14 marzo 2015. Stavo ragionando su un po’ di domande da sottoporre ad Angelo Torre quando arriva, autentico fulmine a ciel sereno, la notizia che i fan non avrebbero mai voluto sentire: Franco Mussida lascia la PFM. Di fronte a una cosa del genere cambia anche la prospettiva della conversazione con Angelo, appassionato fondatore del fan club di Franz Di Cioccio su Facebook.
I signori dell’immaginazione – PFM in 100 pagine (Aereostella), il libro che ha dedicato alla storia della Premiata, è uscito all’indomani del successo di PFM in Classic. Spesso gli autori di testi musicali sono accusati di essere troppo dalla parte del gruppo o dell’artista oggetto della disamina, ma il lavoro di Torre parte proprio dalla posizione dell’aficionado: infatti, come precisa nella prefazione, la Premiata è la colonna sonora della sua vita, è il gruppo che ha sempre seguito con dedizione e quindi il suo libro è prima di tutto un atto d’amore e un’osservazione sui mutamenti della PFM nel corso di più di quarant’anni. È proprio al fan, al supporter pieno di passione, che rivolgiamo la fatidica domanda…
Franco Mussida lascia la PFM. Il comunicato stampa individua alcune cause, tu che idea ti sei fatto?
Se penso alla clamorosa fuoriuscita di uno dei fondatori della più grande prog band italiana, il mio animo è contrastante. Da fan di lunga data soffro e non immagino una PFM senza Mussida, come non la immagino senza Di Cioccio o senza Djivas; allo stesso modo un Mussida senza PFM mi suscita molti interrogativi. Il fan non accetta i cambiamenti, è nostalgico, è morbosamente attaccato alle origini, al già sentito, è restio ai cambiamenti stilistici o di organico; è ipercritico su tutto, specialmente verso una band come PFM che si è sempre messa in discussione; il fan di lunga data cristallizza la sua attenzione verso il passato glorioso. Se però mi distacco e rifletto con animo diverso, ritengo che la scelta di Franco sia coraggiosa e giusta perché fatta con cognizione di causa per il bene della band e dell’arte.
Evidentemente le scelte stilistiche e musicali, dentro e fuori PFM, sia di Franco che degli altri erano diverse e si è arrivati al punto di darsi delle priorità. Franco ha ritenuto opportuno dare spazio maggiore ad attività extra-PFM e in maniera onesta verso se stesso in primis, verso i compagni di una vita e verso i fan ha deciso di prendere un’altra strada. Penso che faccia male alla musica avere una band senza collante e mordente, così come fa male vedere una band tenuta insieme a forza, guidata solo da priorità personali. In casa PFM non è la prima volta che si assiste a una separazione importante. Quando uscì Pagani ci si chiedeva cosa sarebbe successo. E PFM è andata avanti continuando a costruire la storia musicale macinando note e chilometri. Stesso discorso per il doppio addio di Premoli. Oggi ci si ritrova a fare i conti sul dopo-Mussida. Cosa penso? Che PFM e Mussida hanno ancora tanto da dire e lo faranno al meglio.
Quanto è stato importante il contributo di Mussida nella musica della PFM e nella tenuta del gruppo nel corso di questi anni?
Il contributo di Mussida è stato importante al pari di Di Cioccio e di Djivas, tutti e tre insieme da oltre 40 anni. Una carriera simbiotica, fatta di interscambi, malumori e gioie immense, come in ogni famiglia. Ogni componente ha sempre avuto una spiccata personalità e ha avuto quella caratteristica che compensava ciò che mancava agli altri. La presenza scenica di Di Cioccio e la sua travolgente energia si completava con la meticolosità e la compostezza di Djivas: secondo me Mussida era il collante tra l’anima rock di Franz e l’apparente calma di Patrick, un artista capace di emozionare il pubblico, di coinvolgerlo con le note acustiche di Peninsula o di elettrizzarlo con le scale di Alta Loma.
Con l’uscita di Mussida prevedi una battuta d’arresto o pensi che PFM proseguirà la sua avventura?
