13/11/2015

Il Teatro degli Orrori: «Un disco autobiografico per parlare del Paese in cui viviamo»

Nuovo album con due elementi in più nel gruppo. Intervista a Pierpaolo Capovilla e soci
(foto di Edward Smith)
 
Dodici canzoni cariche di rock e di continue e costanti citazioni letterarie. Si presenta così il quarto album de Il Teatro degli Orrori.
 
Stessa attitudine adesso come dieci anni fa, quando hanno iniziato il loro percorso. Stesso approccio ora come allora.
Per il nuovo disco “senza titolo” ci sono però anche due nuovi ingressi nella formazione: Kole Laca alle tastiere e Marcello Batelli alla chitarra elettrica si sono aggiunti infatti a Francesco Valente (batteria e percussioni), Giulio Ragno Favero (basso elettrico), Gionata Mirai (chitarra elettrica) e Pierpaolo Capovilla (voce).
 
Un modo per essere più ricercati, rimanendo allo stesso tempo sempre diretti, proprio come in occasione di questa intervista.
 
 
Come mai questo “non titolo” per il nuovo album?
Kole Laca: Perché in questo disco ci siamo uniti anche io e Marcello e loro l’hanno vissuta come un capitolo che si è chiuso con i dischi precedenti. Abbiamo scritto questo nuovo capitolo tutti insieme con l’organico aggiornato.
Giulio Ragno Favero: Beh, poi in parte il “non titolo” o il fatto di chiamarlo col nome del gruppo rappresenta il periodo storico in cui stiamo vivendo, così come avevamo azzeccato il nome della band dieci anni fa.
Gionata Mirai: Questo a dimostrazione del fatto che il mondo negli ultimi dieci anni non è cambiato affatto (ride, ndr)!
 
Cosa hanno aggiunto Kole e Marcello alla musica del Teatro degli Orrori?
G.R.F.: Hanno completato il nostro modo di scrivere e di essere come entità sonora. Sono andati a coprire dei buchi con competenza e con arrangiamenti particolari che prima chiedevamo a terzi o improvvisavamo noi.
Con Kole è più semplice il modo di arrangiare tastiere, violini ecc.
Con Marcello c’è una chitarra in più e quindi con lui c’è un apporto creativo ulteriore e importante in un gruppo fatto anche di chitarre, mentre prima ci siamo divisi il compito sempre io e Gionata.
 
Pierpaolo, come sono nati i testi di questo nuovo album?
Pierpaolo Capovilla: I testi questa volta li ho scritti più di getto, lo chiamano flusso di coscienza… Io temo siano fortemente autobiografici ed essere autobiografici in questo momento storico significa parlare di se stessi e dell’immagine che si ha di sé all’interno delle circostanze in cui viviamo.
E questo disco, forse più dei precedenti, narra del Paese in cui viviamo.
Questo “signore” (ride e indica Giulio, ndr) mi incita, mi sprona a essere più chiaro, più trasparente nei miei pensieri e meno libresco. C’è allora un’attenzione a un linguaggio più urbano, diretto. C’è più lingua parlata e in questo senso è narrativamente più coerente con le circostanze in cui stiamo vivendo.
Ho giocato anche un po’ a dadi con le parole. Ho lasciato che le parole, come ad esempio in Cazzotti e Suppliche, prendessero il sopravvento sulle mie intenzioni narrative e mi sorprendessero… sorprendessero cioè persino l’autore.
Ho lasciato che le parole emergessero con la loro terribile forza narrativa senza preoccuparmi troppo di non pestare i piedi ai potenti di turno. Anzi… non me ne sono preoccupato per niente!
 
