17/12/2025

Tutta la storia di Bohemian Rhapsody

Paolo Borgognone racconta le vicende del grande classico dei Queen

 

More Than A Song. Più di una canzone. Si potrebbe dire tanto su Bohemian Rhapsody – la storia, la genesi, la struttura, il video, il successo di ieri e di oggi, l’impatto culturale – ma quell’assunto d’apertura, preso da una tesi di laurea americana del 2019, riassume tutto alla perfezione. Perché il classico dei Queen non è soltanto il pezzo di punta di un disco vendutissimo come A Night At The Opera: è la sintesi di un momento storico che Paolo Borgognone ha raccontato per Caissa, su cui ci soffermiamo dopo i suoi lavori su Elvis e Beatles. La parola all’autore.

 

Raccontare un album, caro Paolo, è impegnativo. Soffermarsi su una singola canzone lo è ancora di più. Ma quando questa canzone è anche un classico, la microstoria inevitabilmente si fa “macro”. Perché un libro su Bohemian Rhapsody?

La “scusa” – ovviamente – è stato il cinquantesimo compleanno della composizione di Mercury, pubblicata per la prima volta alla fine di ottobre del 1975. L’occasione giusta per approfondire e raccontare un capolavoro del genere, un brano che ha attraversato il tempo rimanendo un inno, un caposaldo non solo della produzione dei Queen ma di tutto il decennio. Il successo che la canzone ha ancora oggi in realtà inesistenti nel 1975 – come lo streaming o Spotify – ne racconta, ancora una volta, l’eccezionalità. È quello che ho cercato di mettere in questo libro, frutto di ricerche particolareggiate e anche piuttosto lunghe.

 

Negli ultimi anni hai scritto su Elvis e i Beatles, due fermo-immagine degli anni ’50 e ’60. I Queen sono rappresentativi degli anni ’70?

Parliamo di realtà ben diverse, è chiaro. Elvis e i Beatles hanno contribuito non solo a dare una direzione alla musica contemporanea, ma a cambiare, in qualche modo, la società. Il loro impatto è enorme e duraturo ben oltre il mondo delle sette note. Questo, per i Queen, non è successo. Ma, a modo suo, anche il quartetto formato da Mercury, May, Deacon e Taylor ha raccontato storie che sono rimaste nell’immaginario collettivo. Il successo, per esempio, del recente biopic su Freddie – che guarda caso ha proprio il titolo di questa canzone – ne è una conferma ulteriore.

 

Dopo la batosta hard rock di Sheer Heart Attack, nel 1975 arriva A Night At The Opera. Credo che l’eccentricità dei Queen cominci con questo album che ospita anche Bohemian Rhapsody: il grande singolo ha offuscato gli altri pezzi?

Forse lo ha fatto, ma solo alla lunga. Al momento della sua uscita, il disco ebbe un notevolissimo impatto proprio per la straordinaria varietà di spunti e suoni che proponeva, continuando il lavoro iniziato con i precedenti. Poi, è chiaro che una canzone come questa – un inno trans generazionale – abbia lasciato un segno maggiormente significativo, ma il resto dell’Lp è di tutto rispetto. Basti pensare che nei forum dei fan – che ho frequentato un poco durante la stesura del libro – si parli molto anche di altri brani, come The Prophet’s Song.

 

Il 1975 è uno degli ultimi anni del rock progressivo, al quale Bohemian Rhapsody potrebbe accostarsi. Secondo te quali sono gli elementi in comune e quali le differenze rispetto al genere di Genesis, Yes e Jethro Tull?

Bohemian Rhapsody non è certo facilmente catalogabile in un genere e questo è uno dei suoi maggiori punti di forza. Ciò detto, la struttura non convenzionale, la lunghezza inusuale e anche una certa difficoltà a spiegare il testo avvicinano questa produzione ai migliori lavori prog. Il tutto è qui portato – a mio avviso, ma non sono un critico musicale – a un livello estremo che differenzia appunto il brano da quelli di autori straordinari, come i gruppi che hai citato. Peraltro, anche nei dischi precedenti dei Queen c’erano echi prog: citerei come esempio Seven Seas of Rhye, pubblicata nella sua interezza su Queen II del 1974.

