07/04/2016

La filosofia dei Genesis secondo Donato Zoppo

Intervista al giornalista, autore e conduttore radiofonico che ha da poco pubblicato il suo nuovo libro sul teatro rock proposto dal gruppo nell’era Gabriel
Ha scritto diversi libri sui gruppi prog. Testi quindi su King Crimson, PFM, Area… adesso però per lui è arrivato il momento di parlare anche dei Genesis. E per questo motivo Donato Zoppo ha pubblicato per la collana Musica Contemporanea della Mimesis La filosofia dei Genesis – Voci e maschere del teatro rock. Di libri sulla band in questione ne sono stati scritti tanti soprattutto in Italia, come dice lo stesso giornalista, autore e conduttore radiofonico, e allora perché non scriverne uno soffermandosi però soltanto su un aspetto che caratterizzava fortemente il gruppo nel periodo gabrieliano? Il tema principale del libro infatti è il teatro rock proposto dai Genesis.
Ma scopriamone di più direttamente in compagnia dell’autore, Donato Zoppo…
 
La filosofia dei Genesis: un modo per continuare il discorso già iniziato dalla collana Musica Contemporanea della Mimesis, giusto?
Credo proprio di sì! C’è chi si innamora di un gruppo e ne commenta le gesta sonore, chi si innamora di un artista e ne spiega l’evoluzione, io mi sono innamorato di un editore e ho pensato al testo adatto per la collana Musica Contemporanea… Tra l’altro non mi ero mai cimentato – se non in modo parziale in Prog. Una suite lunga mezzo secolo – con i Genesis, era una sfida allettante anche perché sulla band è stato scritto moltissimo, in modo particolare in Italia. La collana mette a fuoco alcuni temi chiave della poetica di grandi del rock e del jazz – da Frank Zappa a Robert Wyatt, da Miles Davis a Brian Eno – e il teatro genesisiano si prestava molto bene a un racconto del genere, a un punto di vista un po’ “laterale” sulla materia.
 
Il teatro rock dei Genesis, questo l’aspetto principale che hai approfondito nel tuo libro il cui sottotitolo è proprio Voci e maschere del teatro rock. Non era però un discorso portato avanti soprattutto (o soltanto) da Peter Gabriel (seppur nei Genesis) più che dai Genesis stessi?
Certo, le voci e le maschere del teatro genesisiano coincidevano inevitabilmente nel ruolo di Peter, che da principio non era affatto spalleggiato dai colleghi, anzi: la celebre maschera di Foxhead e il vestito rosso della moglie Jill – la figura della copertina di Foxtrot, per intenderci – fu letteralmente imposta da Peter durante il concerto di Dublino il 28 settembre 1972. Lui uscì abbigliato così sul palco, senza aver comunicato la decisione ai colleghi, sicuro che sarebbe stato messo in minoranza. Una autentica forzatura al sistema collegiale e democratico dei Genesis, che però servi a dare una marcia in più al gruppo dal punto di vista promozionale e soprattutto fu una trovata che inaugurò la loro era della teatralità, diventando un contributo visivo che arricchiva una musica dalla grande potenza narrativa. Tony Banks e compagni non gradivano molto questo tipo di elemento, visto che erano fermamente convinti della bontà della loro musica e soprattutto della perfezione del rock genesisiano, secondo loro “autosufficiente” e indipendente da allestimenti di vario tipo. Questo diverso punto di vista non verrà mai completamente sanato, e sarà una delle motivazioni alla base della famosa uscita di Gabriel dal gruppo nel 1975.
 
La prefazione è di un giornalista genesisiano doc come Mario Giammetti…
Mario è in primo luogo un amico carissimo, al quale tengo molto. In secondo luogo è stato per me un grande esempio dai tempi del Jam cartaceo ed è una firma che seguo con interesse attualmente su Classic Rock. In terzo luogo è uno dei più autorevoli e amati esperti di Genesis al mondo: non potevo non chiedergli un imprimatur per il mio libretto. Tra l’altro è in uscita il suo attesissimo testo su Peter Gabriel, che chiuderà la collana Genesis Files di Edizioni Segno.
 
