24/11/2015

Me, intervista a Raffaele Vasquez

Il cantautore ha da poco pubblicato il suo nuovo album, “un cd di brani ‘sempreverdi’ degno di un immaginario ascolto a 78 giri”…
Nella sua musica riprende senz’altro la canzone d’autore degli anni sessanta. Da poco ha pubblicato il suo nuovo album Me (Workin’ Label, distr. Ird). Il suo nome è Raffaele Vasquez.
 
Il cantautore ha dato vita ad un nuovo lavoro tre anni dopo Senza bastoni tra le ali e ha lavorato alla nuova fatica discografica insieme al pianista e compositore Mauro Tre. Dieci brani, di cui nove inediti e una cover di Piero Ciampi, Hanno arrestato anche l’inverno, fanno parte di questo album e costituiscono ovviamente l’argomento principale della nostra intervista.
 
Cito dal comunicato stampa relativo al tuo nuovo lavoro: «Un cd di brani ‘sempreverdi’ degno di un immaginario ascolto a 78 giri». Cioè?
Che sia degno lo spero. Spero di essere stato in grado di creare dei brani senza età e senza tempo. Questa era il mio intento. C’è comunque una collocazione temporale. I suoni utilizzati sono pescati da strumenti anni sessanta. Ma a parte la strumentazione ed il riferimento alle sonate di quegli anni, credo di aver espresso, tramite la mia voce e gli arrangiamenti, tutto il mio apprezzamento nei confronti della musica “non moderna”. I miei ascolti vanno in quel senso, per adesso. Sempreverde per me, ovviamente. Sembra un paradosso quella frase, perché anche i 78 giri hanno un periodo ben preciso e non si collocano negli anni sessanta. Ho voluto immaginare il disco girare in una balera elegante, retrò. La maggior parte dei brani ha un’anima vintage, come la mia. Non ho vissuto quell’epoca, ma mi piace, appunto, poterla immaginare.
 
Com’è cambiato il tuo modo di scrivere rispetto al disco d’esordio Senza bastoni tra le ali del 2012?
Penso al 2012 come ad un anno di forti, importanti cambiamenti interiori ma affrontati con una difficile ironia. Anche la scelta musicale è stata affrontata per dare spazio alla spensieratezza, quasi scudo e armatura di quel periodo. Senza bastoni tra le ali è un disco scritto di giorno, alla luce del sole, illuminato dalla luce di quell’anno, oscura ma apparentemente luminosa. È un disco di un uomo innamorato ma deluso dall’amore stesso.
Me è stato concepito in un interno notte, spesso illuminato da una lampada ad olio.
È un disco più incazzato, senza perifrasi ironiche. È un disco di un uomo innamorato ma non deluso dall’amore. Un uomo che riconosce la “delusione” e che la attribuisce a se stesso come unico responsabile. Insomma, di un uomo che sa stare bene anche da solo. Ci sono momenti e momenti nella vita.
 
Cosa ha dato in più alla tua musica il produttore Mauro Tre?
La mia scrittura musicale è spesso molto minimale. Molti miei brani infatti sono stati usati come supporto, come colonna sonora di film, documentari, spot pubblicitari.
Ci sono troppi vuoti, troppe cose che do per scontato e che gli ascoltatori non possono percepire dalle mie poche note, dando troppo spazio all’immaginazione. Può andar bene, ma non per me in questo momento. A volte sento la necessità di rendere più completi i quadri musicali che rappresento. Non dicono sempre tutto ciò che vorrei far arrivare.
Mauro mi ha dato quello che mi serviva per implementare questa mia odierna necessità.
Non ho vergogna di dire che ho avuto bisogno di un confronto, di un aiuto. Non so se questo sia stato un bene o un male per la riuscita del lavoro. So che in quel momento ho avuto bisogno di qualcuno all’infuori di “Me” per rappresentare al meglio Me. Ha suonato quasi tutti gli strumenti del disco. E poi è più veloce di me con i tasti, diciamola tutta (Mauro, non ho detto che sei più bravo!).
 
