Parlare di libri su Beatles e dintorni è a dir poco impegnativo vista la mole di pubblicazioni e l’abbondanza della letteratura in materia, ovviamente non solo in Italia. Per fare una selezione e indicare i testi più interessanti, conta anche la continuità, l’attenzione rigorosa alla progressiva revisione. È il caso di John Lennon. Canzoni, storia e traduzioni, un libro che viene da lontano: è l’aggiornamento ampliato di Le canzoni di John Lennon (Pensieri e parole – Editori Riuniti) e You May Say I’m A Dreamer (TXT Testi commentati – Arcana). Ne parliamo con gli autori Vincenzo Oliva e Riccardo Russino.
Autobiografico più che mai, John Lennon ha sempre parlato di sé. Una vita nelle canzoni, le canzoni che raccontano una vita, probabilmente molto più di tanti aneddoti che popolano la bibliografia sui Beatles.
C’è una dichiarazione di Lennon, buttata là durante una delle mille interviste e con cui apriamo il nostro libro, che è una frase chiave per capire sia le sue canzoni che la sue vita e la sua storia: “Le mie sono tutte canzoni personali, sono come dei diari, che se le unisci leggi la mia storia. In fondo sono semplici parole, e d’altra parte anche i libri che ho scritto sono diari personali. Tutto è scritto sempre in prima persona, anche se magari spesso sotto forma di semi follia. I miei libri non sono poi tanto diversi dalle mie canzoni”.
Tra i quattro Beatle, John è stato quello che ha avvertito maggiormente la necessità del distacco, del taglio del cordone. È una separazione che John risolve subito o ne troviamo tracce in tutta la sua discografia solista?
Lennon era un’anima inquieta, sia dal punto di vista artistico sia personale. Amava i Beatles, erano stati una sua creatura, ma a quel punto erano diventati un ostacolo per la sua vita con Yoko Ono. E poi avevano dato tutto, in pochi anni avevano pubblicato una quantità di canzoni pazzesca, per non parlare di concerti e film, quindi erano tutti un po’ stanchi di essere “I Beatles”.
Il taglio con un passato così importante fu inizialmente drastico: Cold Turkey, una crisi di astinenza dalla droga descritta con musica dura e lancinante, non ha nulla a che vedere con nulla registrato dai Beatles, al pari dell’album Plastic Ono Band, splendido ma duro, secco, essenziale. Per non parlare poi di un album assurdo come Two Virgins, oggi probabilmente celebre soltanto per la sua copertina ma che conteneva roba sperimentale e inascoltabile ancora oggi dopo cinquantatrè anni, a cui seguirono a breve distanza altri due volumi, altrettanto inascoltabili, a completare il famigerato trittico di Unfinished Music. Poi però ecco l’inversione a U e con gli arrangiamenti elaborati di Imagine che tanto ricordavano i Beatles.
Se invece guardiamo al Lennon in seno ai Beatles, quali sono i brani in cui si sente di più la sua indole? In quali canzoni si percepisce il Lennon che verrà?
In Revolution c’è un anticipo, seppur velato e indeciso, del Lennon impegnato, più politico e battagliero. In Strawberry Fields Forever c’è il Lennon intimista e riflessivo; In My Life presenta un Lennon nostalgico che riaffiorerà spesso, soprattutto negli ultimi lavori; in Across The Universe c’è il Lennon poeta.
Da una parte abbiamo fior di libri che si soffermano in modo agiografico sul Lennon solista, dall’altra testi come quello di Goldman a dir poco controverso, che puntano a demolire il personaggio. Col passare degli anni, e anche alla luce degli studi su Yoko, pensate che la figura di Lennon sia risolta e compresa del tutto?
A prescindere dai volumi maggiormente pretestuosi o scandalistici come quello di Goldman, che lascia un po’ il tempo che trova, comprendere del tutto un individuo come Lennon attraverso testimonianze di terzi è operazione difficoltosa. Più attendibile leggere i testi delle sue canzoni: lui era uno che non lesinava parole e che non evitava di inserire fatti scomodi nelle sue canzoni. Un album come Walls And Bridges contiene molto più di quello che sembra: in canzoni crude come Scared, Going Down On Love, Steel And Glass c’è molto più Lennon che in tanti libri o articoli. E ancora, sono consigliatissime le interviste che rilasciò nel 1980 a David Sheff per Playboy e quella del 6 dicembre 1980, due giorni prima della tragedia, rilasciata ad Andy Peebles di Radio One della BBC.