Prima di addentrarti direttamente nel discorso Genesis, parli di psichedelia e di quello che era venuto immediatamente prima del prog o quasi nello stesso periodo. Poi citi anche opere fondamentali come il Sgt. Pepper’s dei Beatles o Tommy degli Who, per non parlare delle performance di uno come Jim Morrison con i suoi Doors.
Scelta inevitabile e/o hai voluto seguire lo stesso schema del tuo celebre libro Prog. Una suite lunga mezzo secolo (Arcana, 2011) che citavi anche prima e che si apriva in modo analogo?
Beh, direi entrambe le cose (ride, ndr)… Prog si apriva con una sorta di affresco sul rock di metà anni ’60 e la cosa era fortemente voluta: il prog non è affatto avulso dal contesto della cultura rock anni ’60, un “brodo di colture” nel quale è nato di tutto, dall’hard al folk-rock. Allo stesso modo il teatro rock nasce all’interno di quel mondo: i vari Arthur Brown, Pink Floyd, Doors, Mothers e poi Bowie e Genesis immaginavano non soltanto una musica di rottura con quello che c’era prima, ma anche un diverso modo di porgerla al pubblico. C’è chi mirava a scioccare l’audience, chi a trascinarla in un vertiginoso e vorticoso mondo sonoro e visivo e chi, come i Genesis, sentiva la necessità di materializzare la vena narrativa della propria musica. Non dimenticare che i Genesis nascono principalmente – e questa cosa sarà un dato costante nella loro storia – come autori, e i loro brani più riusciti, a prescindere dalla tematica scelta, avevano una grande forza comunicativa: il completamento con una performance che non fosse mera esecuzione strumentale ma spettacolo completo e multiforme fu un passaggio decisivo, rispettoso dei testi, mai ridondante.
 
Nei primi tempi sul palco erano schierati uno di fianco all’altro per far capire, come spesso si fa o si faceva nel prog, che la musica doveva essere la vera protagonista. Poi però Peter Gabriel iniziò a inventarsi qualcosa di diverso…
Peter cominciò pian piano, nel 1970, con delle storielle: dato che Mike, Tony e Ant usavano chitarre a 12 corde che avevano bisogno di essere accordate per bene tra un brano e l’altro, in quelle pause il timido ma volenteroso Peter si inventò delle storie bizzarre e surreali, dei numeri buttati lì giusto per riempire un vuoto e non disperdere l’energia del brano appena concluso. Quelle storielle però erano talmente deliziose da essere attese e richieste dal pubblico! Fu quello l’inizio di un percorso che arricchì Gabriel, non più semplice cantante ma anche mimo, interprete, attore: il taglio dei capelli, l’uso del trucco, i gesti e anche l’uso dell’asta del microfono in modo enfatico o spettacolare furono un passaggio importante, poi arrivarono le maschere e i costumi, fino al trionfo dell’opera rock di The Lamb, che vedrà Peter nel complesso ruolo di autore, cantante, attore e regista tour court.
 
Era inevitabile per i Genesis arrivare al teatro rock perché venissero ascoltati da un pubblico più ampio?
I Genesis erano abbastanza puri, candidi se vuoi, e non credo che il loro obiettivo fosse la ricerca del consenso. Avevano scelto una professione e necessariamente dovevano fare i conti con l’aspetto economico (tra l’altro si narra che fosse proprio Peter ai primi tempi a occuparsi degli ingaggi e delle paghe), ma la loro intenzione principale, se non esclusiva, era comporre buona musica. Certo, il successo di pubblico tardava ad arrivare e secondo Gail Colson della Charisma questo era dovuto anche all’incapacità dei Genesis di essere una live band travolgente, come i Led Zeppelin o i Deep Purple per intenderci. Tuttavia nelle motivazioni della scelta teatrale a mio avviso le esigenze promozionali contarono pochissimo: alla base c’era la voglia di condurre il pubblico nel mondo sonoro anticipato dalle copertine ed espresso dalla musica, condurlo anche visivamente in un’ambientazione magica e unica nel suo genere.
 
