Ada Montellanico feat. Michel Godard & Paolo Fresu. È questo il nome completo dell’ensemble che ha interpretato WeTuba, il nuovo, raffinato disco della musicista romana; un’istantanea di sé stessa e del suo – o meglio nostro – tempo. Nove tracce, sette testi scritti di suo pugno: in questo lavoro convivono l’uguaglianza tra gli uomini e il sorriso innocente dei bambini, il destino atroce dei migranti e il potere curativo delle parole. La musica, invece, è affidata ad una delle sonorità che la Montellanico ama di più, quella degli ottoni, e non poteva dunque scegliere compagni di viaggio migliori: Paolo Fresu e Michel Godard, straordinario tubista e unico suonatore di serpentone.
Ada, sappiamo della tua grande passione per gli ottoni, e uno dei protagonisti del tuo nuovo disco è proprio il basso tuba. Come nasce questo progetto discografico e quali sono stati i tuoi preziosi compagni di viaggio?
Sono stata invitata al Festival Striscia di Terra Feconda diretto da Paolo Damiani che ha la particolarità di ospitare gruppi in cui convivono musicisti italiani e francesi. Ho preso quindi la palla al balzo e approfittato dell’occasione per chiamare Michel Godard, un artista che ho sempre amato, grande sperimentatore e grande suonatore di tuba e serpentone, oltre che persona splendida. Ho chiamato poi tre magnifici giovani musicisti come Simone Graziano, Francesco Ponticelli e Bernardo Guerra. Con Francesco avevamo già collaborato artisticamente, a lui e a Simone sono legata anche per il grande impegno profuso in questi otto anni per far nascere e costruire Midj, l’associazione nazionale di musicisti di jazz, di cui sono stata presidente per quattro anni. A loro, in questo duplice rapporto artistico e politico, si unisce Paolo Fresu, l’altro importante ospite con cui dal 2014 si è stabilito un rapporto molto intenso, lavorando insieme per lo sviluppo del grande movimento del jazz italiano. Paolo oltre ad aver scritto le musiche di due brani ha poi partecipato all’incisione del CD suonando splendidamente nelle composizioni da lui scritte.
Sei sempre stata un’artista poliedrica, che si è dedicata a progetti spesso diversi gli uni dagli altri; in cosa WeTuba è diverso rispetto ai tuoi precedenti lavori?
In WeTuba, dopo alcuni dischi in cui omaggiavo grandi artisti o rileggevo in chiave personale il songbook della tradizione afroamericana, sono tornata a riproporre brani originali. Ho avuto l’esigenza di comunicare attraverso la musica qualcosa che mi appartenesse di più. Era successo con Il sole di un attimo del 2008, ma stavolta c’è una maturità diversa. Le musiche sono state scritte per la maggior parte da Francesco Ponticelli e poi da Simone Graziano e Michel Godard, oltre che, come detto prima, da Paolo Fresu. Le parole sono state tutte scritte di mio pugno tranne due brani. Attraverso questi testi ho voluto parlare di me, di ciò in cui credo, ho voluto affrontare argomenti importanti come l’eguaglianza tra esseri umani, la drammatica realtà dei migranti, la magnifica dimensione di curiosità e di fiducia negli altri che hanno i bambini, il valore delle parole che mai come in questo periodo sono usate come armi che possono ferire a morte, ma che invece, se usate diversamente, hanno la capacità di curare e far stare bene.
Raccontaci il tuo incontro con il jazz e qual è – o quali sono – gli artisti che ti hanno maggiormente ispirata durante la tua formazione.
Venivo dalla musica popolare e da anni di ricerca sul campo in ambito etnomusicologico, ma un amico mi fece ascoltare My Favourite Things di John Coltrane e rimasi a dir poco sconvolta. La forza, l’irruenza espressiva, la statura di quel gigante mi colpì profondamente e fu amore a primo ascolto. Comprai un sax soprano e iniziai i miei studi alla Scuola di Musica Popolare di Testaccio di Roma, poi contemporaneamente sempre lì cominciai a frequentare il laboratorio di jazz vocale e ripresi a cantare, cosa che già facevo nei miei gruppi di musica popolare.