Parliamo di qualche brano in particolare del tuo nuovo album e partiamo proprio dal singolo, nonché title-track, Me
Apparentemente molto egoista ed autoreferenziale. Solo apparentemente. È un confronto, comunque un confronto. Me si guarda allo specchio, è un’introspezione voluta e mirata. È sofferenza per l’abbandono. Una sofferenza che però trova compiacimento nella solitudine, quella solitudine che porta al distacco, un sano distacco.
Forse mi sarebbe piaciuto dare all’album un titolo diverso: “Secondo me”. Ma spero si legga a prescindere.
Nel brano c’è la consapevolezza dell’errore. Si evince di chi è la ragione. Ma non posso fare a meno di assecondare me stesso percorrendo da solo la mia strada.
 
Poi interessante è anche la terza traccia Se buono è
Siamo usciti fuori dall’ascolto a 78 giri. Sembra ammiccare ai Radiohead, è vero? C’è una parte rock del mio essere che esce fuori con rabbia, ma sempre con un minimo di eleganza. Mi serviva quello sfogo. Qualcuno mi ha detto, come complimento, che “evoca certe cose di Morrissey e degli Smiths”. È un sacco di casino, ma buono, un buon casino fatto con ordine. Ma anche qui c’è una domanda: sarà buono questo casino?
 Mi sa proprio che qui siamo entrati abbondantemente negli anni novanta e senza troppa immaginazione.
 
Unica cover del disco è Hanno arrestato anche l’inverno di Piero Ciampi…
Era una fredda giornata invernale e mi trovavo al circolo Arci Bellezza di Milano. Mi chiesero di interpretare un brano di Ciampi e feci quello. Ho cercato di renderla, arrangiandola insieme a Mauro, più ritmata. Spero di non essere andato fuori dalle righe, non me lo perdonerei. È molto difficile affrontare cover di artisti di quel livello. Si rischia di scadere nel ridicolo. Spero proprio di non averlo fatto. È stato amore a primo ascolto per quel brano. Avrei voluto scriverlo io.
 
Quali sono gli artisti a cui ti ispiri per comporre la tua musica?
È stato proprio dopo un ascolto approfondito di Piero Ciampi che ho scritto la prima parola di una mia canzone. Mi ha dato la forza, mi ha sbloccato. La scrittura di Ciampi è molto diretta, non usa vie periferiche. E fu così, ispirato, che scrissi Vedo tutto bianco, brano di Senza bastoni tra le ali. Inizia con “oculista”.
La musica che accompagna le mie giornate è prevalentemente jazz, se molto strampalato è meglio. Mi fa pensare di più, mi fa scrivere. Keith Jarrett mi fa scrivere. Magari non si evince dal genere che propongo, ma è così.
 
Anche la donna è protagonista dei brani di questo nuovo lavoro, giusto? Un discorso che si esaurisce qui o che è sempre in divenire?
È principalmente la parte femminile di ognuno di noi che si scontra con quella maschile nella ricerca di un equilibrio.
Forse è l'”io” il tema di questo album. Ma un “io” critico, che scinde la propria parte femminile da quella maschile. Una ricerca di equilibrio tra bene e male. Che non vede il bene come donna e che non lo riconosce nemmeno come uomo. Cerca una figura di donna inusuale, spogliata di tutte le convenzioni, con la quale ci si incontra e ci si scontra e dalla quale ci si allontana e poi e ci si lascia riconquistare. Una figura femminile “specchio” sulla quale si riflette non solo l’animo di un “maschio” ma quello dell’intera umanità con tutte le sue convinzioni. Quindi un invito alla riflessione per una trasformazione. Propria trasformazione. La donna è un pretesto, in Giù nella via la raffiguro come una torre appartenente ad una città, alla mia città, all’interno della quale si libera, finalmente, e trova la capacità di essere vera dama.

 
 

 

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