24/09/2014

Intervista, “Così vicini” a Cristina Donà

A tu per tu con la cantautrice per parlare del nuovo disco e della “voglia di continuare a scoprire”
Dopo i convenevoli mostra il suo nuovo album. “Finalmente anch’io ho fatto il disco in vinile!” dice riferendosi a uno dei formati in cui è disponibile Così vicini (QBL/Believe Rec., 2014) e aggiunge: “Nel 1997 (anno di pubblicazione del primo album Tregua, ndr) cosa te ne facevi del vinile? Adesso invece c’è da un po’ di tempo ‘questo ritorno’ e sono contenta perché finalmente anch’io ho il mio ‘disco’!”. A parlare con orgoglio, ma anche con il sorriso e con una mirabile pacatezza, è Cristina Donà. La cantautrice ha pubblicato infatti il giorno del suo compleanno (23 settembre) Così vicini, album scritto a quattro mani con Saverio Lanza. Ed è proprio da qui (o quasi) che inizia la nostra intervista a Cristina Donà.
 
Com’è nato Così vicini, singolo che dà anche il titolo all’album?
E’ sicuramente un episodio atipico nella mia produzione. Con Saverio Lanza ho iniziato a lavorare dall’album precedente, Torno a casa a piedi (EMI 2011, ndr), e con lui ho scritto anche brani per altri. Tra i nostri continui scambi via mail, lui mi aveva mandato un po’ di pezzi che teneva chiusi nel cassetto e tra questi c’era anche Così vicini. Il brano ovviamente non si chiamava così, aveva soltanto un testo accennato e a un certo punto ho deciso di lavorarci. Da lì è venuto fuori un testo che da subito mi ha emozionato e inizialmente non pensavo nemmeno di tenerlo per me. Forse proprio il fatto di non averlo scritto con l’intenzione di cantarlo, mi ha portato a comporre in modo diverso e con meno paure di scrivere cose semplici, che poi è proprio la cosa che vorrei fare sempre di più. Non voglio “semplificarmi”, ma sicuramente voglio andare un po’ di più all’osso e quindi essere più diretta in questa fase. Poi chi lo sa?
 
Il testo di Così vicini è l’unico cofirmato con Saverio Lanza…
Sì, come ti dicevo, c’erano parti di testo abbozzate e c’era già l’incipit “La mente mia ritorna”. Poi lui molto carinamente mi aveva detto di firmare tutto il testo, ma non era giusto. Se non ci fosse stato “La mente mia ritorna”, non avrei scritto quel tipo di canzone sul ricordo e sulla nostalgia di un certo tipo di passato. Credo poi che la parola “mente” non l’avrei mai usata e non penso che avrei mai scritto una frase come “La mente mia ritorna”. E invece è proprio il bello della collaborazione con lui e delle collaborazioni in generale. Tu arrivi fino a un certo punto, poi arriva l’altro che mette un altro tassello e, se ti trovi umanamente, lo scambio diventa una bella risorsa.
 
Con Saverio Lanza collabori già dal disco precedente. Come si è sviluppato o si sta sviluppando il rapporto con lui?
Con Saverio la cosa va bene e per la scrittura me lo tengo stretto, perché vengono fuori delle belle cose. Noi lavoriamo molto a distanza: lui sta a Firenze e io invece tra i monti della bergamasca. C’è uno scambio assiduo di e-mail con allegati mp3 e nel mio caso si tratta di un utilizzo abbastanza improprio delle registrazioni, perché gli invio parti cantate o melodie con cui mi accompagno. La cosa bella della collaborazione è che non ho l’ansia di portare a termine un brano e farlo ascoltare ai musicisti come ho fatto in precedenza, ma riesco a sfruttare anche un’idea piccola per poi farla crescere insieme a lui. In pratica c’è un modo di lavorare che porta a soluzioni lontane dalle tue abitudini e questa per me è una ricchezza. Io ho bisogno di questo. Io ho sempre ammirato nel panorama italiano quelli che si sono sempre reinventati. I primi che mi vengono in mente sono Battisti e Battiato. Loro non hanno avuto bisogno di essere incasellati in un genere o hanno avvertito la necessità di uscirne, perché all’epoca poi era ancora più rischioso il fatto che tu “potessi perdere un pubblico”, ma la cosa è vitale per te. Se mi si dà la possibilità di fare ogni volta qualcosa di diverso, io preferisco.
 
