(Atraz & Emilia Photography)
Germi – Milano, 20 settembre – ore 17: soundcheck finito per il nuovo gruppo capitanato da Georgeanne Kalweit, cantante di Minneapolis ma che vive ormai da tanti anni in Italia. Già nota per i suoi trascorsi con Delta V e Kalweit and the Spokes, vanta anche collaborazioni importanti come ad esempio quelle con Vinicio Capossela e Calibro 35. Questa sera, però, Georgeanne sarà di scena col suo nuovo progetto, The Kalweit Project. La band, composta insieme a Giammarco Magno (basso), Atraz (batteria) e Alessandro Dell’Anna (chitarra elettrica) ha pubblicato nel corso dell’anno il suo primo ep Swiss Bikes, un lavoro composto da cinque brani in cui si parla della superficialità del mondo in cui viviamo, delle insicurezze che subentrano nelle persone che si sentono protagoniste all’interno dei social media, di fake news e di altre tematiche molto attuali.
Tutto il resto ce lo ha raccontato Georgeanne Kalweit nella nostra intervista.
Swiss Bikes: un titolo molto “autobiografico”, visto che parli di biciclette realmente appartenute a te e a tuo marito, vero?
Sì, Swiss Bikes è un titolo legato al periodo in cui mi sono sposata, cinque anni fa. Avevamo queste biciclette, una che proveniva da Basilea ed era del papà di mio marito Piero, l’altra che proveniva da Berna ed era della madre di una mia amica. Erano della stessa marca, uguali, e le abbiamo usate per girare in Salento, dove ci siamo trasferiti dopo tanti anni in cui abbiamo vissuto al nord. Ormai viviamo lì da otto anni. Il trasloco, il cambiamento, la nostra nuova vita: sempre in coppia come queste bici svizzere che erano sempre legate tra loro quando le parcheggiavamo e che purtroppo ci hanno rubato il giorno prima del matrimonio.
Hai scritto prima tu i testi e poi Giammarco la musica?
Questa volta avevo già i testi di tutti i brani e poi inizialmente ci suonavo su con l’organo, ma erano solo piccoli spunti, perché poi è nato tutto in studio con un altro chitarrista, che era nel gruppo prima di Alessandro e che adesso vive a Londra, e soprattutto con Giammarco che poi ha scritto proprio le musiche definitive.
Ci avete messo tanto?
Beh, abbiamo fatto con calma, anche perché sono cambiati alcuni musicisti in questi anni, ma abbiamo pre-prodotto i brani di Swiss Bikes nel 2016 con Giovanni Ferrario che per l’occasione ci ha raggiunto in Puglia. Avevamo dieci pezzi, ma di questi siamo riusciti a registrarne solo cinque per bene qui a Milano al Maitai Studio da Gianluca Mancini, dove stiamo anche dormendo (ride, ndr)! Poi sia Giovanni che Gianluca ci hanno accompagnato anche nelle registrazioni. Abbiamo pubblicato senza etichetta e quindi anche lì c’è stata una certa lentezza, perché abbiamo aspettato finché non abbiamo avuto i mezzi. L’album è autoprodotto e autofinanziato, ma volevamo fare comunque le cose per bene.
Adesso, oltre ai live in Italia, c’è sempre la speranza di esportare la nostra musica, magari con qualche showcase all’estero.
E tu invece dalla tua Minneapolis cos’hai importato in Italia musicalmente parlando?
C’è qualcosa tipo degli Hüsker Dü o delle Babes in Toyland. Diciamo che a 21 anni il mio imprinting prima di venire in Italia veniva da quella scena lì. Poi Replacements, Soul Of Asylum e quindi tutta questa roba alternative rock / post-punk, ma anche qualcosa di molto diverso come i Jayhawks.
Bene. Una curiosità e poi torniamo alla musica: stai continuando a dipingere e a fare mostre con i tuoi quadri?
Io e mio marito abbiamo restaurato una casa, poi c’è stato il trasloco e, tra una cosa e l’altra, sono due anni che non dipingo, però c’è una serie iniziata qualche anno fa che non ho ancora fatto vedere a nessuno e che vorrei completare per fare una bella mostra: sono alcune donne che si fanno i selfie e che si fanno vedere con un oggetto che le rappresenta.
Prima allora pubblicherete un album come Kalweit Project dopo questo EP?
Penso di sì. Sto già lavorando su nuovi pezzi e vogliamo fare un album. Adesso ci troviamo molto bene noi quattro.
E altri tuoi progetti sempre musicali?
Ho fatto tante ospitate recentemente. Ho scritto un brano per il nuovo album dei Dining Rooms che uscirà prossimamente e anche due brani per Max Zanotti, di cui uno è un duetto con me che dovrebbe uscire a novembre. Poi mi piacerebbe girare con i Dining Rooms anche perché hanno un bel repertorio e alla lunga mi piacerebbe esplorare cose più minimali, perché a volte vengo coperta dalla musica e io lotto per uscire (ride, ndr)!
Beh, allora è il momento di pubblicare anche qualcosa solo come Georgeanne Kalweit?
Non so, siccome non suono niente, ho sempre pensato che il solista debba essere più autonomo e quindi ho sempre bisogno dei musicisti. Poi mi piace l’idea della band, però se un giorno qualcuno mi proponesse di produrmi e darmi una mano, perché no? Credo che sarebbe ora alla mia età (ride, ndr)! No beh, come dire, faccio questo da tanti anni, però finché ho voce e cose da dire voglio continuare a farlo con la band.
