth, ed essendomi tornato il desiderio, ho voluto fare anche qualcosa di cantato (diversamente da ciò che faccio coi NAD, gruppo solo strumentale).
Già nei primi anni ’80 in riferimento alla vostra proposta si parlava di electro-pop: rispetto ad allora è cambiata la vostra idea in merito?
(NS): Personalmente spero che quello che stiamo cercando di fare ora con le nostre nuove canzoni venga percepito come un’evoluzione del “classico” electro-pop. Sebbene nei nostri brani ci sia indelebilmente un’impronta electro-pop (segnata in modo particolare dal classico uso di sequencer di synth in quasi tutti i brani), ci sono diversi elementi “anomali”. Ad esempio non siamo affatto fan dei suoni analogici del 1982, come invece va di moda adesso. Usiamo indifferentemente sonorità “antiche” se ci piacciono (tipo suoni di Mellotron o drum machine simil-TR808 Roland) accanto a suoni digitali dell’ultima generazione, così come batterie elettroniche e brass dai suoni veri. Anche l’uso delle sezioni fiati nell’electro pop non è molto tipico. E poi, rispetto all’electro-pop tradizionale c’è un’impronta jazz, almeno in certi brani, per me inevitabile visti i miei trascorsi.
Dei RADAR di una volta è rimasto il cantato a più voci, nostra caratteristica già dall’epoca.
Quindi la risposta è: sì, non faremmo mai pezzi con gli stessi suoni e arrangiamenti di una volta. I nuovi RADAR non sono molto nostalgici.
Il vostro nuovo album si intitola re-pop. Come mai questo titolo “tutto rigorosamente in minuscolo”, come dite nella vostra presentazione?
(NS): re-pop minuscolo perché dev’essere intesa come una parola comune, che indica un “genere”. re-pop è un pop rivisitato, restaurato, re-inventato, attualizzato (almeno nelle intenzioni). E poi fa contrasto col nostro nome RADAR, sempre tutto in maiuscolo per enfatizzare otticamente il palindromo, anche se ovviamente non sempre si può usare il nostro semplicissimo logo del 1981 con una A e una R capovolte (ispirato dal logo con le A rovesciate dei Talking Heads in Remain in Light).
Precisate di rifiutare l’etichetta “demenziale”. Per quale motivo?
(Joyello Triolo): Perché non lo siamo. A volte si tende, per semplificare, ad usare una terminologia sbrigativa e siccome i nostri testi a volte fanno un po’ sorridere, qualcuno ha pensato che definirli demenziali fosse corretto in virtù del fatto che chi inventò il termine era altrettanto divertente. In realtà la “demenzialità” professata da Freak Antoni è molto lontana dal nostro lavoro sulle liriche che è, se vuoi, più stralunato e eccentrico. Inoltre il grandissimo Freak aveva coniato il termine in modo ironico e provocatorio. A nessuno piace essere definito “demenziale” che, dizionario alla mano, si riferisce a demenza, decadimento cerebrale e intellettivo.
Com’è nata la collaborazione con Aldo Nove per il testo di Plastic People?
(NS): Molto semplice. Siamo venuti a sapere che Aldo (che ha un po’ di anni meno di noi), quand’era ragazzino ascoltava il nostro album, e ci aveva citati in un suo racconto. Saputo ciò, siamo entrati in contatto con lui. In un primo momento si era offerto di scrivere i testi dell’album. Sfortuna ha voluto che l’abbiamo beccato dapprima in un periodo di crisi e problemi vari e subito dopo, al contrario, in un momento di escalation professionale che lo ha riempito di impegni. Ciò gli ha impedito di dedicarsi ai testi per noi. Pazienza, ci siamo arrangiati. Il contatto con lui c’è ancora. Forse bisogna solo continuare a rompergli le scatole periodicamente sperando che un bel dì, per sfinimento, si decida a scrivere qualcosa per noi.
Alla fine del libretto si legge in grassetto: “Nell’album non sono presenti campionamenti”. Parliamo di questo aspetto e poi, più in generale, di come nascono i vostri pezzi?
(NS): La questione dei campionamenti è una faccenda che mi sta particolarmente a cuore. Ho iniziato a usare un campionatore (Prophet 2000, una brutta bestia) nel 1986 e ne ho fatto uso e abuso in tanta mia musica per decenni. Però mi sono sempre limitato a campionare segmenti di strumenti isolati, voci, o usavo registrazioni mie; insomma cercavo di farne un uso creativo. Negli ultimi vent’anni c’è stata un’escalation indecente nell’uso di campionamenti altrui di tutti i generi, ma troppo usati in modo comunque truffaldino e in malafede, ovvero prendendo basi di hit famosi, facendo dei loop e rappandoci sopra, tanto per dire un uso “classico”, il più abusato. Al di là del fatto che giustamente gli artisti campionati avranno preso regolarmente i loro diritti d’autore (almeno spero), trovo che questo modo di fare, molto furbastro e ben poco impegnativo, abbia ucciso in gran parte la creatività musicale, inaugurando l’era del riciclo e del copia-incolla musicale. Quindi ho deciso che la cosa più onesta e paradossalmente “innovativa” sia quella, in un disco, di tirare fuori SOLO farina del proprio sacco, aborrendo campionamenti altrui anche di una sola nota.
I nostri pezzi nascono in maniera tradizionalissima: sono solo canzonette. Si può partire da un riff, da un giro armonico, da un ritmo, da una melodia… come accade per tutti, credo.
Si costruisce più o meno tutto col computer, poi si comincia ad aggiungere parti vocali provvisorie, ci si ragiona sopra, si valutano le parti, le armonie e gli unisoni e poi si incidono quelle definitive.
Prossimi impegni? Sono previsti dei live? O magari un nuovo album?
(JT): Quando è nata l’idea di riformare il gruppo, c’erano in formazione cinque elementi, come era quella originale degli anni ’80 (sebbene due fossero stati reclutati ex-novo per sostituire due che per cause di forza maggiore non potevano rientrare) e l’idea dei live era certamente contemplata. Essendo rimasti in tre ci siamo trovati un po’ in difficoltà sotto questo aspetto. Stiamo provando degli arrangiamenti per qualche live in piccoli ambienti che ci consenta di mettere in scena un repertorio preso dal vecchio disco del 1983 mischiato ai brani nuovi e… la cosa ci sta piacendo. Vedremo. Poi sì, la fase creativa è in grande spolvero: Nicola sta scrivendo molti pezzi nuovi e abbiamo un nuovo collaboratore per la parte lirica che sta scrivendo testi che ci piacciono moltissimo. Forse non sarà necessario aspettare altri 30 anni per il terzo album dei RADAR.