Oltre Coltrane, gli artisti che maggiormente mi hanno ispirato sono Bill Evans, Betty Carter e Nancy Wilson ed ognuno per differenti motivi, ma ce ne sarebbero tantissimi altri perché il variegato mondo del jazz è ricco di differenti personalità, e tutte hanno contribuito a rendere grande questo linguaggio.
Segui la scena jazz del momento? C’è qualche giovane artista che segui con interesse o qualcuno con cui ti piacerebbe collaborare?
Ormai sono anni che lavoro quasi sempre con giovani, diciamo che molti hanno iniziato proprio con me e ora appartengono a quel mondo di eccellenti star giovanili, e di questo ne sono molto fiera e felice. Al momento nei miei gruppi militano Enrico Zanisi, Jacopo Ferrazza, Filippo Vignato, Matteo Bortone, Alessandro Paternesi e Ermanno Baron, oltre ovviamente a Francesco Ponticelli, Bernardo Guerra e Simone Graziano.
Ci sono veramente tanti giovani che seguo con interesse e ammirazione e sarebbe difficile fare dei nomi, ma posso dire che aspetto la prima occasione per invitare nel mio progetto su Billie Holiday un prodigioso sassofonista che si chiama Claudio Junior De Rosa.
Hai lavorato con grandi nomi del panorama italiano e internazionale: qual è la collaborazione, l’esperienza o il momento che porti nel cuore più degli altri?
Nelle mie collaborazioni importanti, tra cui voglio citare sicuramente i grandi Pieranunzi e Rava, due sono gli straordinari artisti che porto nel mio cuore, che tra l’altro purtroppo ci hanno lasciato circa un anno fa. Sono due giganti della storia del jazz, Jimmy Cobb e Lee Konitz. Con Jimmy abbiamo fatto tre tournée e ho inciso il mio primo cd, The Encounter, è stato un incontro molto emozionante. Avevo divorato Kind Of Blue, e sentire quel suono così speciale mentre cantavo è stato qualcosa di unico, come anche ascoltare i suoi racconti degli anni storici del jazz al fianco di Davis, Coltrane… una vera scuola di vita. Anche con Lee rimangono ricordi intensi e indelebili, mi aveva proposto di lavorare a un repertorio di sue composizioni a cui avrei dovuto unire dei testi, progetto bellissimo che purtroppo rimarrà un sogno nel cassetto.
Ada, sappiamo della tua grande passione per gli ottoni, e uno dei protagonisti del tuo nuovo disco è proprio il basso tuba. Come nasce questo progetto discografico e quali sono stati i tuoi preziosi compagni di viaggio?
Sono stata invitata al Festival Striscia di Terra Feconda diretto da Paolo Damiani che ha la particolarità di ospitare gruppi in cui convivono musicisti italiani e francesi. Ho preso quindi la palla al balzo e approfittato dell’occasione per chiamare Michel Godard, un artista che ho sempre amato, grande sperimentatore e grande suonatore di tuba e serpentone, oltre che persona splendida. Ho chiamato poi tre magnifici giovani musicisti come Simone Graziano, Francesco Ponticelli e Bernardo Guerra. Con Francesco avevamo già collaborato artisticamente, a lui e a Simone sono legata anche per il grande impegno profuso in questi otto anni per far nascere e costruire Midj, l’associazione nazionale di musicisti di jazz, di cui sono stata presidente per quattro anni. A loro, in questo duplice rapporto artistico e politico, si unisce Paolo Fresu, l’altro importante ospite con cui dal 2014 si è stabilito un rapporto molto intenso, lavorando insieme per lo sviluppo del grande movimento del jazz italiano. Paolo oltre ad aver scritto le musiche di due brani ha poi partecipato all’incisione del CD suonando splendidamente nelle composizioni da lui scritte.
Sei sempre stata un’artista poliedrica, che si è dedicata a progetti spesso diversi gli uni dagli altri; in cosa WeTuba è diverso rispetto ai tuoi precedenti lavori?
