22/12/2020

“Tilt” – Intervista a Pino Marino

Pino Marino torna con un nuovo album per raccontare il “Tilt” che stiamo vivendo. Tosca, Ginevra Di Marco e l’attore e regista Vinicio Marchioni sono solo alcuni tra gli ospiti del nuovo lavoro del cantautore
(Foto di Giovanni Canitano)
 
Tilt è il nuovo album di Pino Marino uscito a fine ottobre, a cinque anni di distanza dal suo disco precedente, Capolavoro.
Anticipato da Calcutta, singolo accompagnato da un video diretto dal regista Marco Tullio Messina, Tilt è coprodotto da O’Disc e Pineta Produzioni ed è stato arrangiato da Fabrizio Fratepietro, batterista, amico e storico collaboratore di Pino Marino, e dallo stesso cantautore. Il bassista Pino Pecorelli completa poi il trio, che peraltro aveva realizzato anche Dispari, album d’esordio di Pino Marino pubblicato nel 2000.
 
Il cantautore ha composto i dieci brani di questo nuovo disco, all’interno del quale sono presenti anche alcuni ospiti: Tosca, che canta Roma bella, canzone scritta per lei in questa occasione, Ginevra Di Marco, che duetta con Pino Marino in Maddalena, e Vinicio Marchioni, l’attore e regista che a suo modo interpreta tutti i Tilt apparsi in queste canzoni nella traccia di chiusura che porta il nome dell’album.
Altre presenze prestigiose sono quelle di Roberto Angelini alla chitarra e Giovanna Famulari al violoncello. Fernando PantiniVincenzo Vicaro e Agnese Valle sono poi gli altri musicisti che hanno lavorato in studio.
 
Tante sono le tappe della carriera di Pino Marino e vale la pena citarne alcune tra le più significative: è co-fondatore dell’Associazione Apollo 11 e de L’Orchestra di Piazza Vittorio, ha scritto brani, tra gli altri, per Niccolò Fabi e Nicki Nicolai & Stefano Di Battista Jazz Quartet, ha collaborato in varie produzioni di spettacoli ed eventi culturali con Daniele Silvestri, Manuel Agnelli e tanti altri colleghi della scena nazionale… prima di tornare con questo suo nuovo album solista, del quale ci ha parlato in questa intervista che ci ha gentilmente concesso.
 
Tilt: un titolo col quale hai voluto descrivere l’attualità e i tempi che stiamo vivendo?
Sì, Tilt è proprio il termine più corto che ho trovato per il titolo del disco, avendo la necessità di condensare il più possibile tutto, tant’è vero che un mio album per la prima volta non ha il libretto, non ha mie foto ed è tutto concentrato sul concetto e sugli ospiti che insieme a me lo hanno realizzato.
Tilt è esattamente il termine che rappresenta lo stato generale in cui ci troviamo. Stiamo affrontando tantissimi tilt, tutti quanti contemporaneamente in corso: tilt economici, relazionali, comportamentali, dell’informazione, della comunicazione, della politica… sono tutti quanti ammassati nello stesso punto nevralgico, perché i tilt non vengono paracadutati dal nulla; i tilt hanno un percorso di torti commessi e di anomalie che, sommate, portano a fine corsa. Ci troviamo a dover fare i conti con diversi tilt epocali in questo momento. L’album li racconta e racconta soprattutto quelli umani.
 
Molto particolare anche la copertina. Come mai hai scelto proprio questa foto?
Perché anche dalla copertina pretendevo la possibilità di rappresentare in una sola immagine il concetto. Lo scatto è di un fotografo palestinese, Emad Nassar, ed è stato realizzato nel 2015 in un quartiere specifico di Gaza che è stato completamente distrutto: in questo appartamento, dove non ci sono più le pareti e che come sfondo ha le macerie, l’unico elemento rimasto integro che si vede al centro della foto è questa vasca da bagno; poi si può osservare questo signore con le due bambine (una è la figlia, l’altra è la nipote) e insieme ridono, giocano e scherzano con lui mentre si fanno il bagno. In questa immagine c’è esattamente quello che intendo per tilt, ovvero l’inevitabile consapevolezza del disfacimento circostante che non può essere negata, perché le soluzioni al tilt le troviamo soltanto quando siamo consapevoli delle cause che l’hanno generato. Ma nel cuore esatto di ogni tilt, c’è la soluzione per venirne fuori sempre e, in quel caso, al centro dello scatto, c’è proprio la soluzione per uscirne. Emad Nassar, concedendomi questa foto, è diventato l’ospite internazionale di questo disco. E di fatto la copertina descrive ciò che poi accade anche nelle canzoni: in tutti i brani dell’album si genera a un certo punto un tilt e all’interno della stessa canzone c’è il modo per uscirne fuori e spostarsi, immaginando una soluzione, come fanno quelle due bambine.
 