John e la politica: è stata autentica la sua militanza? Quanto ha influito nel suo songwriting?
Per carattere Lennon credeva sempre molto in quello che faceva, salvo poi ricredersi e riconoscere di aver sbagliato oppure esagerato, come in questo caso. La militanza, che culminò in un disco mediocre come Some Time In New York City, derivava dall’avversione per Richard Nixon, allora Presidente degli USA e inviso alla contestazione giovanile a causa della sua ostinazione a continuare la guerra in Vietnam. In più, Nixon era tra i principali sostenitori dell’espulsione di John dagli Stati Uniti, negandogli ripetutamente il visto di permanenza usando come pretesto l’arresto per possesso di stupefacenti dell’ottobre 1968.
Il citato Some Time In New York City è stato, peraltro, l’unico episodio davvero politico nella discografia di Lennon, in quanto in esso vengono affrontati, oltre che problematiche delicate come il razzismo e la violenza sulle donne, anche temi come la questione anglo-irlandese del 1972 o episodi come il massacro e la rivolta della prigione newyorchese di Attica, o il sostegno alle Pantere Nere, a cui oltretutto pare elargisse sostegni ben più sostanziosi di una canzone, a livello finanziario.
Soffermandoci su un paio di titoli lennoniani possiamo individuare alcuni elementi. Pensiamo ad esempio a Rock ‘N Roll. Probabilmente tra i quattro John è stato quello più fedele allo spirito originario di Elvis, Chuck e Jerry Lee.
Tutti e quattro erano legatissimi al buon vecchio Rock and Roll, che era la musica della loro adolescenza, quella con cui erano cresciuti. Il primo Elvis (attenzione, il primo, non quello di Las Vegas), e soprattutto Chuck Berry e Buddy Holly, che si scrivevano le loro canzoni, erano gli idoli di Lennon. Paul tendeva più verso Little Richard e George adorava Carl Perkins che, non dimentichiamolo, era l’autore dell’intramontabile Blue Suede Shoes.
Il disco del 1975 vi ha consentito anche di raccontare l’intricata vicenda Roots: chi lo possiede deve tenerlo in cassaforte?
Questa storia sembra inventata per quanto è incredibile, tanto che ci vorrebbe un intero libro solo per raccontare la genesi, le vicende giudiziarie, gli strascichi e le pazzesche sessioni da cui è scaturito l’album Rock ‘N Roll. Si pensi che la storia ha origine da Come Together, la celeberrima canzone dei Beatles del 1969, per terminare solo nel 1975. Roots: John Lennon Sings The Great Rock & Roll Hits fu venduto esclusivamente per corrispondenza, supportato da una campagna pubblicitaria in tv, con una grafica raffazzonata e un missaggio discutibile, vendette circa 1200 copie soltanto per pochi giorni prima di essere definitivamente ritirato. Quelle sono le copie da tenere, diciamo così, ben custodite, il cui valore che ha già raggiunto cifre ragguardevoli, è destinato a salire. Ma la vera curiosità è che, avendo una grafica di facile riproduzione, il 33 giri fu contraffatto in maniera quasi impeccabile e anche le prime copie contraffatte hanno raggiunto quotazioni piuttosto alte perché sono diventate, a loro volta, introvabili.
Phil Spector, David Bowie, Elton John sono alcuni dei nomi che hanno incrociato la loro vita a quella di John. Chi ha compreso di più e meglio la personalità lennoniana?
Va detto che, mentre Spector era un idolo del Lennon adolescente, avendo firmato classici come Be My Baby, Baby I Love You e Da Doo Ron Ron, avendo fondato un’etichetta come la Philles Record e inventato il Wall of Sound dando un’impronta ad un intero genere, Bowie e Elton John erano veri fan di Lennon, che consideravano un mito, un esempio da emulare a cui guardavano con grande rispetto e riverenza. Tony Visconti, il produttore di Bowie, ha raccontato che quando David incontrò per la prima volta Lennon, in vista della imminente collaborazione per l’album Young Americans, era letteralmente terrorizzato. Esiste un aneddoto, raccontato dallo stesso Bowie: “Una sera eravamo a New York, e un ragazzino si avvicinò a John e gli chiese: “Sei John Lennon, vero?”, e lui gli rispose: “No, non sono Lennon, ma vorrei avere i suoi soldi”, e il ragazzino se ne andò. Quella risposta brillante e intelligente mi restò così impressa che decisi di adottarla. Qualche mese dopo ero di nuovo a New York, a Soho, ero da solo ed era notte, quando una voce mi sussurrò all’orecchio: “Sei David Bowie?”. Immediatamente gli risposi “No, non sono Bowie, ma vorrei avere i suoi soldi”. E la voce replicò: “Brutto bastardo, tu vorresti avere i miei, di soldi!”. Era John Lennon!”.