In WeTuba, dopo alcuni dischi in cui omaggiavo grandi artisti o rileggevo in chiave personale il songbook della tradizione afroamericana, sono tornata a riproporre brani originali. Ho avuto l’esigenza di comunicare attraverso la musica qualcosa che mi appartenesse di più. Era successo con Il sole di un attimo del 2008, ma stavolta c’è una maturità diversa. Le musiche sono state scritte per la maggior parte da Francesco Ponticelli e poi da Simone Graziano e Michel Godard, oltre che, come detto prima, da Paolo Fresu. Le parole sono state tutte scritte di mio pugno tranne due brani. Attraverso questi testi ho voluto parlare di me, di ciò in cui credo, ho voluto affrontare argomenti importanti come l’eguaglianza tra esseri umani, la drammatica realtà dei migranti, la magnifica dimensione di curiosità e di fiducia negli altri che hanno i bambini, il valore delle parole che mai come in questo periodo sono usate come armi che possono ferire a morte, ma che invece, se usate diversamente, hanno la capacità di curare e far stare bene.
Raccontaci il tuo incontro con il jazz e qual è – o quali sono – gli artisti che ti hanno maggiormente ispirata durante la tua formazione.
Venivo dalla musica popolare e da anni di ricerca sul campo in ambito etnomusicologico, ma un amico mi fece ascoltare My Favourite Things di John Coltrane e rimasi a dir poco sconvolta. La forza, l’irruenza espressiva, la statura di quel gigante mi colpì profondamente e fu amore a primo ascolto. Comprai un sax soprano e iniziai i miei studi alla Scuola di Musica Popolare di Testaccio di Roma, poi contemporaneamente sempre lì cominciai a frequentare il laboratorio di jazz vocale e ripresi a cantare, cosa che già facevo nei miei gruppi di musica popolare.
Oltre Coltrane, gli artisti che maggiormente mi hanno ispirato sono Bill Evans, Betty Carter e Nancy Wilson ed ognuno per differenti motivi, ma ce ne sarebbero tantissimi altri perché il variegato mondo del jazz è ricco di differenti personalità, e tutte hanno contribuito a rendere grande questo linguaggio.
Segui la scena jazz del momento? C’è qualche giovane artista che segui con interesse o qualcuno con cui ti piacerebbe collaborare?
Ormai sono anni che lavoro quasi sempre con giovani, diciamo che molti hanno iniziato proprio con me e ora appartengono a quel mondo di eccellenti star giovanili, e di questo ne sono molto fiera e felice. Al momento nei miei gruppi militano Enrico Zanisi, Jacopo Ferrazza, Filippo Vignato, Matteo Bortone, Alessandro Paternesi e Ermanno Baron, oltre ovviamente a Francesco Ponticelli, Bernardo Guerra e Simone Graziano.
Ci sono veramente tanti giovani che seguo con interesse e ammirazione e sarebbe difficile fare dei nomi, ma posso dire che aspetto la prima occasione per invitare nel mio progetto su Billie Holiday un prodigioso sassofonista che si chiama Claudio Junior De Rosa.
Hai lavorato con grandi nomi del panorama italiano e internazionale: qual è la collaborazione, l’esperienza o il momento che porti nel cuore più degli altri?
Nelle mie collaborazioni importanti, tra cui voglio citare sicuramente i grandi Pieranunzi e Rava, due sono gli straordinari artisti che porto nel mio cuore, che tra l’altro purtroppo ci hanno lasciato circa un anno fa. Sono due giganti della storia del jazz, Jimmy Cobb e Lee Konitz. Con Jimmy abbiamo fatto tre tournée e ho inciso il mio primo cd, The Encounter, è stato un incontro molto emozionante. Avevo divorato Kind Of Blue, e sentire quel suono così speciale mentre cantavo è stato qualcosa di unico, come anche ascoltare i suoi racconti degli anni storici del jazz al fianco di Davis, Coltrane… una vera scuola di vita. Anche con Lee rimangono ricordi intensi e indelebili, mi aveva proposto di lavorare a un repertorio di sue composizioni a cui avrei dovuto unire dei testi, progetto bellissimo che purtroppo rimarrà un sogno nel cassetto.