Anche l’Italia ha contribuito al successo genesisiano…
Vero. Dall’aprile del 1972, con il primo tour italiano, i Genesis avranno un rapporto speciale col nostro Paese. Se in Inghilterra suonavano anche in piccoli e umidi pub, da noi avranno palchi importanti, stampa molto attenta e in generale un notevole riscontro di pubblico. L’Italia dell’epoca era affamata di nuova musica, sia quella dell’ambiente progressive che l’hard rock o altro: figuriamoci che tipo di impatto poteva avere una proposta innovativa anche nell’impatto visivo come quella dei Genesis. Anzi, visto che i ragazzi italiani dell’epoca non avevano grande dimestichezza con l’inglese, le maschere di Peter e la sua mimica spesso aiutavano nella comprensione.
 
Citi spesso Alice Cooper e David Bowie in riferimento al teatro rock che era molto diverso rispetto a quello che proponevano i Genesis. Sono stati più punti di riferimento per Peter Gabriel e soci o più stimoli per trovare una propria strada secondo te?
All’inizio degli anni ’70 la circolazione delle informazioni non era così veloce come oggi, i riferimenti e le influenze venivano scoperti sul campo, ovvero in concerto, e molti dei nomi citati agivano in contemporanea. Se vogliamo trovare un precursore e comune ispiratore, dobbiamo andare al 1968 di Arthur Brown: Fire, l’elmo fiammeggiante, il volto truccato e l’interpretazione molto originale furono un gancio importante, sia per gli Osanna che per i Genesis, due gruppi che contemporaneamente scoprirono l’importanza dell’immagine per un’idea più ampia di spettacolo rock. Mentre Alice Cooper era legato all’effetto scioccante sul pubblico (il sangue, i temi orrorifici, il sesso etc.) e Bowie aveva un’idea sottile e ambigua del rapporto tra identità, maschera e personaggio, quella dei Genesis era un’impostazione se vuoi più lineare: il tema del brano poteva essere arricchito con una scelta visiva ad hoc, dalla maschera da vecchio che chiude The Musical Box all’evocazione della colossale scazzottata tra gangster di Epping Forest.
 
Anche il discorso delle copertine dei vari album (di Paul Whitehead e non) è legato all’argomento principale del tuo libro…
Beh sì, con le copertine torniamo all’idea di “ciclo sonoro” messo in scena dai Genesis. La copertina dava il primo input visivo all’ascoltatore, che entrava nel mondo di suoni e sul palco avrebbe visto (o rivisto…) quel tipo di ambiente. Il Gabriel ieratico, lento e mistico, con mantello luminoso, volto dipinto e ali di pipistrello sulle tempie di Watcher Of The Skies era un’azzeccata materializzazione del clima fantascientifico del pezzo, anticipato dall’atmosfera surreale e simbolista della copertina di Foxtrot. Come scrissi anche in Prog, se c’è un legame, una sorta di osmosi tra la cultura psichedelica e il prog-rock, è proprio in questa idea della musica come fenomeno sinestetico, nel quale tutti i sensi vengono messi in moto, stimolati e attivati: le copertine dell’epoca prog, diverse ma a loro modo affini a quelle psichedeliche, non erano che un primo ingrediente in questa partecipazione totale – che spesso diventava anche rituale –  all’evento sonoro.
 
Quei Genesis finiscono con l’abbandono di Peter Gabriel e/o con la fine del teatro rock? Anche per i Genesis c’è stato il solito problema della grandeur che sarà pagata a caro prezzo dal prog in generale?
Secondo me i Genesis non hanno vissuto la sbornia di ELP, Yes e Jethro Tull, non hanno avuto il loro Tales From Topographic Ocean o il loro A Passion Play: ad esempio i due album post Gabriel A Trick Of The Tail e Wind And Wuthering non hanno barocchismi fuori luogo o lungaggini da gruppo a corto di ispirazione. Certo escono in un periodo in cui il rinnovamento del rock arriva da Springsteen, Television, Patti Smith o Talking Heads, per cui un anacronismo probabilmente c’è, ma sono lavori molto validi perché si reggono su un equilibrio delle parti e su una raffinatezza di fondo, la stessa dai tempi di Trespass grosso modo. Era inevitabile che l’uscita di Gabriel ponesse fine alla teatralità, infatti Collins non aveva affatto intenzione di replicare le modalità del predecessore: due caratteri troppo diversi, due modi di intendere la musica troppo diversi. Con gli anni però Collins avrà modo di dimostrare la sua eccezionale abilità di uomo di spettacolo a tutto tondo.
 
