(Foto di Matteo Zanga)
Davide Van De Sfroos ha incontrato un’orchestra e da qui è nata una Synfuniia (Batoc67/Universal Music). Il nuovo lavoro del cantautore comasco contiene infatti quattordici brani storici riarrangiati da Vito Lo Re per la Bulgarian National Radio Symphony Orchestra. L’idea è stata infatti del maestro, come spiega proprio Davide Van De Sfroos nel corso di tale intervista, in cui si mostra sempre favorevolmente stupito ma soprattutto fiero di questa nuova avventura.
Com’è nato il nuovo disco Synfuniia? È un modo per tracciare un bilancio della tua carriera, seppur in un modo per te inusuale?
Davide Van De Sfroos ha incontrato un’orchestra e da qui è nata una Synfuniia (Batoc67/Universal Music). Il nuovo lavoro del cantautore comasco contiene infatti quattordici brani storici riarrangiati da Vito Lo Re per la Bulgarian National Radio Symphony Orchestra. L’idea è stata infatti del maestro, come spiega proprio Davide Van De Sfroos nel corso di tale intervista, in cui si mostra sempre favorevolmente stupito ma soprattutto fiero di questa nuova avventura.
Com’è nato il nuovo disco Synfuniia? È un modo per tracciare un bilancio della tua carriera, seppur in un modo per te inusuale?
Questa Synfuniia è nata in un modo molto autonomo con la autopresentazione del maestro Vito Lo Re, che ha proposto tutta l’operazione e ha organizzato quindi questo viaggio apparentemente assurdo per uno che canta canzoni se vogliamo “nate all’osteria”. Non è vero che le canzoni non possono essere sinfonizzate, non è vero che non possono essere arrangiate diversamente, così come non è vero che magari Beethoven, se fosse stato “armato” come Dylan con chitarra e armonica, non avrebbe fatto la nona in un modo istintivo sotto forma appunto di “ballata da osteria”. Dopo ovviamente è proprio il tratto sinfonico che fa la differenza, laddove subentrano gli altri orpelli e gli altri elementi, ma la melodia di un pezzo famoso a volte è molto semplice.
A questo punto, però, tu ti trovi i tuoi brani rivestiti di un’energia completamente diversa e il viaggio non deve snaturare i pezzi originali, ma può diventare, almeno per questa volta, un qualcosa di diverso, come un giro di danza su di un altro pianeta.
Quindi non hai trovato difficoltà nel ricantare i tuoi pezzi con l’orchestra?
No. Al contrario ho trovato comodità nello spaziare in modo diverso con il canto, togliendo magari quella rabbia, quella concitazione che c’è con i bassi e le batterie, e non perché migliora o peggiora la cosa, ma perché è proprio diverso l’approccio. È come dire: “Questa versione noi oggi la facciamo con i Metallica e il giorno dopo invece la facciamo con Morricone”. È un mood completamente diverso e proprio il cantato è diverso, perché, nota bene, tu in questo disco sei solo con l’orchestra, non hai la chitarra, la band: è una situazione estrema. E quindi lì c’è stata la consapevolezza che potevi aprirti in modo diverso.
Come hai o come avete scelto i pezzi da riarrangiare in questa chiave diversa?
Il maestro Vito Lo Re aveva già predisposto una sua visione di brani. Essendo lui quello che voleva arrangiare, si è presentato con un ventaglio di ipotesi che è stato cambiato di pochissimo e per me è stato quindi più facile, perché se ci sono brani per cui dici “questo mi ricorda di più la cosa sinfonica”, magari sbagli. La grande sorpresa è stata vedere ad esempio com’è diventata Mad Max. Non sapendo cosa avesse lui nella testa, mi sono fidato e la fiducia è stata ripagata. E proprio nei brani che non mi aspettavo ho trovato la maggior sorpresa.
Tipo?
Tipo Mad Max o El calderon de la stria che è diventato un pezzo molto forte in un certo senso con le dinamiche. Anche Yanez è stata inaspettata e poi Il dono del vento non me l’aspettavo perché è diventata molto orientaleggiante.
E invece il primo singolo non poteva non essere Ninna nanna del contrabbandiere…
Esatto, perché aveva la caratteristica di essere un brano già molto conosciuto da tutti e soprattutto con un tempo radiofonico accettabile. Altri erano troppo lunghi e non andavano bene.
L’altro pezzo che viene presentato è Il duello, perché è il più cinematografico.
Sono i due aspetti del disco, quello più suadente e quello più irruento…
Bene, adesso un paio di curiosità su altri progetti in cui sei stato coinvolto o nell’ambito dei quali sei stato protagonista in prima persona. Com’è andata l’esperienza da testimonial ufficiale della Regione Lombardia per Expo 2015?