Quanto a Elton John, basterebbe ricordare che si ebbe grazie a lui l’ultima storica esibizione dal vivo di Lennon, il 29 novembre 1974 al Madison Square Garden di New York, a seguito della collaborazione a Whatever gets you thru the night .
Uno di quelli che lo conoscevano meglio si beccò la furiosa How Do You Sleep? ma poi cominciò ad avvicinarsi all’ex compagno di band. Paul e John nella seconda metà degli anni ’70 erano davvero tanto cambiati?
La storia dice di sì, o meglio, probabilmente non erano tanto cambiati loro, ma il loro atteggiamento verso il mito dei Beatles e verso le cause, vere o presunte, della separazione e dello scioglimento della band. E soprattutto, erano cambiati i tempi, si erano smussati gli angoli e… erano cresciuti.
Un altro album del quale possiamo parlare è Double Fantasy. Colpiscono gli appunti di lavorazione di John con le indicazioni stilistiche, da Buddy Holly alla Motown. Dopo un lustro di silenzio a fare il “mammo”, John aveva ancora passione per il suo lavoro?
Di certo aveva la nausea dell’ambiente, dei falsi amici, dei manager, dell’assillo esagerato dei fans più invadenti, la qual cosa un giorno gli sarebbe costata molto cara. Invece credo che la passione per la musica non l’abbia mai perduta, quella no, neanche durante gli anni di ritiro dalle scene, anche se lui ha affermato di non aver mai toccato una chitarra per cinque anni. Ma a contraddirlo c’è la testimonianza della mole di registrazioni casalinghe risalenti anche al periodo 75-79 che è apparsa grazie a Yoko, la quale nel 1988 concesse l’accesso all’archivio di Lennon all’amico Elliot Mintz, che era anche un DJ e conduttore radiofonico. Nacque così la trasmissione “The Lost Lennon Tapes”, in onda sulla Westwood Radio One, una puntata alla settimana tra il 24 gennaio 1988 e il 29 marzo 1992. Canzoni mai ascoltate, provini casalinghi, prove di studio, versioni alternative: un “tesoro”, sia di brani solisti sia di brani dei Beatles, che si trasformò in una collana di preziosi bootleg, i Lost Lennon Tapes, trentacinque dischi in vinile prodotti da un’etichetta clandestina. Da questi nastri sarebbero poi emerse anche Free As A Bird e Real Love, destinati un giorno a diventare i nuovi singoli dei Beatles.
Mi ha colpito il primo piazzamento in classifica italiano: trentesimo posto… ovviamente dopo la morte schizzò in cima. John era ormai lontano dai grandi risultati commerciali?
Pur tenendo sempre d’occhio la Hall of Fame, come dice in una sua canzone (I Don’t Wanna Face It), e le classifiche di vendita (dopo il successo galattico dei Beatles chi non lo avrebbe fatto?), la commerciabilità del suo prodotto non è mai stata la priorità di Lennon. E poi quel disco era per metà di Yoko Ono il che, diciamolo, era un aspetto poco invitante per chi voleva comprare Double Fantasy. John ha sempre preferito esprimersi con schiettezza e coerenza, a volte anche a discapito della popolarità. Negli anni ‘70 erano anche cambiati i gusti di chi comprava i dischi: c’erano il prog, i cantautori e il rock-blues che spadroneggiavano. Ma a conti fatti, la canzone del Secolo è Imagine…
Chiudete con le grandi canzoni che hanno omaggiato John, dai tre Beatles a Bob Dylan. Quanto è stato influente nella cultura contemporanea?
