Con il suo pianoforte cerca sempre di fare “qualcosa di diverso”, non collocandosi precisamente in uno o più generi musicali. E allora forse per Stefano Bollani questa era proprio l’occasione giusta per reinterpretare un artista davvero “diverso” come Frank Zappa.
“È un disco live dove ci sono alcuni concerti del 2011” – dice subito il pianista all’inizio dell’incontro per presentare il suo nuovo lavoro Sheik Yer Zappa. – “È un tour che ho organizzato col mio agente e abbiamo pensato di formare un gruppo nuovo. Io conoscevo solo il bassista molto bene e il vibrafonista me lo sono andato a cercare su YouTube. In genere mi innamoro dei musicisti e non degli strumenti, ma stavolta volevo uno strumento ben preciso come il vibrafono, perché mi piaceva il fatto che anche Zappa l’avesse usato spesso nei suoi dischi. I musicisti non sono veri fan di Zappa, a parte Jason (il già citato vibrafonista Jason Adasiewicz, ndr) e quindi non conoscevano i brani originali e a maggior ragione si sono divertiti”. Sulla scelta di chi ha suonato nei live (e quindi anche nell’album), poi, c’è un altro particolare che non va trascurato: “Non volevo un chitarrista nel gruppo. Mi sembrava un ruolo infame per chiunque, anche se fosse stato, che ne so, Pat Metheny”…
Come accennato prima, il titolo del disco già uscito in altri cinque paesi europei e che ben presto sarà pubblicato anche in Francia, Giappone e altre parti del mondo è Sheik Yer Zappa: “(ride, ndr) Del titolo sono abbastanza pentito perché è complicato da spiegare, ma è un gioco di parole! Zappa scherzava sulla canzone Shake Your Booty (scritta e pubblicata da KC and the Sunshine Band nel 1976, ndr), e aveva chiamato un suo album Sheik Yerbouti. In copertina c’era lui vestito da sceicco arabo e io ho rigirato il tutto, intitolando il mio album Sheik Yer Zappa: letteralmente significa ‘Sceicco Tuo Zappa’, ma per me vuol dire ‘Shakera Il Tuo Zappa’, nel senso di ‘prendi la sua musica e fanne quello che vuoi'”.
C’è però qualcosa del chitarrista nel disco? “Io volevo salvare lo spirito di Zappa, facendo qualsiasi cosa, visto che lui è stato l’esempio vivente di quest’idea. L’album è completamente (o quasi) improvvisato, con alcuni spunti dai suoi pezzi per andare in altre direzioni e non fare un monumento, visto che i monumenti vengono già fatti dalle tribute band che ripropongono la sua musica, così come lui l’aveva pensata. Noi facciamo tutta un’altra cosa e ci sono voluti due anni per far sì che diventasse un disco. Poi ho fatto quello che faceva Zappa coi suoi live, anche proprio prendendo i pezzi da concerti diversi e ritagliando il tutto per creare una scaletta ideale”.
Se Frank Zappa fosse qui, quale brano del tuo disco gli faresti ascoltare? “Peaches En Regalia perché si allontana molto dalla sua versione ed è vistosamente usata come un volano per andare in un’altra direzione. Mi immagino che il personaggio capirebbe, perché prendeva lui stesso spunto da altro, per poi prendere un’altra strada.
Potrebbe anche apprezzare questo spirito d’improvvisazione. Lui non odiava l’improvvisazione, ma non la voleva nella propria musica. Anche per quel motivo si è creato un sistema di vita rigoroso per uscire fuori da tante logiche, un po’ come ha fatto Robert Fripp… Credo che questo sia un suo modo di vivere che io rispetto molto. È uno che ha cercato di darsi delle regole”…
Regole che hai provato a far tue? “Beh, io da ragazzino gli ho vistosamente rubato quell’idea di fregarsene dei generi musicali. Gli ho anche vistosamente rubato il fatto di fare un concerto, avere dei fan, farsi pagare per fare concerti, dare interviste e più in generale non essere davvero ‘alternativo’, perché in realtà ‘lui ci stava dentro’. Il suo nome è riconosciuto. Non tutti avevano capito cosa stesse facendo, ma era comunque già un nome. Questo lo rendeva simpatico rispetto a quelli che dicevano di combattere realmente il sistema. Il mito del rock che diventa leggendario con tutto il suo stile di vita mi insospettiva, invece Zappa e Fripp li vedevo diversi e molto sinceri”…
Arrivare a fare un disco su un artista così importante e “difficile”, per certi versi, non è stato così semplice: “Sapevo che tendenzialmente la famiglia Zappa tende a proteggere la musica di Frank, perché vogliono che venga riprodotta così com’è” – racconta Bollani. – “Se fossi stato obbligato a fare la musica uguale, non avrei fatto il disco. Non c’è nessuno meglio di Zappa per riprodurre quella musica. Io e gli altri quattro musicisti coinvolti nel live, al contrario dei musicisti di Zappa, eravamo liberi di suonare come volevamo… Non c’era un ordine di assoli, raramente c’erano finali prestabiliti… Si sapeva il primo pezzo e dopo si andava avanti senza sapere bene quale fosse la destinazione di arrivo”.
I live dell’album risalgono comunque al 2011 (mentre a luglio dell’anno prossimo inizierà il tour) e c’è voluto comunque del tempo prima di pubblicare il disco: “Non so perché ho aspettato tanto. Sicuramente avevo paura che la fondazione Zappa non fosse d’accordo.
Invece questo è il primo disco autorizzato dalla famiglia Zappa in cui Zappa non è suonato nota per nota. Nella fondazione c’è un musicista molto giovane che controlla che la musica sia suonata con le stesse note composte originariamente da Frank Zappa.