Germi – Milano, 20 settembre – ore 17: soundcheck finito per il nuovo gruppo capitanato da Georgeanne Kalweit, cantante di Minneapolis ma che vive ormai da tanti anni in Italia. Già nota per i suoi trascorsi con Delta V e Kalweit and the Spokes, vanta anche collaborazioni importanti come ad esempio quelle con Vinicio Capossela e Calibro 35. Questa sera, però, Georgeanne sarà di scena col suo nuovo progetto, The Kalweit Project. La band, composta insieme a Giammarco Magno (basso), Atraz (batteria) e Alessandro Dell’Anna (chitarra elettrica) ha pubblicato nel corso dell’anno il suo primo ep Swiss Bikes, un lavoro composto da cinque brani in cui si parla della superficialità del mondo in cui viviamo, delle insicurezze che subentrano nelle persone che si sentono protagoniste all’interno dei social media, di fake news e di altre tematiche molto attuali.
Tutto il resto ce lo ha raccontato Georgeanne Kalweit nella nostra intervista.
Swiss Bikes: un titolo molto “autobiografico”, visto che parli di biciclette realmente appartenute a te e a tuo marito, vero?
Sì, Swiss Bikes è un titolo legato al periodo in cui mi sono sposata, cinque anni fa. Avevamo queste biciclette, una che proveniva da Basilea ed era del papà di mio marito Piero, l’altra che proveniva da Berna ed era della madre di una mia amica. Erano della stessa marca, uguali, e le abbiamo usate per girare in Salento, dove ci siamo trasferiti dopo tanti anni in cui abbiamo vissuto al nord. Ormai viviamo lì da otto anni. Il trasloco, il cambiamento, la nostra nuova vita: sempre in coppia come queste bici svizzere che erano sempre legate tra loro quando le parcheggiavamo e che purtroppo ci hanno rubato il giorno prima del matrimonio.
Hai scritto prima tu i testi e poi Giammarco la musica?
Questa volta avevo già i testi di tutti i brani e poi inizialmente ci suonavo su con l’organo, ma erano solo piccoli spunti, perché poi è nato tutto in studio con un altro chitarrista, che era nel gruppo prima di Alessandro e che adesso vive a Londra, e soprattutto con Giammarco che poi ha scritto proprio le musiche definitive.
Ci avete messo tanto?
Beh, abbiamo fatto con calma, anche perché sono cambiati alcuni musicisti in questi anni, ma abbiamo pre-prodotto i brani di Swiss Bikes nel 2016 con Giovanni Ferrario che per l’occasione ci ha raggiunto in Puglia. Avevamo dieci pezzi, ma di questi siamo riusciti a registrarne solo cinque per bene qui a Milano al Maitai Studio da Gianluca Mancini, dove stiamo anche dormendo (ride, ndr)! Poi sia Giovanni che Gianluca ci hanno accompagnato anche nelle registrazioni. Abbiamo pubblicato senza etichetta e quindi anche lì c’è stata una certa lentezza, perché abbiamo aspettato finché non abbiamo avuto i mezzi. L’album è autoprodotto e autofinanziato, ma volevamo fare comunque le cose per bene.
Adesso, oltre ai live in Italia, c’è sempre la speranza di esportare la nostra musica, magari con qualche showcase all’estero.
E tu invece dalla tua Minneapolis cos’hai importato in Italia musicalmente parlando?
C’è qualcosa tipo degli Hüsker Dü o delle Babes in Toyland. Diciamo che a 21 anni il mio imprinting prima di venire in Italia veniva da quella scena lì. Poi Replacements, Soul Of Asylum e quindi tutta questa roba alternative rock / post-punk, ma anche qualcosa di molto diverso come i Jayhawks.
Bene. Una curiosità e poi torniamo alla musica: stai continuando a dipingere e a fare mostre con i tuoi quadri?
Io e mio marito abbiamo restaurato una casa, poi c’è stato il trasloco e, tra una cosa e l’altra, sono due anni che non dipingo, però c’è una serie iniziata qualche anno fa che non ho ancora fatto vedere a nessuno e che vorrei completare per fare una bella mostra: sono alcune donne che si fanno i selfie e che si fanno vedere con un oggetto che le rappresenta.
Prima allora pubblicherete un album come Kalweit Project dopo questo EP?
Penso di sì. Sto già lavorando su nuovi pezzi e vogliamo fare un album. Adesso ci troviamo molto bene noi quattro.
E altri tuoi progetti sempre musicali?
Ho fatto tante ospitate recentemente. Ho scritto un brano per il nuovo album dei Dining Rooms che uscirà prossimamente e anche due brani per Max Zanotti, di cui uno è un duetto con me che dovrebbe uscire a novembre. Poi mi piacerebbe girare con i Dining Rooms anche perché hanno un bel repertorio e alla lunga mi piacerebbe esplorare cose più minimali, perché a volte vengo coperta dalla musica e io lotto per uscire (ride, ndr)!
Beh, allora è il momento di pubblicare anche qualcosa solo come Georgeanne Kalweit?
Non so, siccome non suono niente, ho sempre pensato che il solista debba essere più autonomo e quindi ho sempre bisogno dei musicisti. Poi mi piace l’idea della band, però se un giorno qualcuno mi proponesse di produrmi e darmi una mano, perché no? Credo che sarebbe ora alla mia età (ride, ndr)! No beh, come dire, faccio questo da tanti anni, però finché ho voce e cose da dire voglio continuare a farlo con la band.