Da solo o con i Beatles che, non dimentichiamolo, erano la sua creatura, ancora il mito di Lennon resiste ai tempi e invecchia bene, anzi non invecchia affatto. La sua iconicità durerà ancora a lungo, che lo si associ alla rivoluzione musicale di cui fu protagonista con i Beatles, oppure al pacifismo e all’impegno contro le guerre, oppure all’assurdo modo in cui fu assassinato, vittima dei suoi tempi e di una violenza degna di Arancia Meccanica che ne hanno fatto un martire. Nell’arco di soli quarant’anni, la vita di John Lennon ha riservato di tutto e di più.
Autobiografico più che mai, John Lennon ha sempre parlato di sé. Una vita nelle canzoni, le canzoni che raccontano una vita, probabilmente molto più di tanti aneddoti che popolano la bibliografia sui Beatles.
C’è una dichiarazione di Lennon, buttata là durante una delle mille interviste e con cui apriamo il nostro libro, che è una frase chiave per capire sia le sue canzoni che la sue vita e la sua storia: “Le mie sono tutte canzoni personali, sono come dei diari, che se le unisci leggi la mia storia. In fondo sono semplici parole, e d’altra parte anche i libri che ho scritto sono diari personali. Tutto è scritto sempre in prima persona, anche se magari spesso sotto forma di semi follia. I miei libri non sono poi tanto diversi dalle mie canzoni”.
Tra i quattro Beatle, John è stato quello che ha avvertito maggiormente la necessità del distacco, del taglio del cordone. È una separazione che John risolve subito o ne troviamo tracce in tutta la sua discografia solista?
Lennon era un’anima inquieta, sia dal punto di vista artistico sia personale. Amava i Beatles, erano stati una sua creatura, ma a quel punto erano diventati un ostacolo per la sua vita con Yoko Ono. E poi avevano dato tutto, in pochi anni avevano pubblicato una quantità di canzoni pazzesca, per non parlare di concerti e film, quindi erano tutti un po’ stanchi di essere “I Beatles”.
Il taglio con un passato così importante fu inizialmente drastico: Cold Turkey, una crisi di astinenza dalla droga descritta con musica dura e lancinante, non ha nulla a che vedere con nulla registrato dai Beatles, al pari dell’album Plastic Ono Band, splendido ma duro, secco, essenziale. Per non parlare poi di un album assurdo come Two Virgins, oggi probabilmente celebre soltanto per la sua copertina ma che conteneva roba sperimentale e inascoltabile ancora oggi dopo cinquantatrè anni, a cui seguirono a breve distanza altri due volumi, altrettanto inascoltabili, a completare il famigerato trittico di Unfinished Music. Poi però ecco l’inversione a U e con gli arrangiamenti elaborati di Imagine che tanto ricordavano i Beatles.
Se invece guardiamo al Lennon in seno ai Beatles, quali sono i brani in cui si sente di più la sua indole? In quali canzoni si percepisce il Lennon che verrà?
In Revolution c’è un anticipo, seppur velato e indeciso, del Lennon impegnato, più politico e battagliero. In Strawberry Fields Forever c’è il Lennon intimista e riflessivo; In My Life presenta un Lennon nostalgico che riaffiorerà spesso, soprattutto negli ultimi lavori; in Across The Universe c’è il Lennon poeta.
Da una parte abbiamo fior di libri che si soffermano in modo agiografico sul Lennon solista, dall’altra testi come quello di Goldman a dir poco controverso, che puntano a demolire il personaggio. Col passare degli anni, e anche alla luce degli studi su Yoko, pensate che la figura di Lennon sia risolta e compresa del tutto?
A prescindere dai volumi maggiormente pretestuosi o scandalistici come quello di Goldman, che lascia un po’ il tempo che trova, comprendere del tutto un individuo come Lennon attraverso testimonianze di terzi è operazione difficoltosa. Più attendibile leggere i testi delle sue canzoni: lui era uno che non lesinava parole e che non evitava di inserire fatti scomodi nelle sue canzoni. Un album come Walls And Bridges contiene molto più di quello che sembra: in canzoni crude come Scared, Going Down On Love, Steel And Glass c’è molto più Lennon che in tanti libri o articoli. E ancora, sono consigliatissime le interviste che rilasciò nel 1980 a David Sheff per Playboy e quella del 6 dicembre 1980, due giorni prima della tragedia, rilasciata ad Andy Peebles di Radio One della BBC.
John e la politica: è stata autentica la sua militanza? Quanto ha influito nel suo songwriting?