PFM ci ha abituati agli addii più o meno clamorosi che facevano sorgere l’odioso ma inesorabile interrogativo “e ora che si fa?”. Franz, Patrick e i validi musicisti che li accompagnano hanno energia da vendere e non credo vogliano certo chiudere qui la loro carriera. Sarebbe una “sconfitta per la musica”. La risposta che darebbe PFM è “Suonare Suonare”. Credo proprio che PFM andrà avanti tirando fuori una carica al di sopra di ogni aspettativa perché è nel suo DNA il far ricredere critica e pubblico. Del resto dopo l’uscita di Pagani la PFM andò avanti con la breve parentesi di Greg Bloch e poi con l’eclettico Lucio Fabbri ancora oggi presente nel gruppo.
Che tipo di chitarrista sarebbe adatto secondo te per sostituire Mussida?
Non amo il termine “sostituzione”. La sostituzione va bene per un pezzo di una parte meccanica per svolgere le stesse funzioni del pezzo che non va più. Quando si entra in un ambito umano ogni persona è insostituibile. Franco lascia un’eredità pesante come uomo e come artista: a me piace pensare più che altro che Franz e Patrick riusciranno a trovare quel collaboratore in grado di stabilire delle elevate affinità artistiche ed espressive. Che tipo sarebbe adatto? Non penso a nessuno in particolare e dipende dalla svolta che il gruppo vorrà dare, dai progetti sia dal vivo che in studio (lavori inediti pare siano già in cantiere da un po’ di tempo), ma non credo affatto che rimarremo delusi.
Veniamo al tuo libro. Condensare in cento pagine quarant’anni di Premiata e un blocco di dischi storici per la nostra musica non è semplice: che taglio hai dato al tuo saggio?
Un taglio in linea con tutti i volumi della collana, sintetico ma completo di tutto ciò che riguarda il mondo PFM. Una lunga carriera raccontata con semplicità e spontaneità, cercando di coinvolgere sia l’appassionato, sia chi non ha mai sentito parlare di PFM.
I signori dell’immaginazione è il primo libro della collana 100 pagine dedicato a un gruppo. Seguono infatti i vari Dalla, Battiato, Jannacci, Vasco, Vecchioni ecc. Cosa accomuna la PFM ai “senatori” della musica italiana affrontati nei precedenti testi?
Apparentemente nulla sembrerebbe legare il mondo dei cantautori all’anima progressive di PFM, eppure un affinità l’ho trovata in quella che è l’espressione artistica in sé. PFM racconta in musica ciò che un cantautore fa con un testo e con un arrangiamento più o meno minimale. Eppure la carriera di questi eterni ragazzi iniziò proprio come sessionmen (i migliori della piazza) per cantautori come Fabrizio De Andrè e Lucio Battisti. Con Faber in particolar modo è nata quell’amicizia e quella storica collaborazione del 1979 che aprì all’uno e agli altri le porte agli anni ’80, favorendo un nuovo modo di comporre e scrivere musica e testi. I cantautori, così come PFM, sono portatori di un messaggio, di una cultura, di una prospettiva sull’uomo e sul mondo: mentre i primi usano parole chiare e inequivocabili, PFM fa leva sulla musica e sulla capacità “immaginifica” dell’ascoltatore.
Il prog della PFM è tuttora amatissimo anche all’estero: come ti spieghi il fascino che la band esercita sugli ascoltatori stranieri?
Chi ha avuto la fortuna di vedere la band dal vivo nel corso di questi 40 anni ha visto una travolgente energia, una capacità di adattamento a diversi contesti musicali, una passione fuori dal comune che si è mantenuta costante nel tempo. Un concerto della PFM è sudore, improvvisazione, cura meticolosa degli arrangiamenti. Non per niente la band ha all’attivo circa ottomila concerti in tutto il mondo, unendo più generazioni di appassionati, un interesse da parte di critica e pubblico sempre crescente nel corso degli anni. Siamo di fronte all’unica band made in Italy che è stata in grado di scalare le blindatissime classifiche USA e di esibirsi dal vivo di fronte a quasi 500.000 persone (impensabili queste cifre in Italia, fatta eccezione per il concerto del Primo Maggio). Da un lato mi viene da pensare che “l’erba del vicino è sempre più verde”: ci sono stati (e ci sono ancora) gruppi che in Italia non hanno goduto di molta visibilità mentre all’estero sono stati più apprezzati e viceversa. Ad esempio i Genesis degli esordi hanno avuto più successo in Italia che in madrepatria. Probabilmente lo stesso discorso potrebbe valere per la PFM. Dall’altro lato penso che è stato chiaro sin dagli esordi che l’intento della band era quello di avere un respiro più internazionale che italiano: obiettivo centrato in pieno.