 

Un brano costoso come l’intero disco, iperarrangiato in studio, frutto di un lavoro di gruppo certosino. Possiamo considerarlo un pezzo del quartetto o il merito è da attribuire principalmente a Freddie?

La storia racconta che Freddie abbia raccolto in questo brano tre canzoni differenti con le quali, parole sue, «non arrivava da nessuna parte». Sicuramente tutti i membri della band non hanno avuto problemi a riconoscere a Mercury la paternità dell’opera. Ma è altrettanto vero che ciascuno di loro ha contribuito a fare di Bohemian Rhapsody quel capolavoro che è. E, non dimentichiamo, il gruppo unito sostenne che dovesse essere pubblicata così come era uscita dagli studios, mentre la casa discografica voleva tagliarla a tutti i costi. In definitiva, direi che è il prodotto di parecchie teste pensanti e di tante qualità artistiche messe insieme.

 

Parliamo di produzione e soprattutto di promozione. In primo luogo le radio. Come ha fatto un brano di sei minuti a battere le perplessità di dj e stazioni?

Proprio per la sua straordinaria complessità. Il canone radiofonico ufficiale prevedeva ancora pezzi non più lunghi di tre minuti, tre minuti e mezzo. Ma l’imprevedibilità del brano e la sua capacità di sorprendere hanno compiuto il miracolo. Quando la casa discografica ancora tentennava se pubblicarla o meno così come era, proprio i passaggi radiofonici e il risalto che hanno dato al disco sono stati decisivi. Al pubblico piaceva, e molto. E anche le emittenti, gettando un poco il cuore oltre l’ostacolo, hanno iniziato a farla ascoltare con continuità. Ricordiamo che ancora oggi Bohemian Rhapsody è il brano trasmesso più volte dai canali radio della BBC.

 

La promozione che ha reso celebre il pezzo fu anche video. Benchè ci siano stati illustri precedenti a partire dai Beatles, il lavoro di Bruce Gowers ebbe un successo tale da essere considerato il primo grande video nella storia del rock. Ci aiuti a contestualizzare per bene la questione?

Come giustamente sottolinei tu, i video promozionali esistevano già da un po’. I Beatles, in particolare, li usavano per promuovere in tv i loro brani anche senza dover sottostare all’obbligo di presenziare a programmi come “Top of the Pops”, molto popolari nel Regno Unito ma che finivano con l’interferire, per esempio, con l’attività live. Ma in questo caso avviene qualcosa di diverso. Lo stesso Mercury disse che quel clip è stato il primo a incidere sulle vendite del disco. In questo senso è davvero l’apripista per l’arte del video che ha conosciuto, negli anni successivi, uno sviluppo clamoroso. A volte facendo sì che le immagini diventassero traino per la musica e non viceversa.

 

Bohemian Rhapsody è stata popolarissima cinquant’anni fa e lo è ancora oggi. Secondo te che tipo di influenza ha avuto allora e attualmente?

Il libro si apre con un fatto: nel 2017, a Londra, il pubblico – composto principalmente da ragazzi nati dopo il 1975 – che attende a Hyde park l’esibizione dei Green Day, canta all’unisono Bohemian Rhapsody. Segno che la canzone ha saputo attraversare il tempo restando sempre e comunque un inno. Nel testo, ho usato spesso una definizione che ho letto in una tesi di laurea realizzata negli USA nel 2019: “More than a song”. Ecco, credo che si tratti proprio di questo. Più che una semplice canzone, Bohemian Rhapsody è qualcosa di facilmente riconoscibile per chiunque e il suo lunghissimo successo ne è la conferma, così come lo sono le tantissime cover che ne sono state fatte dagli artisti più disparati.

Paolo Borgognone - Tutta la storia di Bohemian Rhapsody

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