Per carattere Lennon credeva sempre molto in quello che faceva, salvo poi ricredersi e riconoscere di aver sbagliato oppure esagerato, come in questo caso. La militanza, che culminò in un disco mediocre come Some Time In New York City, derivava dall’avversione per Richard Nixon, allora Presidente degli USA e inviso alla contestazione giovanile a causa della sua ostinazione a continuare la guerra in Vietnam. In più, Nixon era tra i principali sostenitori dell’espulsione di John dagli Stati Uniti, negandogli ripetutamente il visto di permanenza usando come pretesto l’arresto per possesso di stupefacenti dell’ottobre 1968.
Il citato Some Time In New York City è stato, peraltro, l’unico episodio davvero politico nella discografia di Lennon, in quanto in esso vengono affrontati, oltre che problematiche delicate come il razzismo e la violenza sulle donne, anche temi come la questione anglo-irlandese del 1972 o episodi come il massacro e la rivolta della prigione newyorchese di Attica, o il sostegno alle Pantere Nere, a cui oltretutto pare elargisse sostegni ben più sostanziosi di una canzone, a livello finanziario.
Soffermandoci su un paio di titoli lennoniani possiamo individuare alcuni elementi. Pensiamo ad esempio a Rock ‘N Roll. Probabilmente tra i quattro John è stato quello più fedele allo spirito originario di Elvis, Chuck e Jerry Lee.
Tutti e quattro erano legatissimi al buon vecchio Rock and Roll, che era la musica della loro adolescenza, quella con cui erano cresciuti. Il primo Elvis (attenzione, il primo, non quello di Las Vegas), e soprattutto Chuck Berry e Buddy Holly, che si scrivevano le loro canzoni, erano gli idoli di Lennon. Paul tendeva più verso Little Richard e George adorava Carl Perkins che, non dimentichiamolo, era l’autore dell’intramontabile Blue Suede Shoes.
Il disco del 1975 vi ha consentito anche di raccontare l’intricata vicenda Roots: chi lo possiede deve tenerlo in cassaforte?
Questa storia sembra inventata per quanto è incredibile, tanto che ci vorrebbe un intero libro solo per raccontare la genesi, le vicende giudiziarie, gli strascichi e le pazzesche sessioni da cui è scaturito l’album Rock ‘N Roll. Si pensi che la storia ha origine da Come Together, la celeberrima canzone dei Beatles del 1969, per terminare solo nel 1975. Roots: John Lennon Sings The Great Rock & Roll Hits fu venduto esclusivamente per corrispondenza, supportato da una campagna pubblicitaria in tv, con una grafica raffazzonata e un missaggio discutibile, vendette circa 1200 copie soltanto per pochi giorni prima di essere definitivamente ritirato. Quelle sono le copie da tenere, diciamo così, ben custodite, il cui valore che ha già raggiunto cifre ragguardevoli, è destinato a salire. Ma la vera curiosità è che, avendo una grafica di facile riproduzione, il 33 giri fu contraffatto in maniera quasi impeccabile e anche le prime copie contraffatte hanno raggiunto quotazioni piuttosto alte perché sono diventate, a loro volta, introvabili.
Phil Spector, David Bowie, Elton John sono alcuni dei nomi che hanno incrociato la loro vita a quella di John. Chi ha compreso di più e meglio la personalità lennoniana?
Va detto che, mentre Spector era un idolo del Lennon adolescente, avendo firmato classici come Be My Baby, Baby I Love You e Da Doo Ron Ron, avendo fondato un’etichetta come la Philles Record e inventato il Wall of Sound dando un’impronta ad un intero genere, Bowie e Elton John erano veri fan di Lennon, che consideravano un mito, un esempio da emulare a cui guardavano con grande rispetto e riverenza. Tony Visconti, il produttore di Bowie, ha raccontato che quando David incontrò per la prima volta Lennon, in vista della imminente collaborazione per l’album Young Americans, era letteralmente terrorizzato. Esiste un aneddoto, raccontato dallo stesso Bowie: “Una sera eravamo a New York, e un ragazzino si avvicinò a John e gli chiese: “Sei John Lennon, vero?”, e lui gli rispose: “No, non sono Lennon, ma vorrei avere i suoi soldi”, e il ragazzino se ne andò. Quella risposta brillante e intelligente mi restò così impressa che decisi di adottarla. Qualche mese dopo ero di nuovo a New York, a Soho, ero da solo ed era notte, quando una voce mi sussurrò all’orecchio: “Sei David Bowie?”. Immediatamente gli risposi “No, non sono Bowie, ma vorrei avere i suoi soldi”. E la voce replicò: “Brutto bastardo, tu vorresti avere i miei, di soldi!”. Era John Lennon!”.