Nel raccontare la Premiata disco per disco, non mancano momenti in cui riveli il tuo amore per alcuni album. Uno di questi è Ulisse, un disco molto interessante sottovalutato e dimenticato, a mio avviso anche dalla stessa PFM…
Ulisse è l’album d’esordio di quella che io amo definire per ragioni anagrafiche “la mia PFM” e, come ho sottolineato, è l’album del ritorno dopo il decennio di silenzio. È stata la ripartenza con una maggiore maturità compositiva ed una crescente energia e consapevolezza di saper suonare bene. Un album fondamentale dopo l’assenza di quegli stimoli che portarono la PFM a dire “basta, prendiamoci una pausa”. In una delle tante interviste dell’epoca, subito dopo l’uscita di Ulisse e il conseguente tour, la PFM dichiarò che probabilmente era più la spesa che l’impresa nel realizzare un album del genere, ma era necessario affrontare la sfida di rimettersi al passo con i tempi. Le sonorità a tratti acustiche, a tratti puramente progressive, di Ulisse fanno da spartiacque tra i lavori precedenti (PFM?PFM! e Miss Baker) e i successivi Serendipity e Stati di Immaginazione. Non credo sia caduto nel dimenticatoio, anzi credo sia il lavoro più “intimo” che sia stato fatto, per dire a se stessi e al pubblico che il silenzio è finito e si ritorna a viaggiare. Il viaggio prosegue dal 1997 solcando i mari dell’immaginazione.
Molti snobbano la PFM anni ’80, molto più debole e poco ispirata. Tuttavia tu sei entrato meglio nei dischi dell’epoca per capirne qualcosa di più. Album da rivalutare?
Leggendo I Signori dell’Immaginazione ci si avventura in un viaggio fatto di tante tappe quanti sono i dischi. Ogni disco ha una storia a sé, è nato da condizioni e da scelte che devono essere contestualizzate in un determinato momento musicale e nella direzione che la band ha voluto imprimere. Da questo punto di vista credo che la PFM si sia espressa sempre nel modo migliore in base alle situazioni che aveva di fronte. Molto spesso (erroneamente aggiungo) si vive di paragoni e si pensa che gli anni ’80 siano inferiori qualitativamente agli anni ’70: sono epoche, stili e generi diversi che nascono da motivazioni espressive diverse. PFM ha usato gli stessi linguaggi di gruppi coevi (Banco, Orme, New Trolls) con le capacità e la forza di cui era capace. Certo… ascoltando Storia di Un Minuto e PFM?PFM! ci si chiede se si è di fronte alla stessa band ed effettivamente sì, è così. Bello o brutto che sia (i giudizi sono sempre personali) fa parte della storia della PFM e sarebbe interessante una sua rilettura in chiave più moderna. Stesso discorso farei con Miss Baker per rendere giustizia a dei lavori che non hanno mai avuto spazio nei live. Il progressive è “coraggio di cambiare” non solo i tempi in un pezzo o in un album, ma anche stile da un lavoro all’altro.
Con PFM in Classic si è chiuso un cerchio, realizzando il vecchio sogno di Franz e soci, quello di duettare con l’orchestra. Secondo te PFM ha ottenuto tutto ciò che desiderava o ci sono dei progetti ancora da sviluppare?
La risposta si potrebbe collegare a quanto già detto a proposito dell’uscita di Mussida. La PFM continua perché ha nuovi progetti. Quali che siano non lo so ancora, ma sono certo che arriveranno. L’abbandono di Mussida potrebbe portare nuovi stimoli che i fan (me compreso) potranno scoprire solo con il tempo. Mi viene in mente un verso di Andare per Andare e immagino che in questa frase stia il futuro della PFM: “Andare per andare… dove non ti perdi mai e lì si ostinano a vivere i grandi sogni miei”.
