20/05/2015

The Beards, Spaghetti Americana

Nell’attesa del nuovo album che vedrà la partecipazione di Jim Diamond, ecco l’antologia dei due artisti veneti che amano la musica americana delle radici
Loro sono due veneti che amano la musica d’oltreoceano. Il loro sound infatti abbraccia principalmente blues, country, folk e rock, come dimostrano i cinque album già all’attivo.
 
Stavolta, a quasi dieci anni dalla pubblicazione del primo disco, i Beards si presentano con Spaghetti Americana, una raccolta dei loro pezzi più importanti, già ampiamente apprezzati dalla stampa specializzata degli Stati Uniti e dell’Australia, oltre che in tantissimi concerti tra gli States e l’Europa.
 
Emanuele Marchiori e Massimiliano Magro sono inoltre già impegnati in studio per la realizzazione del nuovo album Freak Town, che vedrà la partecipazione di Jim Diamond, musicista di Detroit, proprietario di Ghetto Recorders e produttore di molte band, tra cui soprattutto i primi White Stripes.
 
Spaghetti Americana è il nome scelto dall’etichetta America Recordings per la vostra antologia e per descrivere al meglio e in maniera sintetica la vostra musica. Ma voi Beards come descrivereste la vostra musica e il vostro percorso fino a qui?
La nostra musica è un percorso. Siamo cresciuti artisticamente assieme e poi abbiamo composto, registrato, prodotto e mixato anche assieme alle persone che hanno preso parte alla nostra storia. Usando un’espressione americana imparata da Professor Louie “we are putting it together”, ovvero “lo stiamo mettendo assieme”. Il nostro suono cioè è qualcosa che stiamo ancora costruendo dal “cassetto degli attrezzi” e oggi possiamo pescare una serie di soluzioni musicali sviluppate in passato. La nostra musica coincide con un laboratorio musicale, una Chess Records contaminata da un caleidoscopio di moltissime influenze, dai Black Sabbath, The Band, Johnny Cash, Tom Waits, Bob Dylan, arrivando a Franco Battiato.
 
È stato difficile scegliere i pezzi presenti all’interno di Spaghetti Americana?
Per niente… sono stati scelti dall’etichetta!
 
Bene. Avete cinque album all’attivo e tra questi gli ultimi due, Muskito ed El Brigante, sono rispettivamente colonna sonora dell’omonimo film australiano e primo vostro album in italiano. Due semplici parentesi o altre due sfaccettature dei Beards?
Sono due sfaccettature, non c’è disco che abbiamo fatto che non rispetti un canovaccio.
 
Come procedono i lavori per il nuovo album con Jim Diamond? Dobbiamo aspettarci qualcosa di nuovo dalla vostra musica? Ci saranno altri artisti che parteciperanno alla realizzazione del vostro nuovo disco?
L’artista di punta che parteciperà all’album è lo stesso Jim che ha già registrato le parti di basso. Per il resto sarà un disco che si avvicina come concetto ai primi album che abbiamo registrato, praticamente un concentrato di The Beards con tinte molto scure.
 
Come avete conosciuto Jim Diamond?
Lui ci ha conosciuto attraverso i nostri dischi, poi Julien Poulson, amico in comune, ha fatto da tramite. La prima volta ci siamo incontrati per discutere del progetto in una osteria (i Kankari a Mira, in provincia di Venezia) dove Jim si è inebriato di vino, trippa e fegato alla veneziana! 
 
A proposito sempre di collaborazioni, cosa c’è ancora oggi nella vostra musica dopo l’esperienza con il compianto Levon Helm che suonò con voi nel vostro primo tour americano del 2006? E invece cosa rimane ancora adesso delle collaborazioni con Professor Louie e Julien Poulson?
Ormai fanno parte del nostro DNA musicale e umano. Si impara a livello cerebrale, ma si acquisisce molto col cuore, vivendo e mettendosi in gioco con questi esseri umani davvero rari. Tante cose che facciamo ora in maniera quasi naturale sono frutto di questi incontri. Levon, che non c’è più, è una fonte inesauribile di ispirazione per noi, nella quotidianità.
 
Tra i tanti artisti che hanno impreziosito la vostra musica l’unico italiano è stato Alessandro Grazian in El Brigante, vero? Com’è andata con lui?
Alessandro Grazian è un caro amico ed è un onore quando sale nel galeone dei pirati di The Beards! A tal proposito è stato in tour come membro ad honorem di The Beards nel nostro tour francese nel 2009. Alessandro è un artista sensibile, creativo e presto meriterà il giusto riconoscimento.
Andrea Garbo, un altro splendido artista (chitarrista di Emma Tricca, Jennifer Gentle e attualmente dei Colorama di Carwyn Ellis), ha spesso preso parte alla ciurma di The Beards e anche in questo caso è un grande piacere collaborare con lui!
 
Che musica ascoltavate mentre stavate diventando ufficialmente i Beards e che musica ascoltate oggi?
Ascoltiamo di tutto, non si sa mai da dove può arrivare l’ispirazione, non abbiamo particolari pregiudizi. C’è una notevole differenza tra cosa uno ascolta e cosa uno suona, anche perché è più facile individuare elementi di blues arcaico in una canzone pop che nel blues moderno.
 
C’è differenza in come viene accolta la vostra musica in Italia e negli Stati Uniti, vero?
È una questione di “mercato”. In USA c’è domanda di musica e ci sono vari livelli di successo discografico. In Italia la musica viene concepita come un prodotto da imporre sul mercato, brani ed artisti vanno studiati a tavolino. Questo atteggiamento esiste anche in ambito indie e reprime le vere nuove idee, come per i surgelati si tenta di copiare il prodotto già presente nel bancone frigo. A livello di major queste dinamiche danno esiti che possono essere fuorvianti perché si tiene conto solo delle volte che va bene, ma spesso è un metodo fallimentare.  La nostra musica è accolta benissimo in Italia, ma il nostro seguito non fa “caciara”!
 
In Italia siete “penalizzati” dal fatto di cantare principalmente in inglese o più in generale nel nostro Paese c’è meno attenzione rispetto alle nuove proposte musicali?
In Italia siamo grandi importatori di musica anglosassone, ma non sappiamo riconoscerne gli elementi che ne determinano il successo. Esempio: se ascolti due anni prima un brano indipendente su Radio2 e due anni dopo te lo ritrovi in classifica, a quel punto diventa un brano pop! Ci limitiamo ad analisi molto superficiali e quando trasferiamo i dogmi che pensiamo di aver recepito non facciamo altro che normalizzare, normare ed edulcorare. Ci dimentichiamo che anche lo stesso Modugno, che conquistò il mondo con Volare, non fece una canzone standard per l’epoca. Concludendo, non si tratta di un problema di lingua, si tratta di eminenze grigie arroccate nelle loro posizioni, chiuse nelle varie stanze dei bottoni. L’Italia può sembrare illogica, se non si tiene presente che l’obiettivo quasi sempre non è il risultato, ma il mantenimento delle gerarchie, a qualsiasi livello.
 
Ultima domanda: che obiettivo intendono raggiungere oggi i Beards a quasi dieci anni di distanza dal loro primo disco?
Realizzare un disco con il quale possiamo identificarci davvero. Forse Freak Town
 
 

 

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