Provando ad andare oltre, Così vicini si può intendere anche rispetto alle dinamiche “immediate” ma “non vicine” dei social network?
Beh, in generale questo discorso direi che è più una conseguenza, però alcune canzoni nascono proprio da una riflessione rispetto a questa nuova modalità di comunicazione filtrata che apparentemente è diventata più semplice e sembra agevoli i rapporti. Questo mezzo ti permette di nasconderti o forse ti permette di esprimerti in modo più libero. Sembra sia così, ma in realtà non lo è, perché, quando poi fai i conti con la tua esigenza di rapporto umano, il discorso cambia. Se i tuoi rapporti con gli altri sono tramite web e basta, è un danno. Non si parla di quello esplicitamente, ma è una conseguenza rispetto all’esigenza di trovare qualcosa di più profondo che sul web si perde. Il mezzo è importante, sorprendente e necessario, ma dovrebbe essere usato per quello che è e ora forse non ce ne rendiamo conto. Il tema qui è indiretto. Il Così vicini è riferito alla voglia di continuare a scoprire e significa quindi anche che non si è arrivati. Se vuoi, si riferisce all’illusione di essere sempre vicini, ma, se hai bisogno di una vicinanza vera, non si va sul web a cercare la persona. Magari fra vent’anni avremo impostato le vite così, ma mi chiedo se l’essere umano è pronto per vivere in questa maniera. Magari quando è per lavoro, è un bene, ma quando si parla di rapporti umani…
 
Parlando anche di altri pezzi del tuo nuovo album, Il tuo nome è un brano autobiografico o lo è più di altri?
Quel brano lì non è nato per me. Ogni tanto Saverio mi dice: “Mi stanno chiedendo brani per…” e allora io parto con la fantasia. In quel caso mi era venuta l’idea di parlare di un amore finito e di quei momenti di fragilità conseguenti. Certe volte anche solo sentire il nome dell’altro ti crea problemi più di altre cose. L’esperienza personale di amori finiti o cose raccontate da altri ti aiutano a trovare spunti. Io ricordo momenti di interruzioni o rapporti finiti ed era imbarazzante che qualsiasi cosa, anche la canzone d’amore più idiota, in quel momento potesse essere devastante! E comunque è anche un modo per ironizzare su alcune debolezze…
 
Com’è nata invece Perpendicolare?
Perpendicolare rappresenta l’immagine di qualcosa di invisibile ma potente ed è legata sicuramente alla mia esperienza della maternità e di questo legame che c’è con un figlio. È l’immagine di un qualcosa di chirurgico che entra in te. E l’immagine corrispondeva a quello che sentivo. Se pensi a una croce, hai l’idea della perpendicolarità delle cose e quindi ho pensato di usare “questa geometria” anche per il mio testo. E poi anche la melodia è “perpendicolare”. Io ho scritto una parte e invece Saverio ha sviluppato il momento successivo in cui si distende e si apre, creando il contrasto. (ride, ndr) Ci abbiamo lavorato tanto, perché pensavo: non è troppo ecumenica? Non saranno troppo forti le parole? Anche questo “conficcato nella carne” ho cercato di trasformarlo, ma non trovavo un modo diverso di esprimere il concetto. Poi a Saverio piaceva e io mi sono buttata.
Qualcuno mi ha detto che questo è un disco molto “fisico”, forse perché io lavoro molto di testa. La fisicità mi manca e la metto in quello che scrivo, perché lì metto proprio ciò che mi manca.
 