I signori dell’immaginazione – PFM in 100 pagine (Aereostella), il libro che ha dedicato alla storia della Premiata, è uscito all’indomani del successo di PFM in Classic. Spesso gli autori di testi musicali sono accusati di essere troppo dalla parte del gruppo o dell’artista oggetto della disamina, ma il lavoro di Torre parte proprio dalla posizione dell’aficionado: infatti, come precisa nella prefazione, la Premiata è la colonna sonora della sua vita, è il gruppo che ha sempre seguito con dedizione e quindi il suo libro è prima di tutto un atto d’amore e un’osservazione sui mutamenti della PFM nel corso di più di quarant’anni. È proprio al fan, al supporter pieno di passione, che rivolgiamo la fatidica domanda…
Franco Mussida lascia la PFM. Il comunicato stampa individua alcune cause, tu che idea ti sei fatto?
Se penso alla clamorosa fuoriuscita di uno dei fondatori della più grande prog band italiana, il mio animo è contrastante. Da fan di lunga data soffro e non immagino una PFM senza Mussida, come non la immagino senza Di Cioccio o senza Djivas; allo stesso modo un Mussida senza PFM mi suscita molti interrogativi. Il fan non accetta i cambiamenti, è nostalgico, è morbosamente attaccato alle origini, al già sentito, è restio ai cambiamenti stilistici o di organico; è ipercritico su tutto, specialmente verso una band come PFM che si è sempre messa in discussione; il fan di lunga data cristallizza la sua attenzione verso il passato glorioso. Se però mi distacco e rifletto con animo diverso, ritengo che la scelta di Franco sia coraggiosa e giusta perché fatta con cognizione di causa per il bene della band e dell’arte.
Evidentemente le scelte stilistiche e musicali, dentro e fuori PFM, sia di Franco che degli altri erano diverse e si è arrivati al punto di darsi delle priorità. Franco ha ritenuto opportuno dare spazio maggiore ad attività extra-PFM e in maniera onesta verso se stesso in primis, verso i compagni di una vita e verso i fan ha deciso di prendere un’altra strada. Penso che faccia male alla musica avere una band senza collante e mordente, così come fa male vedere una band tenuta insieme a forza, guidata solo da priorità personali. In casa PFM non è la prima volta che si assiste a una separazione importante. Quando uscì Pagani ci si chiedeva cosa sarebbe successo. E PFM è andata avanti continuando a costruire la storia musicale macinando note e chilometri. Stesso discorso per il doppio addio di Premoli. Oggi ci si ritrova a fare i conti sul dopo-Mussida. Cosa penso? Che PFM e Mussida hanno ancora tanto da dire e lo faranno al meglio.
Quanto è stato importante il contributo di Mussida nella musica della PFM e nella tenuta del gruppo nel corso di questi anni?
Il contributo di Mussida è stato importante al pari di Di Cioccio e di Djivas, tutti e tre insieme da oltre 40 anni. Una carriera simbiotica, fatta di interscambi, malumori e gioie immense, come in ogni famiglia. Ogni componente ha sempre avuto una spiccata personalità e ha avuto quella caratteristica che compensava ciò che mancava agli altri. La presenza scenica di Di Cioccio e la sua travolgente energia si completava con la meticolosità e la compostezza di Djivas: secondo me Mussida era il collante tra l’anima rock di Franz e l’apparente calma di Patrick, un artista capace di emozionare il pubblico, di coinvolgerlo con le note acustiche di Peninsula o di elettrizzarlo con le scale di Alta Loma.
Con l’uscita di Mussida prevedi una battuta d’arresto o pensi che PFM proseguirà la sua avventura?
