16/06/2015

Un negozio di dischi a bassa fedeltà

Giovanni Verini Supplizi racconta in un libro la sua esperienza nel record store
Il negozio di dischi. C’è chi vi ha perso la verginità e chi l’ha ritrovata. Chi vi ha perso migliaia di quattrini e chi vi ha trovato amici e tesori. Chi vi ha perso definitivamente la testa per lacche, nastri e dischetti, chi vi ha ritrovato se stesso. Questione di bassa fedeltà. Lo sa bene Giovanni Verini Supplizi, che un record store lo ha aperto a Bari e gli ha anche dedicato questo suo libro Bassa Fedeltà. Non è bello ridere delle disgrazie di un negoziante di dischi (primo titolo della SG Edizioni): memorie, ricordi, aneddoti e testimonianze, tutte assorbite dal bancone, luogo di culto e di confronto, di scontro e di devozione.
 
Si parte da Bari, dal tuo Wanted Record, un sogno realizzato nel momento storico meno favorevole alla vendita di dischi… Per quale motivo hai deciso di scrivere un libro su questa tua esperienza?
Per la stranezza e la singolarità delle cose che mi sono accadute. Non credevo che lavorando al pubblico automaticamente mi esponevo e mi mettevo in contatto con soggetti che definire particolari è dir poco. Ma l’ho capito subito perché gli episodi non si son fatti attendere. Il libro è venuto da sé, quasi per gioco, una sorta di diario scritto di getto.
 
Il negozio di dischi è un luogo pieno di fascino, dove si percepisce subito la possibilità di fare delle scoperte. Al tempo stesso è un’impresa commerciale che segue determinate regole. In che modo tu hai fatto combaciare queste due “anime”?
Sicuramente per quanto mi riguarda e per chi ama la musica è il posto più bello dove si possa capitare (concerti a parte) sia come cliente prima che come negoziante dopo. Mi riferisco al “negozio di dischi” in genere. È un lavoro bellissimo, solo che giustamente come dici tu, non è solo passione ma anche un lavoro e si sa, il lavoro deve far “tornare i conti” ed oggi con questo mestiere è davvero difficile, specie in periodi come questi in cui la crisi l’abbiamo sentita prima di tutti.
 
Al di là della crisi dell’industria discografica, del download e dell’offerta tecnologica che ha spodestato la musica – soprattutto il rock – dal ruolo di collante generazionale, negli ultimi anni pensi ci siano stati dei dischi che valga davvero la pena comprare e avere?
Sì, certo. Di ottima musica ne esce ancora, basta cercarla e non fermarsi alle classifiche. Certo, non sono anni d’oro e creativi come quelli dai ’60 ai metà ’90 ma c’è sempre qualcosa di buono. Forse nell’elettronica e nel rock un po’ sperimentale stanno uscendo i dischi più interessanti, mentre in alcuni generi come il metal, che a me piace tanto ad esempio, trovo un po’ di “stantio” e di ripetitività. Nel 2009 ad esempio a mio parere è uscito uno dei più bei dischi del panorama italiano, Semper biot di Edda.
 
Una cosa che mi ha colpito tra le tue riflessioni è la richiesta di masterizzazione cd. La spinta è il desiderio di risparmiare o c’è proprio una totale ignoranza dei risvolti legali della faccenda?
Entrambi. Alla maggior parte della gente non interessa se l’artista guadagna o meno, pensa alle proprie tasche e da tempo purtroppo si dà per scontato che la musica (come altre forme d’arte come il cinema ad esempio) debba essere gratis. Ora neanche si scarica più quasi, è tutto in streaming. Il web è una zona franca. Un peccato perché questo porterà sempre meno artisti a continuare a lavorarci e a crederci, la prima “botta” la prendono gli artisti indipendenti, però a volte gli stessi musicisti dovrebbero capirlo, sai quanti di loro non comprano un disco?
 
Da genitori improvvisatisi esperti di dischi a gente con lo sguardo assatanato a caccia del vinile perduto, passando per musicisti che non comprano dischi: i tuoi aneddoti fotografano una vera e propria fauna. C’è qualcosa che accomuna ogni persona comparsa nel tuo negozio?
Sì. La passione per la musica che spesso sfocia in fanatismo e “follia”, a volte sana per carità, ce l’ho anche io, a volte un po’ meno “sana”… vedi ciò che mi è accaduto nel libro. Io credo che, come ho detto prima, chi lavora a contatto con il pubblico sia esposto a certe situazioni, però il negoziante di dischi è esposto almeno tre volte a questo, il consumatore di dischi ha le sue fisse, le sue manie, ama parlare ore ed ore di quel disco, di quell’assolo, di quell’edizione in vinile rara. In molti casi è bello, a volte incontri certi soggetti però…
 
Prima di chiederti se i negozi di dischi hanno un futuro, mi piacerebbe sapere qual è il loro presente. Come si svolge in media la tua giornata lavorativa?
La mia giornata tipo? Arrivo in negozio, metto un disco innanzitutto… dopodiché accendo il PC, rispondo alle varie mail e ordini eventuali, dopodiché sono “vittima” dei miei clienti più strani e persino degli stalker (ride, ndr)…
 
Hai anche occasione di partecipare alle fiere del disco?
Sì, lo faccio spesso. Anche se geograficamente parlando sono un po’ sfortunato, le fiere migliori sono tutte al nord e le spese per andarci sono tante, per questo non ne faccio quante vorrei.
 
Come annunciato: i negozi di dischi hanno un futuro?
Futuro? Se me lo avessi chiesto qualche anno fa ti avrei risposto un secco no. Ora con il ritorno al vinile qualche anno di proroga gliela darei. Spero non sia solo una moda passeggera, specie qui in Italia, però con questo ritorno i negozi stanno respirando un po’: non pensare chissà a quali cifre, sarà sempre un mercato di nicchia, mentre il cd sta letteralmente soffrendo come supporto. Per dare futuro ai negozi i giovani devono affezionarsi al supporto, ci vuole il ricambio generazionale, ce ne sono alcuni che si sono avvicinati al vinile, ma forse pochi per mantenere dei numeri come dicevo prima. Staremo a vedere. Comunque sono fiducioso, dai.

 
 

 

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