Ecco, proprio a proposito del tuo modo di comporre, ci sono nuovi artisti a cui ti ispiri per scrivere?
Io spero sempre di riuscire ad evolvermi e in futuro mi piacerebbe forse confrontarmi con qualcuno che si occupa anche dei testi.
Dopo la nascita di mio figlio ho avuto una “pausa negli ascolti” e non ero coinvolta dalle cose come in passato, però c’è un nome su tutti che mi ha stregato: gli Other Lives. Il loro secondo disco, Tamer Animals, mi è piaciuto tantissimo e in un certo senso loro hanno influenzato il mio mondo musicale, non ovviamente il mio disco. Però questo modo di essere epici e apocalittici, quella voglia di essere più radicati o anche più estremi in certi messaggi, come in Perpendicolare se vuoi, credo che arrivi anche da lì.
Per i cantati invece di Così vicini, mantenuta così perché rendeva l’atmosfera anche se fuori dai miei standard, citerei senz’altro i Bon Iver. Sicuramente non hanno inventato loro il falsetto doppiato, ma da lì ho preso spunto per dare al brano quel senso di sospensione.
L’ho anche proposta e provata con Saverio in tonalità più bassa, ma poi ci siamo guardati e non convinceva. La sorpresa è bellissima e se riesco sempre a sorprendere gli altri mi fa piacere, ma per prima cosa voglio rimanere sorpresa da me stessa.
 
Bene. Adesso una curiosità: ormai sono trascorsi più di 15 anni da quando hai conosciuto Robert Wyatt, che ricordiamo aveva votato Tregua tra i suoi cinque album preferiti per il mensile britannico Mojo, poi è intervenuto nella tua celebre Goccia e ha collaborato al rifacimento di Televisione nella recente riedizione di Hai paura del buio? degli Afterhours. Che rapporto hai con lui?
Robert è una persona straordinaria. Come musicista lo sanno tutti. Cioè… magari lo sapessero tutti. Ma chi lo conosce, lo sa!
Ci sentiamo spesso e per il brano di Hai paura nel buio? ho tenuto io i contatti con lui. Robert ha tenuto subito a specificare che non suona più, ma, se avessimo voluto usare i suoi campioni, lo avremmo potuto fare e quindi se non sbaglio Ciccarelli (chitarrista e tastierista degli Afterhours, ndr), che è appassionato di Robert Wyatt, ha trovato questa parte che si adattava perfettamente a Televisione. Lui poi ha seguito in tempo reale e mi ha fatto un sacco di complimenti per quello che ho fatto.
Presto faranno una raccolta di canzoni sue per un’etichetta inglese con i brani delle sue collaborazioni e ha voluto che anche Goccia facesse parte di questo lavoro. Per me è motivo di grande soddisfazione. Lui ne ha fatte tante di cose e rientrare in quella rosa per me è un grande privilegio. Ancora non so quando esce, ma nei prossimi giorni gli scriverò per chiedere.
Con Robert è stato un incontro meraviglioso. All’epoca nemmeno lo conoscevo bene e non mi rendevo conto della cosa. Cioè, conoscevo qualcosa di lui o dei Soft Machine, ma non ero così consapevole e infatti c’erano persone che mi chiedevano: “Ma tu davvero hai lavorato con Robert Wyatt?”… e forse quest’incoscienza mi ha permesso di avvicinarmi a lui. Ricordo che gli chiesi proprio: “Stasera suono! Vieni a vedermi?” E lui è venuto!
 
Andrai in tour prossimamente?
Il tour con la band partirà da fine novembre. Poi farò alcune serate in duo con Saverio per amplificare il tema del Così vicini. Lo faremo in posti piccoli e lo faremo per raccontare l’album. Sarà una specie di storytelling. Vogliamo stare vicino alla gente, perché penso piaccia alla gente sapere come nascono i pezzi. Non voglio fare una lezione ovviamente, ma saranno senz’altro dei concerti particolari.
 
Dicevi prima: “Il Così vicini è riferito alla voglia di continuare a scoprire e significa quindi anche che non si è arrivati”. Quindi Così vicini per andare (e arrivare) lontano?
Sì. La scienza ce lo dimostra tutti i giorni. Sembra sempre si sia trovata la particella più piccola e invece non è mai così. E poi all’opposto c’è pure l’infinitamente grande. La curiosità fortunatamente porta a tutto ciò. Mi auguro che le persone mantengano sempre questa caratteristica, perché ti porta ad andare in tanti luoghi che prima non consideravi…
 
Perché “è solo un’emozione quella che ci muove”?
Ecco! Non volevo autocitarmi, ma sì… è così!…

 

 

On demand

Iscriviti alla Newsletter

Vuoi rimanere sempre aggiornato su rock e dintorni? Iscriviti alla nostra newsletter
per ricevere tutte le settimane nuovi video, contenuti esclusivi, interviste e tanto altro!