Avevo paura anche del titolo… e poi alla fine hanno approvato anche le note di copertina”…
“È un disco live dove ci sono alcuni concerti del 2011” – dice subito il pianista all’inizio dell’incontro per presentare il suo nuovo lavoro Sheik Yer Zappa. – “È un tour che ho organizzato col mio agente e abbiamo pensato di formare un gruppo nuovo. Io conoscevo solo il bassista molto bene e il vibrafonista me lo sono andato a cercare su YouTube. In genere mi innamoro dei musicisti e non degli strumenti, ma stavolta volevo uno strumento ben preciso come il vibrafono, perché mi piaceva il fatto che anche Zappa l’avesse usato spesso nei suoi dischi. I musicisti non sono veri fan di Zappa, a parte Jason (il già citato vibrafonista Jason Adasiewicz, ndr) e quindi non conoscevano i brani originali e a maggior ragione si sono divertiti”. Sulla scelta di chi ha suonato nei live (e quindi anche nell’album), poi, c’è un altro particolare che non va trascurato: “Non volevo un chitarrista nel gruppo. Mi sembrava un ruolo infame per chiunque, anche se fosse stato, che ne so, Pat Metheny”…
Come accennato prima, il titolo del disco già uscito in altri cinque paesi europei e che ben presto sarà pubblicato anche in Francia, Giappone e altre parti del mondo è Sheik Yer Zappa: “(ride, ndr) Del titolo sono abbastanza pentito perché è complicato da spiegare, ma è un gioco di parole! Zappa scherzava sulla canzone Shake Your Booty (scritta e pubblicata da KC and the Sunshine Band nel 1976, ndr), e aveva chiamato un suo album Sheik Yerbouti. In copertina c’era lui vestito da sceicco arabo e io ho rigirato il tutto, intitolando il mio album Sheik Yer Zappa: letteralmente significa ‘Sceicco Tuo Zappa’, ma per me vuol dire ‘Shakera Il Tuo Zappa’, nel senso di ‘prendi la sua musica e fanne quello che vuoi'”.
C’è però qualcosa del chitarrista nel disco? “Io volevo salvare lo spirito di Zappa, facendo qualsiasi cosa, visto che lui è stato l’esempio vivente di quest’idea. L’album è completamente (o quasi) improvvisato, con alcuni spunti dai suoi pezzi per andare in altre direzioni e non fare un monumento, visto che i monumenti vengono già fatti dalle tribute band che ripropongono la sua musica, così come lui l’aveva pensata. Noi facciamo tutta un’altra cosa e ci sono voluti due anni per far sì che diventasse un disco. Poi ho fatto quello che faceva Zappa coi suoi live, anche proprio prendendo i pezzi da concerti diversi e ritagliando il tutto per creare una scaletta ideale”.
Se Frank Zappa fosse qui, quale brano del tuo disco gli faresti ascoltare? “Peaches En Regalia perché si allontana molto dalla sua versione ed è vistosamente usata come un volano per andare in un’altra direzione. Mi immagino che il personaggio capirebbe, perché prendeva lui stesso spunto da altro, per poi prendere un’altra strada.
Potrebbe anche apprezzare questo spirito d’improvvisazione. Lui non odiava l’improvvisazione, ma non la voleva nella propria musica. Anche per quel motivo si è creato un sistema di vita rigoroso per uscire fuori da tante logiche, un po’ come ha fatto Robert Fripp… Credo che questo sia un suo modo di vivere che io rispetto molto. È uno che ha cercato di darsi delle regole”…
Regole che hai provato a far tue? “Beh, io da ragazzino gli ho vistosamente rubato quell’idea di fregarsene dei generi musicali. Gli ho anche vistosamente rubato il fatto di fare un concerto, avere dei fan, farsi pagare per fare concerti, dare interviste e più in generale non essere davvero ‘alternativo’, perché in realtà ‘lui ci stava dentro’. Il suo nome è riconosciuto. Non tutti avevano capito cosa stesse facendo, ma era comunque già un nome. Questo lo rendeva simpatico rispetto a quelli che dicevano di combattere realmente il sistema. Il mito del rock che diventa leggendario con tutto il suo stile di vita mi insospettiva, invece Zappa e Fripp li vedevo diversi e molto sinceri”…
Arrivare a fare un disco su un artista così importante e “difficile”, per certi versi, non è stato così semplice: “Sapevo che tendenzialmente la famiglia Zappa tende a proteggere la musica di Frank, perché vogliono che venga riprodotta così com’è” – racconta Bollani. – “Se fossi stato obbligato a fare la musica uguale, non avrei fatto il disco. Non c’è nessuno meglio di Zappa per riprodurre quella musica. Io e gli altri quattro musicisti coinvolti nel live, al contrario dei musicisti di Zappa, eravamo liberi di suonare come volevamo… Non c’era un ordine di assoli, raramente c’erano finali prestabiliti… Si sapeva il primo pezzo e dopo si andava avanti senza sapere bene quale fosse la destinazione di arrivo”.
I live dell’album risalgono comunque al 2011 (mentre a luglio dell’anno prossimo inizierà il tour) e c’è voluto comunque del tempo prima di pubblicare il disco: “Non so perché ho aspettato tanto. Sicuramente avevo paura che la fondazione Zappa non fosse d’accordo.
Invece questo è il primo disco autorizzato dalla famiglia Zappa in cui Zappa non è suonato nota per nota. Nella fondazione c’è un musicista molto giovane che controlla che la musica sia suonata con le stesse note composte originariamente da Frank Zappa.
Avevo paura anche del titolo… e poi alla fine hanno approvato anche le note di copertina”…