Bene. Parliamo di Lavorare stanca, il primo singolo del vostro nuovo lavoro…
G.R.F.: Nella sua forma musicale parte da un’idea di Kole nata a casa mia. Era una cosa che faceva a teatro con altri musicisti e ci sembrava interessante. L’aspetto musicale è interessante per le tastiere che sono due che si intrecciano.
P.C.: Per quanto riguarda il testo è il flusso di coscienza di prima. Giocando a dadi con le parole sono emersi temi cruciali a cui sono affezionato. Uno di questi è il lavoro: c’è in particolare come una violenza nella società che costringe le persone a fare appunto un lavoro per uno stipendio da fame per 10 ore al giorno in una fabbrica o in un ufficio. Si fa spesso un lavoro insensato, nel senso che manca di senso, il cui fine ultimo cioè non conosci o se non lo conosci te ne freghi…
 
Dalla fotografia che ha ispirato Una donna al bugiardino per Benzodiazepina. Tutto può essere fonte di ispirazione?
P.C.: Io sono una persona curiosa e questa curiosità io mi permetto di chiamarla cultura: è quel sentimento che ti porta a conoscere più di quello che conoscevi prima. Questo sentimento può diventare educazione permanente, lottando fino in fondo nella vita. Ad esempio non è che mi laureo, poi vado a lavorare e chiudo con la cultura.
Io cerco di approfondire temi più vicini alla mia esistenza e alle corde del mio cuore.
Nel caso del Teatro degli Orrori non si parla solo di approfondimento analitico, ma di vera e propria narrazione.
Noi raccontiamo la società in cui viviamo. È un racconto doloroso, fa male e lo sappiamo… ma è un racconto necessario…
 
Necessario come quello di Genova sui fatti del G8 del 2001?
P.C.: Certo. Genova per me è la canzone più chiara cantata fino ad oggi sui fatti del G8 del 2001. È una chiarezza che fa male, ma è importante per mettere a fuoco un evento traumatico, perché lì si tratta di una sospensione dei diritti civili in uno stato di diritto e di qualcosa di molto simile allo stato di guerra.
 
Chiara Gioncardi, Federico Zampaglione e Guglielmo Pagnozzi sono ospiti di Sentimenti inconfessabili. Com’è nata la collaborazione con loro?
G.R.F.: Ci piaceva l’idea di creare la scena di un film, quella del risveglio, e volevamo diventasse reale dal punto di vista tecnico. Per cui abbiamo chiesto al nostro amico Federico e a una professionista del doppiaggio di fare le voci della coppia che si sveglia a seguito di questo incubo che di fatto è il testo della canzone. Guglielmo c’è… perché spacca! No, ci piaceva questa cosa del sax perché è uno strumento molto sexy e poteva descrivere bene questa scena. È anche uno strumento “terribile” se pensiamo a John Zorn o ai nostri amici Zu: quando strilla può infastidire ed è stato bello averlo in queste due forme.
P.C.: Ci siamo rivolti a Guglielmo perché è un talento straordinario e ha tanta generosità e lui è davvero capace di esprimere la sua forza interiore con il sax.
Poi volevo il sax dal secondo disco perché è uno strumento trascurato da troppo tempo nella storia del rock e io invece adoro certi Supertramp, i Roxy Music, lo stesso Springsteen e mi piaceva l’idea, persino con Il Teatro degli Orrori, di scrivere un pezzo con il sax… bella storia…
 
Siamo in conclusione. Il gruppo nasceva dieci anni fa: un bilancio di questi dieci anni? E poi: come vedete il futuro?
G.R.F.: Stiamo facendo di sicuro quello che ci piace e il pubblico ci sostiene nelle nostre scelte. Poi in parte quest’anno siamo anche rinati senza peraltro averlo mai progettato. È la musica che sta scegliendo per noi. Il futuro lo dice Paolo…
P.C.: Beh, io sono disperato. Vedo nero intorno a me. E proprio perché vedo tanta tenebra nelle nostre vite, cerco la luce… quella fiammella di speranza che si nasconde sempre dietro ogni disperazione diceva Pasolini. Che Dio lo abbia in gloria…
 
Per quanto riguarda invece il futuro immediato, prosegue in tutta Italia il tour de Il Teatro degli Orrori. Per visualizzare tutte le date e le informazioni relative ai vari live, è possibile consultare il sito ufficiale del gruppo.
 
 

 

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