Bene. Non l’ho vissuta dentro Expo, ma l’ho vissuta da viaggiatore/ambasciatore per Expo. Da marzo 2014 al marzo 2015 ho fatto un giro che si chiamava Expo Tour di Lombardia, dove in ogni capoluogo lombardo, al di là della mia esibizione in trio, portavo dei “musicisti a chilometro zero” e quindi per esempio a Brescia c’erano i Luf, a Pavia i Lowlands…
È stato importante far vedere alla gente che c’era musica a casa sua di artisti che magari non conosceva, il tutto fino alla serata conclusiva a Expo, dove pure ho invitato chi aveva preso parte al viaggio come Nanni Svampa, Trenincorsa, Sulutumana, Luf…
L’evento è piaciuto molto al pubblico che finché è entrato, è entrato… anche se c’era altrettanta gente che purtroppo non è riuscita a entrare.
E poi altra cosa importante: da poco hai ricevuto il Premio Maria Carta…
Sì sì. È uno dei premi che, facendo un bilancio dal punto di vista emotivo, mi hanno segnato di più, perché è arrivato in maniera del tutto inaspettata. Di solito viene consegnato a dei sardi da altri sardi, ma sapere che una terra abbia riconosciuto questo amore che tu hai per lei è stato importante e, al di là del Premio, la serata è stata molto toccante. Le mie collaborazioni con le Balentes, con i Tazenda o con Francesco Piu hanno fatto sicuramente da ponte, ma anche la mia genuina passione per questa terra loro l’hanno captata sempre fortemente e alla lunga quindi è arrivato anche il Premio Maria Carta.
A proposito di serate e di live: inizialmente per Synfuniia era prevista una sola data, quella del 30 gennaio al Teatro degli Arcimboldi di Milano, ma da poco è stato annunciato un secondo concerto sempre lì per il giorno successivo, il 31…
Il tutto doveva esaurirsi con il disco e il concerto e finiva lì, perché non puoi andare in giro in tour con l’orchestra. Poi, però, visto che ci siamo, abbiamo pensato di fare una doppia data sempre lì agli Arcimboldi.
Cosa succederà dopo non lo so, ma io credo che ognuno andrà per la sua strada, anche se abbiamo brani arrangiati in questo modo e quindi, se capita un evento, abbiamo l’orchestra e possiamo fare qualche volta un concerto del genere. O sennò qualcuno può suonare questi brani anche senza il cantato, perché son bellissimi anche così.
Quindi il cantato con questi arrangiamenti può essere visto anche come “un modo per internazionalizzare il dialetto laghée” o no?
(ride, ndr) Perché no? Può succedere di tutto!… Ma a me basta anche solo gli Arcimboldi, perché è la prima volta che faccio un esperimento del genere e, da quel poco che ho provato, anche la cosa di essere così solo ma anche così in condivisione di un palco è stimolante. Sei solissimo perché da una parte sei abbandonato completamente come uno che si butta sul paracadute della musica loro, ma dall’altra sei sorretto da quaranta e passa elementi che suonano soltanto per te.
E quindi in una situazione del genere non hai nemmeno bisogno di prendere la chitarra…
(ride, ndr) No no no! Lì proprio non puoi! Sei sul trampolino e ti devi muovere in un certo modo… altrimenti vai giù!…
A questo punto, però, tu ti trovi i tuoi brani rivestiti di un’energia completamente diversa e il viaggio non deve snaturare i pezzi originali, ma può diventare, almeno per questa volta, un qualcosa di diverso, come un giro di danza su di un altro pianeta.
Quindi non hai trovato difficoltà nel ricantare i tuoi pezzi con l’orchestra?
No. Al contrario ho trovato comodità nello spaziare in modo diverso con il canto, togliendo magari quella rabbia, quella concitazione che c’è con i bassi e le batterie, e non perché migliora o peggiora la cosa, ma perché è proprio diverso l’approccio. È come dire: “Questa versione noi oggi la facciamo con i Metallica e il giorno dopo invece la facciamo con Morricone”. È un mood completamente diverso e proprio il cantato è diverso, perché, nota bene, tu in questo disco sei solo con l’orchestra, non hai la chitarra, la band: è una situazione estrema. E quindi lì c’è stata la consapevolezza che potevi aprirti in modo diverso.
Come hai o come avete scelto i pezzi da riarrangiare in questa chiave diversa?