Quanto a Elton John, basterebbe ricordare che si ebbe grazie a lui l’ultima storica esibizione dal vivo di Lennon, il 29 novembre 1974 al Madison Square Garden di New York, a seguito della collaborazione a Whatever gets you thru the night .
Uno di quelli che lo conoscevano meglio si beccò la furiosa How Do You Sleep? ma poi cominciò ad avvicinarsi all’ex compagno di band. Paul e John nella seconda metà degli anni ’70 erano davvero tanto cambiati?
La storia dice di sì, o meglio, probabilmente non erano tanto cambiati loro, ma il loro atteggiamento verso il mito dei Beatles e verso le cause, vere o presunte, della separazione e dello scioglimento della band. E soprattutto, erano cambiati i tempi, si erano smussati gli angoli e… erano cresciuti.
Un altro album del quale possiamo parlare è Double Fantasy. Colpiscono gli appunti di lavorazione di John con le indicazioni stilistiche, da Buddy Holly alla Motown. Dopo un lustro di silenzio a fare il “mammo”, John aveva ancora passione per il suo lavoro?
Di certo aveva la nausea dell’ambiente, dei falsi amici, dei manager, dell’assillo esagerato dei fans più invadenti, la qual cosa un giorno gli sarebbe costata molto cara. Invece credo che la passione per la musica non l’abbia mai perduta, quella no, neanche durante gli anni di ritiro dalle scene, anche se lui ha affermato di non aver mai toccato una chitarra per cinque anni. Ma a contraddirlo c’è la testimonianza della mole di registrazioni casalinghe risalenti anche al periodo 75-79 che è apparsa grazie a Yoko, la quale nel 1988 concesse l’accesso all’archivio di Lennon all’amico Elliot Mintz, che era anche un DJ e conduttore radiofonico. Nacque così la trasmissione “The Lost Lennon Tapes”, in onda sulla Westwood Radio One, una puntata alla settimana tra il 24 gennaio 1988 e il 29 marzo 1992. Canzoni mai ascoltate, provini casalinghi, prove di studio, versioni alternative: un “tesoro”, sia di brani solisti sia di brani dei Beatles, che si trasformò in una collana di preziosi bootleg, i Lost Lennon Tapes, trentacinque dischi in vinile prodotti da un’etichetta clandestina. Da questi nastri sarebbero poi emerse anche Free As A Bird e Real Love, destinati un giorno a diventare i nuovi singoli dei Beatles.
Mi ha colpito il primo piazzamento in classifica italiano: trentesimo posto… ovviamente dopo la morte schizzò in cima. John era ormai lontano dai grandi risultati commerciali?
Pur tenendo sempre d’occhio la Hall of Fame, come dice in una sua canzone (I Don’t Wanna Face It), e le classifiche di vendita (dopo il successo galattico dei Beatles chi non lo avrebbe fatto?), la commerciabilità del suo prodotto non è mai stata la priorità di Lennon. E poi quel disco era per metà di Yoko Ono il che, diciamolo, era un aspetto poco invitante per chi voleva comprare Double Fantasy. John ha sempre preferito esprimersi con schiettezza e coerenza, a volte anche a discapito della popolarità. Negli anni ‘70 erano anche cambiati i gusti di chi comprava i dischi: c’erano il prog, i cantautori e il rock-blues che spadroneggiavano. Ma a conti fatti, la canzone del Secolo è Imagine…
Chiudete con le grandi canzoni che hanno omaggiato John, dai tre Beatles a Bob Dylan. Quanto è stato influente nella cultura contemporanea?
Da solo o con i Beatles che, non dimentichiamolo, erano la sua creatura, ancora il mito di Lennon resiste ai tempi e invecchia bene, anzi non invecchia affatto. La sua iconicità durerà ancora a lungo, che lo si associ alla rivoluzione musicale di cui fu protagonista con i Beatles, oppure al pacifismo e all’impegno contro le guerre, oppure all’assurdo modo in cui fu assassinato, vittima dei suoi tempi e di una violenza degna di Arancia Meccanica che ne hanno fatto un martire. Nell’arco di soli quarant’anni, la vita di John Lennon ha riservato di tutto e di più.