Accennavi a A Trick Of The Tail (primo album della band del 1976 senza Peter Gabriel). Qui “i Genesis già non sono considerati più i Genesis” perché non c’era più l’elemento teatrale? La loro musica in fondo non era così diversa da quella dei Genesis gabrieliani…
Come dicevo prima, quel disco è in sostanziale continuità coi precedenti, inoltre contiene pezzi come Dance On A Volcano, Entangled e Ripples che diventeranno dei classici. Spesso il fan medio tende a restringere la storia di un gruppo con l’apice della carriera, e nello specifico genesisiano a sminuire ciò che accadrà dopo Gabriel: personalmente non ho questo atteggiamento, ad esempio credo che un lavoro del calibro di Duke sia ottimo, però oggettivamente il pop del decennio seguente non avrà affatto la stessa preziosa e speciale qualità dell’epoca d’oro.
 
Quanto è stato importante l’elemento teatrale nelle carriere soliste (peraltro di successo) dei Genesis?
Il solo Peter – in evidente continuità con il passato genesisiano – ha avuto un’attenzione spiccata nei confronti del dato visivo e narrativo, però maturando ed evitando la riproposizione sic et simpliciter dei vecchi moduli. Mi viene in mente il “caso” Shock The Monkey e il lavoro fatto con Carlo Massarini per lo speciale televisivo dell’83, nel quale il rapporto tra l’alieno e la curiosa estetica nazionalpopolare di Sanremo è più sottile, insinuante. La continuità si nota anche nell’avveniristico lavoro dei videoclip, pensiamo a Sledgehammer. I suoi ex colleghi invece, musicisti a tutto tondo, hanno sempre dato prevalenza alle note, con esiti a volte deludenti ma coerenti con la vecchia idea della centralità della musica rispetto alla scenografia.
 
A parte il documentario Together and Apart trasmesso nel 2014 dalla BBC, questa reunion con la formazione storica ci sarà? E per vedere o rivedere il teatro rock dei Genesis dobbiamo “accontentarci” per così dire dei canadesi The Musical Box?
Credo proprio che la reunion – una delle più attese nella storia del rock… – non ci sarà mai, le motivazioni sono note e svariate, e sono tanto artistiche quanto umane e personali. Considerato che i Genesis dell’era Gabriel non hanno lasciato così tanti video da farsi un’idea precisa, penso che l’unico modo per assaggiare e immaginare quell’epoca sia proprio un concerto dei Musical Box. Impeccabili filologicamente, ottimi musicisti, abili nella rievocazione storico-musicale, ma credo che siano privi di una cosa decisiva: il brivido. I Genesis erano dei ventenni usciti dal college, provenienti da famiglie che inevitabilmente attendevano da loro tutt’altro tipo di attività, ogni loro concerto secondo me era una sfida, una dimostrazione di alterità generazionale, insomma anche una band della upper class come la loro aveva dentro di sé la voglia di rottura con ciò che la precedeva. Quella dei Musical Box è una dignitosa, encomiabile e precisa riproposizione, ma museale, senza scosse.
 
Ultima curiosità personale: hai mai incontrato/intervistato un componente dei Genesis?
Fino ad ora ho incontrato solo Steve Hackett, curavo l’ufficio stampa di un festival nel quale Steve suonava e venne a farci i complimenti… Mi piacerebbe fare una chiacchierata con Peter Gabriel (credo che piacerebbe al 90% dei giornalisti musicali…): avrei molte cose da chiedergli, non tanto in riferimento al teatro rock degli anni ’70, quanto alla sua carriera successiva. Il concept di Mozo, le influenze junghiane, il rapporto con la tecnologia, le innovazioni, il conflitto di una rockstar tra l’essere e l’apparire, insomma credo che Peter abbia tanto da dire. Anche spiegarci il perché dell’imminente tour con Sting…
 

 

 

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