Soluzione in ogni brano su cui provi a riflettere peraltro proprio con l’ultimo pezzo che dà il titolo all’album, quello in cui è presente Vinicio Marchioni.
Sì, la decima traccia altro non è che il condensato, la raccolta di tutte le frasi che nelle nove tracce precedenti hanno generato il tilt, ovvero la consapevolezza di cosa si fosse interrotto. Le ho prese tutt’e nove e le ho rimescolate, riscrivendo un testo a sé stante che poi ho affidato a Vinicio Marchioni, perché ridesse una vita indipendente a quelle parole leggendole in quel modo e chiudendo così l’album con quell’unica traccia che di fatto dà il titolo a tutto il disco.
 
Tra i brani di Tilt ce n’è anche uno che si intitola La mia velocità. Alla fine del pezzo dici: “L’uomo più lento del mondo ha spaventato il mondo con la velocità”. Cosa intendi con questa frase? Anche “l’uomo più lento del mondo” si è visto costretto a velocizzare i suoi ritmi, come “impone” l’epoca in cui viviamo, andando quindi anche lui in tilt?
Quella canzone rappresenta, e forse è l’unica dell’album, il mio tilt personale. Io passo per essere “l’uomo più lento del mondo” (ride, ndr). Questa è la percezione che hanno di me gli amici, i collaboratori e le persone a me strettamente legate. È una questione molto divertente, perché hanno tutti tantissimi esempi per dichiararmi legittimamente tale, però in realtà tutto il disco, e lo dice anche Tosca in Roma bella, è tutta strada fatta, tutta strada che ognuno fa alla sua velocità, perché la velocità non è uguale per tutti. E anche “l’uomo più lento del mondo” paradossalmente può essere rapidissimo, scegliendo in maniera veloce, in una lucidità estemporanea di inquadrare la crisi e di risolverla con un gesto molto veloce. È un concetto relativo quello della lentezza: viviamo in un contesto sociale che spinge tutto a una velocità estrema e innaturale, perché abbiamo pochi minuti per comprendere le cose, abbiamo pochi minuti di concentrazione a disposizione, abbiamo pochissimo tempo per fare tutto. Ormai lo viviamo come se fosse naturale, ma naturale non è. Viviamo un’accelerazione innaturale, a prescindere dal fatto che qualcuno riesca a risolvere una situazione brillantemente e altri si incaglino. Quindi in quel caso il tilt è far constatare che quello che viene considerato “l’uomo più lento del mondo” ha invece anche lui la possibilità di essere il più rapido di tutti decidendo o compiendo un’azione.
 
Il tuo discorso si riferisce anche al fatto che sono trascorsi cinque anni dal tuo album precedente Capolavoro o semplicemente hai anche voglia di dedicarti ad altro o ad altre forme di spettacolo come effettivamente fai?
Beh, all’esterno, per chi vede pubblicato Capolavoro nel 2015 e Tilt nel 2020, c’è di fatto una percezione di lentezza nel produrre. E poi invece è vero che in questi cinque anni ci sono quattro opere teatrali, tre colonne sonore e altro… Quindi se vai ad analizzare nel dettaglio, in realtà c’è un tempo in cui sono maturate in maniera naturale tante altre cose, tra cui anche il tempo necessario per comprendere, per scrivere, per arrangiare e quello per decidere di esporre tutto quello che si è creato.
Il contributo di tutto quest’album è proprio legato al recuperare necessariamente dei tempi naturali, perché ognuno ha i suoi.
 
Sono trascorsi vent’anni da Dispari, tuo primo album solista: bilancio positivo o non ami tirare le somme?
Dicendo somme mi vengono in mente i numeri e quindi il bilancio lo farei su come ho cercato di descrivere puntualmente quello che accade intorno, più che sui numeri, provando a fornire una visione nuova, un immaginario nuovo.
Adesso quindi non posso che essere entusiasta del fatto che siano state sviluppate nuove formule per far viaggiare la musica ed è il vantaggio di questo momento storico. Io ho deciso di far uscire Tilt nel momento di tilt, senza aspettare un momento migliore, perché in questo momento andava raccontato il tilt. Una lampadina va accesa quando intorno è buio, non dopo. E a prescindere dal fatto che io possa fisicamente andare in giro in questo momento a suonare questo lavoro, Tilt, o la mia musica in generale, ha una possibilità oggi di raggiungere chiunque, arrivare comunque a prescindere da me, con tanti altri canali, e tutto ciò, nel bilancio delle cose, è uno dei pochi vantaggi che abbiamo accumulato in questi anni.
 
 

 

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