12/05/2021

Musica e letteratura in “Storie Sterrate”, nuovo libro di Marco Denti

Musicisti / Scrittori e Scrittori / Musicisti nel nuovo libro edito da Jimenez
Tre minuti spesso sono un tempo sufficiente per una canzone, che sia ricordata in eterno o meno, che sia di successo o meno. Talvolta, però, possono costituire anche un’eccessiva limitazione per i musicisti o al contrario possono fungere da ottimo strumento di sintesi per storie o concetti espressi in maniera inevitabilmente più ampia dagli scrittori.
C’è chi incarna però entrambe le figure, Musicisti / Scrittori e Scrittori / Musicisti, come nel caso dei protagonisti di Storie Sterrate, nuovo libro di Marco Denti. Nel nuovo lavoro l’autore ha voluto intraprendere un percorso inusuale per comprendere i legami tra musica e letteratura, due forme d’arte di cui peraltro si occupa da anni tra riviste specializzate, siti web e libri.Patti Smith, Bob Dylan, Lou Reed, Stephen King, Nick Cave, Bruce Springsteen, William S. Burroughs, Jim Morrison, Leonard Cohen, David Byrne, Hunter S. Thompson, Joni Mitchell, Willy Vlautin, Morrissey, Billy Corgan, Chuck Berry e Jim Carroll sono solo alcuni dei protagonisti delle circa 300 pagine di questo nuovo libro edito da Jimenez e di cui abbiamo parlato proprio in compagnia dell’autore Marco Denti.

Storie Sterrate: come mai questo titolo?
Guarda, il titolo non l’ho scelto io (ride, ndr)! No, a parte gli scherzi, con Jimenez è nata una bella complicità per questo progetto. Siamo partiti da una serie di nomi, i primi che ci sono venuti in mente erano Leonard Cohen, Nick Cave, Patti Smith… Ho iniziato a lavorare su quest’idea che poi è cresciuta. Al momento di trovargli un titolo, abbiamo capito che avevamo preso delle strade un po’ fuori mano, un po’ diverse dal solito, e Michela Carpi – uno dei due editori di Jimenez, l’altro è Gianluca Testani – me lo ha suggerito; Michela mi ha proposto Storie Sterrate e devo dire che mi conosce meglio di quanto io conosca me stesso: sono un ragazzo di campagna, abito a Lodi, in piena Pianura Padana, e quindi le strade sterrate mi sono molto care, per cui ho abbracciato subito l’idea, quella di percorsi inusuali. Come scrivo nell’introduzione, si parte dalle emozioni che mi danno gli artisti; non c’è sociologia, non ci sono altre analisi che fanno tutti i critici rock – me compreso quando mi applico – e c’è invece un percorso emotivo rispetto alla meraviglia che provo al cospetto di questi personaggi.
La proposta è stata loro, è nato tutto da una sera a cena in cui abbiamo iniziato a parlare di scrittori e musicisti e in cui peraltro eravamo a tavola anche con Willy Vlautin.

Lo stesso Willy Vlautin – leader dei Richmond Fontaine e ora membro dei Delines – peraltro è uno dei tanti protagonisti del libro.
(ride, ndr) Sì, ricevere una proposta in presenza dell’altro autore e inserirlo poi nel libro sembra una cortesia dovuta, ma in realtà lui continua la sua attività di musicista e scrive molto bene, per cui era perfetto per Storie Sterrate.

Tanti musicisti si cimentano o si sono cimentati anche in altre forme d’arte, ma il legame tra musica e letteratura rimane comunque quello più immediato?
Credo che la scrittura sia il terreno comune tra tutti gli strumenti di comunicazione che usano questi personaggi.
Penso che la scrittura sia sempre un po’ il filtro attraverso cui questi artisti si ripropongono in altre forme: ad esempio Joni Mitchell non ha mai scritto un libro, – così come altri protagonisti di Storie Sterrate – ma ha creato testi pieni di riferimenti letterari e ha comunque influenzato altri scrittori.
C’è sempre questa connessione che per me è sempre stata biunivoca: mi viene in mente a questo proposito Morrissey, che ha scritto un’autobiografia di successo, ma anche un romanzo che però è stato un mezzo disastro; lui, al di là di quando si è cimentato in prima persona nella scrittura, è stato citato in tantissimi film e in tantissimi libri, soprattutto per le canzoni degli Smiths, e per me è stato un po’ sorprendente ricostruire tutti i filamenti che ha generato a partire dalla sua musica.

Pensando agli esordi di Jim Morrison o di Patti Smith, forse la poesia è la forma più vicina alla musica e che in alcuni casi coincide addirittura con le canzoni? O sei d’accordo con Richard Hell che, come si legge nel tuo libro, fa una netta distinzione tra musica e poesia?
Sono molto d’accordo con Richard Hell, ma è anche vero che se prendi le canzoni di Leonard Cohen sono pura poesia o se prendi i testi di Bob Dylan vale lo stesso perché restano in piedi senza la musica. Sono molto d’accordo, però, con Richard Hell, perché la musica dà un supporto innegabile a testi che senza musica non avrebbero lo stesso valore. Scrivere vera poesia come hanno fatto Leonard Cohen, Bob Dylan o Patti Smith non è facile: la poesia deve reggere da sola e, se non regge, te ne accorgi subito.
La prova del nove ce l’hai con Billy Corgan che ha scritto un libro di poesie molto carino, ma le sue sono poesie talmente leggere che non ci ha riprovato un’altra volta.