Il maestro Vito Lo Re aveva già predisposto una sua visione di brani. Essendo lui quello che voleva arrangiare, si è presentato con un ventaglio di ipotesi che è stato cambiato di pochissimo e per me è stato quindi più facile, perché se ci sono brani per cui dici “questo mi ricorda di più la cosa sinfonica”, magari sbagli. La grande sorpresa è stata vedere ad esempio com’è diventata Mad Max. Non sapendo cosa avesse lui nella testa, mi sono fidato e la fiducia è stata ripagata. E proprio nei brani che non mi aspettavo ho trovato la maggior sorpresa.
Tipo?
Tipo Mad Max o El calderon de la stria che è diventato un pezzo molto forte in un certo senso con le dinamiche. Anche Yanez è stata inaspettata e poi Il dono del vento non me l’aspettavo perché è diventata molto orientaleggiante.
E invece il primo singolo non poteva non essere Ninna nanna del contrabbandiere…
Esatto, perché aveva la caratteristica di essere un brano già molto conosciuto da tutti e soprattutto con un tempo radiofonico accettabile. Altri erano troppo lunghi e non andavano bene.
L’altro pezzo che viene presentato è Il duello, perché è il più cinematografico.
Sono i due aspetti del disco, quello più suadente e quello più irruento…
Bene, adesso un paio di curiosità su altri progetti in cui sei stato coinvolto o nell’ambito dei quali sei stato protagonista in prima persona. Com’è andata l’esperienza da testimonial ufficiale della Regione Lombardia per Expo 2015?
Bene. Non l’ho vissuta dentro Expo, ma l’ho vissuta da viaggiatore/ambasciatore per Expo. Da marzo 2014 al marzo 2015 ho fatto un giro che si chiamava Expo Tour di Lombardia, dove in ogni capoluogo lombardo, al di là della mia esibizione in trio, portavo dei “musicisti a chilometro zero” e quindi per esempio a Brescia c’erano i Luf, a Pavia i Lowlands…
È stato importante far vedere alla gente che c’era musica a casa sua di artisti che magari non conosceva, il tutto fino alla serata conclusiva a Expo, dove pure ho invitato chi aveva preso parte al viaggio come Nanni Svampa, Trenincorsa, Sulutumana, Luf…
L’evento è piaciuto molto al pubblico che finché è entrato, è entrato… anche se c’era altrettanta gente che purtroppo non è riuscita a entrare.
E poi altra cosa importante: da poco hai ricevuto il Premio Maria Carta…
Sì sì. È uno dei premi che, facendo un bilancio dal punto di vista emotivo, mi hanno segnato di più, perché è arrivato in maniera del tutto inaspettata. Di solito viene consegnato a dei sardi da altri sardi, ma sapere che una terra abbia riconosciuto questo amore che tu hai per lei è stato importante e, al di là del Premio, la serata è stata molto toccante. Le mie collaborazioni con le Balentes, con i Tazenda o con Francesco Piu hanno fatto sicuramente da ponte, ma anche la mia genuina passione per questa terra loro l’hanno captata sempre fortemente e alla lunga quindi è arrivato anche il Premio Maria Carta.
A proposito di serate e di live: inizialmente per Synfuniia era prevista una sola data, quella del 30 gennaio al Teatro degli Arcimboldi di Milano, ma da poco è stato annunciato un secondo concerto sempre lì per il giorno successivo, il 31…
Il tutto doveva esaurirsi con il disco e il concerto e finiva lì, perché non puoi andare in giro in tour con l’orchestra. Poi, però, visto che ci siamo, abbiamo pensato di fare una doppia data sempre lì agli Arcimboldi.
Cosa succederà dopo non lo so, ma io credo che ognuno andrà per la sua strada, anche se abbiamo brani arrangiati in questo modo e quindi, se capita un evento, abbiamo l’orchestra e possiamo fare qualche volta un concerto del genere. O sennò qualcuno può suonare questi brani anche senza il cantato, perché son bellissimi anche così.
Quindi il cantato con questi arrangiamenti può essere visto anche come “un modo per internazionalizzare il dialetto laghée” o no?
(ride, ndr) Perché no? Può succedere di tutto!… Ma a me basta anche solo gli Arcimboldi, perché è la prima volta che faccio un esperimento del genere e, da quel poco che ho provato, anche la cosa di essere così solo ma anche così in condivisione di un palco è stimolante. Sei solissimo perché da una parte sei abbandonato completamente come uno che si butta sul paracadute della musica loro, ma dall’altra sei sorretto da quaranta e passa elementi che suonano soltanto per te.
E quindi in una situazione del genere non hai nemmeno bisogno di prendere la chitarra…
(ride, ndr) No no no! Lì proprio non puoi! Sei sul trampolino e ti devi muovere in un certo modo… altrimenti vai giù!…