PFM ci ha abituati agli addii più o meno clamorosi che facevano sorgere l’odioso ma inesorabile interrogativo “e ora che si fa?”. Franz, Patrick e i validi musicisti che li accompagnano hanno energia da vendere e non credo vogliano certo chiudere qui la loro carriera. Sarebbe una “sconfitta per la musica”. La risposta che darebbe PFM è “Suonare Suonare”. Credo proprio che PFM andrà avanti tirando fuori una carica al di sopra di ogni aspettativa perché è nel suo DNA il far ricredere critica e pubblico. Del resto dopo l’uscita di Pagani la PFM andò avanti con la breve parentesi di Greg Bloch e poi con l’eclettico Lucio Fabbri ancora oggi presente nel gruppo.
Che tipo di chitarrista sarebbe adatto secondo te per sostituire Mussida?
Non amo il termine “sostituzione”. La sostituzione va bene per un pezzo di una parte meccanica per svolgere le stesse funzioni del pezzo che non va più. Quando si entra in un ambito umano ogni persona è insostituibile. Franco lascia un’eredità pesante come uomo e come artista: a me piace pensare più che altro che Franz e Patrick riusciranno a trovare quel collaboratore in grado di stabilire delle elevate affinità artistiche ed espressive. Che tipo sarebbe adatto? Non penso a nessuno in particolare e dipende dalla svolta che il gruppo vorrà dare, dai progetti sia dal vivo che in studio (lavori inediti pare siano già in cantiere da un po’ di tempo), ma non credo affatto che rimarremo delusi.
Veniamo al tuo libro. Condensare in cento pagine quarant’anni di Premiata e un blocco di dischi storici per la nostra musica non è semplice: che taglio hai dato al tuo saggio?
Un taglio in linea con tutti i volumi della collana, sintetico ma completo di tutto ciò che riguarda il mondo PFM. Una lunga carriera raccontata con semplicità e spontaneità, cercando di coinvolgere sia l’appassionato, sia chi non ha mai sentito parlare di PFM.
I signori dell’immaginazione è il primo libro della collana 100 pagine dedicato a un gruppo. Seguono infatti i vari Dalla, Battiato, Jannacci, Vasco, Vecchioni ecc. Cosa accomuna la PFM ai “senatori” della musica italiana affrontati nei precedenti testi?
Apparentemente nulla sembrerebbe legare il mondo dei cantautori all’anima progressive di PFM, eppure un affinità l’ho trovata in quella che è l’espressione artistica in sé. PFM racconta in musica ciò che un cantautore fa con un testo e con un arrangiamento più o meno minimale. Eppure la carriera di questi eterni ragazzi iniziò proprio come sessionmen (i migliori della piazza) per cantautori come Fabrizio De Andrè e Lucio Battisti. Con Faber in particolar modo è nata quell’amicizia e quella storica collaborazione del 1979 che aprì all’uno e agli altri le porte agli anni ’80, favorendo un nuovo modo di comporre e scrivere musica e testi. I cantautori, così come PFM, sono portatori di un messaggio, di una cultura, di una prospettiva sull’uomo e sul mondo: mentre i primi usano parole chiare e inequivocabili, PFM fa leva sulla musica e sulla capacità “immaginifica” dell’ascoltatore.
Il prog della PFM è tuttora amatissimo anche all’estero: come ti spieghi il fascino che la band esercita sugli ascoltatori stranieri?
Chi ha avuto la fortuna di vedere la band dal vivo nel corso di questi 40 anni ha visto una travolgente energia, una capacità di adattamento a diversi contesti musicali, una passione fuori dal comune che si è mantenuta costante nel tempo. Un concerto della PFM è sudore, improvvisazione, cura meticolosa degli arrangiamenti. Non per niente la band ha all’attivo circa ottomila concerti in tutto il mondo, unendo più generazioni di appassionati, un interesse da parte di critica e pubblico sempre crescente nel corso degli anni. Siamo di fronte all’unica band made in Italy che è stata in grado di scalare le blindatissime classifiche USA e di esibirsi dal vivo di fronte a quasi 500.000 persone (impensabili queste cifre in Italia, fatta eccezione per il concerto del Primo Maggio). Da un lato mi viene da pensare che “l’erba del vicino è sempre più verde”: ci sono stati (e ci sono ancora) gruppi che in Italia non hanno goduto di molta visibilità mentre all’estero sono stati più apprezzati e viceversa. Ad esempio i Genesis degli esordi hanno avuto più successo in Italia che in madrepatria. Probabilmente lo stesso discorso potrebbe valere per la PFM. Dall’altro lato penso che è stato chiaro sin dagli esordi che l’intento della band era quello di avere un respiro più internazionale che italiano: obiettivo centrato in pieno.