Un inizio forte: Laurie Anderson e quindi Language Is A Virus, ispirata da William Burroughs.
Mi sembrava giusto partire con lei per tutto il lavoro che ha fatto. Laurie Anderson ha toccato un po’ tutte le forme di espressione tra video, musica, lettura, scrittura, performance… e poi lei ha cominciato a pubblicarsi i suoi libri da quando era una ragazzina e quindi c’è questo rapporto con la scrittura che è prominente.

Come hai scelto l’ordine degli artisti trattati?
Dopo Laurie Anderson volevo che il secondo fosse Leonard Cohen perché è uno dei miei punti di riferimento. Avevo già tutti i dischi e i libri, ma, dopo aver approfondito ancora una volta le sue opere, mi si è aperto un mondo: è uno che ha un attaccamento al lavoro incredibile; se si leggono le sue interviste, si capisce che era molto attento al suo modo di lavorare e al suo modo di scrivere.
Da lì sono arrivati gli altri, ma non c’è un ordine preciso. L’ultimo capitolo lo abbiamo deciso all’ultimo e Lucinda Williams ci stava benissimo come storia sterrata conclusiva: lei non ha mai scritto un libro, ma ha fatto canzoni tutte in forma narrativa anche perché grazie a suo padre ha vissuto in una casa in cui la letteratura era davvero all’ordine del giorno.
Anche se non in ordine, ci sono delle connessioni ricorrenti, come per esempio gli Stones che tornano più volte all’interno del libro.

A proposito degli Stones, Keith Richards non ha un suo capitolo dedicato. Come mai, considerando come è stata accolta e come tuttora è considerata la sua autobiografia Life?
Sì, Keith Richards mi è venuto in mente, ma gli Stones sono ingombranti (ride, ndr)! Era in una delle prime liste che avevamo fatto, ma poi abbiamo lasciato perdere, anche se va detto che gli Stones in un modo o nell’altro ci sono nel libro e ci sono spesso.

Ci sono altri artisti rimasti fuori da Storie Sterrate?
Ti ringrazio per la domanda! Subito dopo l’uscita del libro, un mio amico, che ha fatto anche la recensione, mi ha fatto notare che mi sono dimenticato di Paul Harding, batterista dei Cold Water Flat, ma anche grande scrittore se pensi ai suoi romanzi. Me lo sono completamente dimenticato, per cui faccio mea culpa.
L’altro al quale avrei dovuto dedicare un capitolo a parte, e non soltanto citarlo o ricordarlo, è John Lennon.
Chissà… magari li aggiungeremo insieme ad altri in una nuova edizione del libro (ride, ndr)!

Tornando a chi è presente all’interno del libro, Chuck Berry è davvero “il più grande storyteller di sempre”?
La definizione è di Steve Erickson che è un grande scrittore, per cui mi fido di lui. In realtà Chuck Berry, più che uno scrittore, è uno storyteller che ha creato un linguaggio: il rock ‘n’ roll.

Chi ti ha stupito di più tra tutti i protagonisti di Storie Sterrate?
Devo dire che mi ha stupito molto Julian Cope, artista che seguo da una vita, ma che non mi aspettavo scrivesse così. 131 è un romanzo veramente straordinario e mi ha stupito per la qualità della scrittura.

Temi ricorrenti nella scrittura non in funzione della musica da parte di questi artisti ce ne sono?
Ce ne sono tanti, ma uno dei temi che torna in continuazione è quello del viaggio/beat generation: è anche un mio vecchio pallino e torna costantemente in tanti artisti, da Steve Earle a Neil Young, da Rickie Lee Jones a Tom Waits.

Bene. Uno che di temi ne ha sviluppati senza dubbio tanti e in modo più che significativo, tanto che cinque anni fa gli è stato addirittura assegnato il Nobel per la Letteratura, è Bob Dylan. È stato quello il momento in cui la musica o “un certo tipo di musica” è stato “equiparato” alla letteratura?
Io non credo servano i premi per ottenere un riconoscimento. Il rock ‘n’ roll e la musica in generale sono arrivati ad essere equiparati alla letteratura molto prima. L’Accademia svedese ci ha messo un bel po’ a capirlo. Lo avevamo capito tutti quanti molto prima che nel rock ‘n’ roll c’era molta letteratura. Poi Dylan ha inventato mondi interi e ha creato una sorta di alfabeto per tutti.
Io, ad esempio, il Nobel lo avrei dato a uno come William Burroughs molti anni prima perché lui aveva spaccato certi immaginari, li aveva proprio aperti portandoci insomma in altri mondi, però nulla da dire al Nobel a Dylan, anzi. È importante che ci sia stato il riconoscimento, ma è stato un po’ tardivo secondo me.

Abbiamo iniziato la nostra chiacchierata partendo dal titolo e la concludiamo prendendo spunto dal sottotitolo, Musicisti / Scrittori. Scrittori / Musicisti: è più facile che i musicisti diventino scrittori o che gli scrittori diventino musicisti?
Gli scrittori che sono diventati musicisti sono veramente pochi. Tanti sarebbero potuti diventare musicisti, ma non è successo. Il percorso al contrario invece è più facile. È anche vero, però, che nell’elenco ho fatto rientrare musicisti che non hanno mai scritto un libro.

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