Nel raccontare la Premiata disco per disco, non mancano momenti in cui riveli il tuo amore per alcuni album. Uno di questi è Ulisse, un disco molto interessante sottovalutato e dimenticato, a mio avviso anche dalla stessa PFM…
Ulisse è l’album d’esordio di quella che io amo definire per ragioni anagrafiche “la mia PFM” e, come ho sottolineato, è l’album del ritorno dopo il decennio di silenzio. È stata la ripartenza con una maggiore maturità compositiva ed una crescente energia e consapevolezza di saper suonare bene. Un album fondamentale dopo l’assenza di quegli stimoli che portarono la PFM a dire “basta, prendiamoci una pausa”. In una delle tante interviste dell’epoca, subito dopo l’uscita di Ulisse e il conseguente tour, la PFM dichiarò che probabilmente era più la spesa che l’impresa nel realizzare un album del genere, ma era necessario affrontare la sfida di rimettersi al passo con i tempi. Le sonorità a tratti acustiche, a tratti puramente progressive, di Ulisse fanno da spartiacque tra i lavori precedenti (PFM?PFM! e Miss Baker) e i successivi Serendipity e Stati di Immaginazione. Non credo sia caduto nel dimenticatoio, anzi credo sia il lavoro più “intimo” che sia stato fatto, per dire a se stessi e al pubblico che il silenzio è finito e si ritorna a viaggiare. Il viaggio prosegue dal 1997 solcando i mari dell’immaginazione.
Molti snobbano la PFM anni ’80, molto più debole e poco ispirata. Tuttavia tu sei entrato meglio nei dischi dell’epoca per capirne qualcosa di più. Album da rivalutare?
Leggendo I Signori dell’Immaginazione ci si avventura in un viaggio fatto di tante tappe quanti sono i dischi. Ogni disco ha una storia a sé, è nato da condizioni e da scelte che devono essere contestualizzate in un determinato momento musicale e nella direzione che la band ha voluto imprimere. Da questo punto di vista credo che la PFM si sia espressa sempre nel modo migliore in base alle situazioni che aveva di fronte. Molto spesso (erroneamente aggiungo) si vive di paragoni e si pensa che gli anni ’80 siano inferiori qualitativamente agli anni ’70: sono epoche, stili e generi diversi che nascono da motivazioni espressive diverse. PFM ha usato gli stessi linguaggi di gruppi coevi (Banco, Orme, New Trolls) con le capacità e la forza di cui era capace. Certo… ascoltando Storia di Un Minuto e PFM?PFM! ci si chiede se si è di fronte alla stessa band ed effettivamente sì, è così. Bello o brutto che sia (i giudizi sono sempre personali) fa parte della storia della PFM e sarebbe interessante una sua rilettura in chiave più moderna. Stesso discorso farei con Miss Baker per rendere giustizia a dei lavori che non hanno mai avuto spazio nei live. Il progressive è “coraggio di cambiare” non solo i tempi in un pezzo o in un album, ma anche stile da un lavoro all’altro.
Con PFM in Classic si è chiuso un cerchio, realizzando il vecchio sogno di Franz e soci, quello di duettare con l’orchestra. Secondo te PFM ha ottenuto tutto ciò che desiderava o ci sono dei progetti ancora da sviluppare?
La risposta si potrebbe collegare a quanto già detto a proposito dell’uscita di Mussida. La PFM continua perché ha nuovi progetti. Quali che siano non lo so ancora, ma sono certo che arriveranno. L’abbandono di Mussida potrebbe portare nuovi stimoli che i fan (me compreso) potranno scoprire solo con il tempo. Mi viene in mente un verso di Andare per Andare e immagino che in questa frase stia il futuro della PFM: “Andare per andare… dove non ti perdi mai e lì si ostinano a vivere i grandi sogni miei”.